Deep Blues, A Musical Pilgrimage to the Crossroads

Deep Blues, A Musical Pilgrimage to the Crossroads, DVD cover

Uscito nel momento propizio del blues revival degli anni Ottanta/Novanta del secolo scorso, Deep Blues (1990) mostrò – visivamente – la vitalità di una tradizione regionale, il Delta blues, che si pensava defunta, e quella di un linguaggio poco conosciuto dal nuovo pubblico euro-americano di allora, l’Hill Country blues del Mississippi del nord.
Sceneggiato da Robert Palmer (1945-1997), autore del noto libro dallo stesso titolo e presente nel filmato come cicerone, e diretto da Robert Mugge, evidenziò che sul finire del millennio lo spirito eterno del blues soffiava ancora con discreta forza nelle piccole comunità rurali e urbane del Mississippi, suonato per i locali non solo da ottuagenari come Jack Owens, ma anche da trentenni come Lonnie Pitchford, folgorato da bambino da un antico strumento d’origine africana, il diddley bow, o come i giovani accompagnatori di grandi e allora misconosciute figure di sessantenni musicalmente in forma come R.L. Burnside, ‘Junior’ Kimbrough, Jessie Mae Hemphill, oltre che da bluesman più recenti come Big Jack Johnson e Roosevelt ‘Booba’ Barnes.

Da subito stupisce la presenza di Dave Stewart (Eurythmics, Spiritual Cowboys), che appare fuori luogo per come lo conosciamo, mentre Palmer è nel suo ambiente e nella sua materia, oltre che in sintonia con il carattere spontaneo delle riprese e dei protagonisti. L’approccio di Stewart è rigido anche quando suona con Burnside in elettrico (scena bonus), in piena antitesi con la musica di R.L., nella jam session presso il juke joint di Junior Kimbrough.
Tuttavia rivela cautela e rispetto per una cultura che dice di ammirare da quando era ragazzino, inoltre la sua partecipazione è limitata alla prima parte, abbandonando il set per unirsi a un tour in corso e ringraziando Palmer per avergli fatto da guida e averlo introdotto ai musicisti blues.
Il suo coinvolgimento si spiega in quanto produttore esecutivo della pellicola: un progetto buono e riuscito anche se non un successo commerciale. La colonna sonora sparì dalla circolazione dopo poco e il documentario fu visionato raramente essendo destinato solo alla proiezione cinematografica, ma presso i critici e gli appassionati raggiunse ciò che idealmente sarebbe lo scopo di questo tipo di iniziative: diffondere e ampliare la conoscenza, l’apprezzamento e la conservazione di una tradizione musicale e culturale, incentivando al contempo la carriera degli artisti coinvolti.

R.L. Burnside in "Deep Blues" documentary
R.L. Burnside

Dopo il film, infatti, nomi di musicisti oscuri e misteriosi come i sopraddetti Burnside, Kimbrough, Hemphill (Jessie Mae aveva però già avuto successo negli anni Ottanta, tanto che in quel decennio girò l’Europa in tour, compresa l’Italia), divennero familiari ben al di fuori della zona, e con loro la forma autoctona del “blues delle colline” e della tradizione fife and drum, coinvolgendo quindi altri artisti come T-Model Ford, Robert Belfour, CeDell Davis, Othar Turner (e rivalutando il più noto, importante e da anni defunto Fred McDowell) in un inusuale boom discografico favorito dal periodo d’oro del formato CD, rivelante un mondo a parte nascosto ai più, per la maggior parte glorificato e manipolato dai tipi di Fat Possum; Palmer stesso produrrà per la neonata etichetta dischi da tempo dovuti come All Night Long di Kimbrough (il primo disco Fat Possum) e Too Bad Jim di Burnside.
Anche l’allora cinquantenne Big Jack Johnson, esponente di un Delta blues relativamente recente ma genuino e originale, acquisì inaspettata notorietà internazionale, e con lui i suoi ex bandmate Frank Frost (che però ebbe poco tempo per godersela) e il più anziano Sam Carr, titolari negli anni Sessanta del discontinuo trio The Nighthawks – poi nell’altrettanto saltuario The Jelly Roll Kings con un nuovo episodio alla fine degli anni Settanta a opera dell’illuminato Michael Frank di Earwig, il minimalista e salutare, energico e ronzante Rockin’ the Juke Joint Down, seguito dopo quasi vent’anni dalle altrettanto valide sonorità sanguigne e stracciate di Off Yonder Wall, altro prodotto di Palmer per Fat Possum.
Ci fu poi occasione di rivedere all’opera Jack Owens, vecchio esponente della controversa “scuola di Bentonia” emersa al pubblico degli anni Sessanta con la riscoperta di colui che l’aveva rappresentata a livello discografico, Skip James, e dello stesso Owens, suo contemporaneo.

