Guitar Slim – The Things That I Used to Do

Guitar Slim, The Things I Used to Do (CD cover)Guitar Slim, Sufferin' Mind (CD cover)

Gatemouth Brown, T-Bone Walker, Lowell Fulson and Guitar Slim were all performing one night at the White Eagle in Opelousas, Louisiana. Slim was headlining because ‘The Things That I Used to Do’ was a scorcher. They were all sitting in the dressing room and Guitar Slim walked up to ‘em and said: “Gentlemen, we got the greatest guitar players in the country assembled right here. But when I leave here tonight, ain’t nobody gonna realize you even been here”. Well, they all laughed, but that’s exactly what happened.

Fu proprio quello che successe, riporta Earl King nel libro di Jeff Hannusch I Hear You Knockin’.
Lui era là e lo vide. Slim era al picco della carriera ed eclissò i colleghi uscendo completamente blu, dall’abito alle scarpe ai capelli, a cavalcioni sulle spalle di un valletto e con un cavo per chitarra lungo più di cento metri. Continuando a suonare avanzò in quel modo attraverso il pubblico fino all’esterno, sulla strada, dove le automobili immancabilmente si fermarono. A qualcosa del genere ho accennato nella recensione di Johnny Guitar Watson, a proposito di loro due che si trasportavano a vicenda sulle spalle, suonando in mezzo al pubblico.
Nato Edward (Eddie) Lee Jones il 10 dicembre 1926 a Greenwood, MS, è vissuto troppo fast and furious per lasciare dietro di sé tanti dischi e note biografiche. Il ricordo più affettuoso e gli aneddoti più tipici sono dell’amico, collega ed estimatore Earl King, conosciuto nel 1953 al Club Tijuana di New Orleans, mentre la discografia migliore va dal 1953 al 1955 su Specialty, come da copertine, messe entrambe perché rappresentano lo stesso gruppo di brani.
Infatti, il primo disco (The Things That I Used to Do) è stato pubblicato dall’inglese Ace, il secondo (Sufferin’ Mind) da Fantasy Records di Berkeley della figlia di Art Rupe, che nel 1990 acquistò Specialty, ma contengono le stesse tracce (quello di Fantasy, un paio di alt. take in più), ed entrambi sono la riedizione digitale ed estesa di due precedenti vinili.

Orfano di madre a cinque anni, crebbe insieme ai nonni a Hollandale, MS, nella L.C. Hays Plantation, raccogliendo cotone e arando dietro un mulo.
Da ragazzino era tanto agile ballerino quanto abile pianista in grado di riprodurre ogni canzone dopo averla ascoltata una volta dal juke-box, secondo i racconti della prima moglie. I due si conobbero giovanissimi in un juke-joint dove Eddie danzava il repertorio acrobatico tipico del jitterbug, pulendo il pavimento a forza di salti e giravolte, e perciò gli fu dato il nomignolo Limber Legs. Era in fasce quello che sarebbe diventato, un performer pittoresco e spettacolare, e un modello per molti chitarristi elettrici essendo tra i primi a sperimentare gli effetti della distorsione. Si sposò giovane, ma subito dopo partì per prestare servizio nel Pacifico alla fine della seconda guerra e al suo ritorno, nel 1946, trovò lavoro in un cotonificio.
Diversamente da molti bluesman del suo Stato, ‘Guitar Slim’ Jones non si trasferì al nord, ma scese ancor più al sud trovando in Louisiana la sua seconda vita. Se s’eccettua l’interesse per Robert Nighthawk, sempre di passaggio da quelle parti, (1) in sostanza non fu influenzato dai chitarristi del Delta del Mississippi, ma dai texani, in particolare Clarence ‘Gatemouth’ Brown, e si formò con gli insegnamenti del bandleader Willie Warren durante i due anni trascorsi a suonare in Arkansas e Louisiana. Imparò alla svelta, e un bel giorno disse a Warren che si trasferiva a New Orleans per fare dischi e per chiamarsi Guitar Slim.