Benjamin Perry in "Deep Blues" documentary
Benjamin Perry

Il pellegrinaggio tocca pochi ma salienti luoghi, aprendo molto bene con immagini e suoni del giorno su una suggestiva vista aerea di Memphis e del De Soto Bridge sul Mississippi, mentre scorre il bellissimo riverbero di I’m So Glad Trouble Don’t Last Always di Benjamin Perry, bluesman rimasto oscuro anche nel film (è solo nella sigla iniziale) e incomprensibilmente non registrato; che io sappia esiste solo un 45 giri degli anni Ottanta (Mean Woman Blues / Mama, Look at Sis) a nome di Uncle Ben & His Nephews. Le sonorità paiono echeggiare da una vecchia registrazione e invece sono rimasta sorpresa nel vederle suonate dal vivo all’Handy Park in Beale Street, Perry accompagnato da un altro chitarrista.
Palmer e Stewart proseguono la visita nello storico drugstore Schwab – il cui proprietario mostra la radice di John The Conqueror e racconta di quando il negozio vendeva anche i dischi blues e gospel del momento – prima di finire nel soggiorno del vecchio memphian Booker T. Laury, che con voce ancora potente e tocco vigoroso sui tasti di un piano verticale diletta i suoi ospiti con Memphis Blues, e par quasi di sentire Roosevelt Sykes. Laury è presente anche nei bonus con Early in the Morning e Booker’s Boogie, quest’ultimo un estemporaneo barrelhouse boogie accompagnato da wandering rhymes.

Jessie Mae's Fife & Drum Band in "Deep Blues" documentary
Jessie Mae’s Fife & Drum Band

I due poi si ritrovano su una strada sterrata in aperta campagna: sono nel nord del Mississippi, zona che, come spiega Palmer, per la conformazione del suolo non ha visto lo stesso sviluppo agricolo delle aree interessate dalle piantagioni di cotone, ma piccole fattorie e una tradizione musicale rimasta invariata per generazioni, diversa dallo stile Delta.
Il luogo rivela la presenza di R.L. Burnside, che sul bordo di un back porch carico di masserizie presenta l’elettrica Jumper on the Line, ipnotica nel riff ritmico e nell’uso del falsetto, attorniato da legname, carcasse varie e gente del posto tra cui sicuramente qualche familiare, poi accompagnato da Stewart all’acustica (che tenta di sapere la tonalità da Burnside, ma dovrà trovarla da solo) sulla persuasiva Long Haired Doney.

Calvin Jackson and Junior Kimbrough at Junior's juke joint
Calvin Jackson e Junior Kimbrough

Le scene all’aperto continuano con Jessie Mae Hemphill, nipote del multi-strumentista cieco Sid Hemphill registrato nel 1942 da Alan Lomax per la Biblioteca del Congresso, alla grancassa di una fife & drum band con Abe Young al rullante e Napolian Strickland al can fife, il flauto di canna, mostrando un’eredità risalente almeno ai tempi della Rivoluzione Americana, quando gli eserciti erano chiamati e accompagnati in battaglia da tamburi e da flauti; un tamburo e un flauto di legno rappresentano di fatto il primo nucleo delle bande militari.
Le riprese si spostano all’interno del juke joint di Junior Kimbrough nelle campagne di Holly Springs, dove Jessie Mae s’esibisce sola con chitarra elettrica in You Can Talk about Me, seguita da Kimbrough che in compagnia di Little Joe Ayers al basso e Calvin Jackson alla batteria affascina sul mid-tempo ipnotico ed elettrico di All Night Long, poi diventato il suo signature song e titolo dell’album di debutto. Anche l’essenziale e qui trentenne Calvin Jackson, purtroppo scomparso l’anno scorso (2015), padre del batterista Cedric Burnside (nipote di R.L.), acquisì discreta fama dopo quest’apparizione.
L’abbaio di un cane proveniente dall’esterno proprio sull’evocativo incipit notturno sembra fatto apposta, e se sommiamo già solo questo alla lampeggiante segnaletica del juke joint mancante di qualche lettera abbiamo un frammento blues esemplare prima ancora di esser totalmente coinvolti nelle sonorità spettrali di Kimbrough. La baracca è piccola e piena di avventori che ballano, ma la festa è anche fuori, tutt’intorno, e ogni tanto qualcuno butta lo sguardo dentro. (1)

Jack Owens in "Deep Blues" documentary
Jack Owens

La troupe prosegue verso sud nella zona delle piantagioni e culla del country blues, destinazione Greenville, celebrando i fasti del passato musicale di Nelson Street, un tempo centro della vita notturna afroamericana cittadina, e all’interno del Playboy Club di Roosevelt ‘Booba’ Barnes; è presente anche il sindaco Frank Self (non così a suo agio) che ringrazia Booba per il servizio offerto alla comunità con il suo locale, dopo aver accennato agli sforzi che stanno compiendo per rendere la via un’attrazione per i turisti del blues. (2)
Booba, due grosse catene al collo, dà esempio del viaggio compiuto dal blues, partito solitario e acustico dal Mississippi, andato a Chicago, tornato a casa elettrico e suonato da band, con la vivace Heartbroken Man e la lenta Ain’t Goin’ to Worry about Tomorrow.
La tappa seguente è Clarksdale allo storico Wade’s Barber Shop di Wade Walton, barbiere/bluesman (tra i suoi clienti Sonny Boy Williamson II, Ike Turner e Howlin’ Wolf) titolare di un barbershop con annesso un piccolo juke-joint; una celebrità più che locale con in mano un rasoio, una chitarra o un’armonica, il primo usato anche come strumento percussivo passato ritmicamente sulla coramella.

This is not an abandoned car

Palmer spiega l’etimologia di “juke-joint” davanti al Red Top Lounge, locale dove Big Jack Johnson suonò con Frank Frost e Sam Carr per dieci anni. Detto “the Oilman” per la sua attività di trasporto petrolio (“B.J. the Oil Man” campeggia sulla portiera del camion), Big Jack è intervistato dal dj WROX Early Wright prima di esibirsi alla festa di Halloween del Pastimes Lounge con ottima band ad accompagnarlo sul travolgente, ficcante Catfish Blues e il più zuccheroso, mezzo parlato Daddy When Is Momma Coming Home, title track del disco appena uscito, mostrando così un altro lato della sua vena. Belle le riprese fuori e dentro il locale.
Arriva infine Bentonia e l’ottantasettenne Jack Owens con il suo partner da lungo tempo Bud Spires (3) all’armonica su due blues lenti entrati in repertorio via Skip James (e Henry Stuckey), cantati in falsetto su melodie chitarristiche intricate, Hard Time Killin’ Floor e The Devil. Quest’ultimo è aperto dall’armonicista cieco che racconta una storia su un predicatore e il diavolo, visto più come imbroglione che come incarnazione del male, sopra il fingerpicking di Owens, contadino per tutta la vita e stabile a Bentonia, dove nei weekend gestiva un juke joint a casa sua, vendendo barbecue e whiskey fatto in casa; dai locali era noto come il Jack Owens’ place, e vi suonarono anche Henry Stuckey e Skip James.
Nato L.F. Nelson, nome che pochi conoscono (persino le sue sorelle non ricordano cosa siano le iniziali L.F.), per tutti era Jack Owens essendo stato cresciuto dagli Owens, la famiglia di sua madre. Il portico è simile a quello di Burnside in quanto a pubblico e cianfrusaglie sparse, ma in più c’è un cane dagli occhi languidi e aria bastonata, e una Oldsmobile che non si considera un rottame abbandonato.

Lonnie Pitchford in "Deep Blues" documentary
Lonnie Pitchford

Lonnie Pitchford esegue al diddley bow un brano che ha imparato a cinque anni, Johnny Stole an Apple, e alla chitarra acustica If I Had Possession over Judgement Day e Come on in My Kitchen, direttamente insegnategli, come tante altre di Robert Johnson, dal figliastro di quest’ultimo, Robert Lockwood. In quanto il più giovane musicista solista incontrato nel viaggio, Pitchford è preso a simbolo e speranza di una nuova generazione interessata a proseguire il country blues. Purtroppo però non andò così perché morì pochi anni dopo.
Il DVD, uscito nel 2003 per Shout Factory (no sottotitoli), comprende nei bonus altre esecuzioni filmate e sette tracce audio. Oltre ai pregi descritti sopra, il film gode di poche parole, molta musica, buonissimo sonoro, e tutte le performance sono lasciate nella loro interezza.


  1. Il locale si trovava a est di Holly Springs, si chiamava Chewalla Rib Shack ed era il sempre strapieno primo juke joint di Junior Kimbrough, aperto con il proprietario della casa, Sammy Greer, nel giugno 1990. Chiuse dopo qualche anno per sopraggiunto disinteresse di Greer (la struttura esiste ancora, ma è proprietà privata). Junior allora aprì il suo juke joint, Junior’s Place, a Chulahoma, purtroppo distrutto da un incendio doloso nell’aprile 2000.[]
  2. L’industria del turismo blues cominciò a formalizzarsi proprio in quegli anni, a rilento: la Mississippi Blues Commission ad esempio risale solo al 2003. Per quanto riguarda Nelson Street, l’ho visitata nel 2016 (v. link sopra nel testo), e non è avvenuto nessun improbabile rilancio: è morta esattamente come altre storiche vie blues del Mississippi. La sola differenza da allora è la presenza dei marker storici, e qualche recupero di immobili. Del resto, le città stesse sono depresse.[]
  3. Bud Spires è scomparso nel 2014. È stato l’ultimo ad andarsene tra i musicisti blues presenti nel film.[]
Scritto da Sugarbluz // 20 Aprile 2016
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