Label of Guitar Slim's 78 rpm "New Arrival" (Imperial Records)

Come ha ricordato il sassofonista David Lastie, sul finire del 1949 Slim suonava per le mance davanti al Club Tijuana, mentre Huey ‘Piano’ Smith ha raccontato d’averlo conosciuto a quindici anni (Smith è del 1934, quindi più giovane di otto anni) durante un’esibizione del doposcuola alle superiori, e da quel momento d’aver cominciato a suonare insieme. In quell’occasione Guitar Slim era vestito di porpora e giallo, cappello di paglia in testa, e il suo repertorio fondato su brani di Brown come Boogie Rambler, My Time Is Expensive e Gatemouth Boogie.
Nonostante l’influenza di Gatemouth e di chitarristi come T-Bone Walker e B.B. King, è facile trovare punti in comune con il più giovane Johnny ‘Guitar’ Watson, sia come strumentista e cantante che come personaggio.
Ma Eddie Jones aveva la sua personalità e, come s’è capito, era uno che si faceva notare e inevitabilmente, tra un’esibizione fuori dal Tijuana, dal Dew Drop Inn, o su un ponte nel 9th Ward vestito di nero con cappello bianco, l’ultima “New Orleans blues sensation” cominciò a far parlare di sé, avendo il debutto ufficiale insieme a Huey Smith il 26 agosto 1950 sull’ambito palcoscenico del Dew Drop.
Le prime registrazioni arrivarono nel 1951 per Al Young di Imperial Records, con ‘Piano’ Smith. Quattro lati incisi nel J&M Music Shop di Cosimo Matassa e un solo singolo a nome di Guitar Slim & His Playboys: Bad Luck Is on Me / New Arrival, quest’ultima di Gatemouth, modificata in I’m a new arrival and they call me Guitar Slim / If I don’t suit my baby, I guess nobody else will. Date le scarse vendite il rapporto si chiuse subito, ma in seguito, dopo il successo nazionale del chitarrista, l’etichetta pubblicò anche il resto della sessione.
Nel 1952, durante una permanenza a Nashville per suonare al Kitty Cat Club, il suo manager Percy Stovall lo fece incidere per J-B di Jim Bulliet insieme alla sua usuale band, cioè David Lastie, Huey Smith, Little Eddie Lang e Willie Nettles. Il singolo che ne uscì, Feelin’ Sad, poi ripreso da Ray Charles, ebbe un discreto successo, ma a causa della scarsa distribuzione della piccola etichetta furono perse molte potenziali vendite.

Label of Guitar Slim's 78 rpm "Feelin' Sad" (Bullet Records)

Tuttavia il brano provò l’impatto impressionante di quel suo ruvido e diretto churchy feel, e Slim nel 1953 divenne una delle attrazioni più popolari nel circuito del sud, anche perché si mise nelle mani di Frank G. Painia, bellimbusto impresario afroamericano proprietario e gestore del Dew Drop Inn di LaSalle Street, luogo-mito dentro la città-mito. Oltre al locale, nel complesso di Painia c’erano anche un hotel, degli appartamenti, un ristorante e un barbiere.
David Lastie ha riportato che Slim stava in una stanza al piano superiore (“He liked to be where the action was”, e di azione al Dew Drop ce n’era parecchia), e che fino a tre blocchi di distanza s’accorgevano del suo rientro in città dopo un tour perché al mattino presto attaccava a suonare altissimo, e qualcuno chiamava la polizia. Earl King ha aggiunto che la sua stanza, in totale disordine, era sempre piena di donne, e ai muri erano attaccati fogli con i testi delle canzoni.
King precisa che Slim suonava “una di quelle grosse chitarre acustiche alla T-Bone Walker”, ma appena uscì la Les Paul (vale a dire una delle prime elettriche solid body), lui fu il primo ad averla a New Orleans. La chitarra con la cassa era troppo grande e non gli lasciava libertà sul palco, ma soprattutto era impossibile controllare il feedback provocato dalla cassa armonica.
Painia lo accompagnò con una nuova band, il gruppo condotto dal bassista Lloyd Lambert di casa al Sugar Bowl di Hosea Hill a Thibodaux, e lo presentò a John Vincent Imbraguglio, allora A&R man per Specialty Records di Los Angeles, in cerca di un sostituto per la loro più grande star (che poi trovarono più proficuamente in Little Richard), Lloyd Price, partito suo malgrado per le armi nel 1953.
Vincent convinse il poco esperto produttore capo di Specialty, Art Rupe (gran parte della sua fortuna fu dovuta ai suoi collaboratori, oltre Vincent, Bumps Blackwell e J.W. Alexander), a mettere sotto contratto Slim prima che lo facesse Atlantic, e così il 26 ottobre 1953 il chitarrista varcò di nuovo la benedetta soglia dello studio J&M in North Rampart.

Label of Guitar Slim's 45 rpm "The Things That I Used to Do" (Specialty Records)

Il primo singolo Specialty diventò anche il suo più famoso: The Things That I Used to Do, per il quale Vincent, oltre al gruppo di Lambert, cioè i sassofonisti Gus Fontenette, Charles Burbank, Joe Tillman, il trombettista Frank Mitchell e il batterista Oscar Moore, reclutò anche Ray Charles, (2) chiedendone la libertà provvisoria dalla prigione appositamente per la sessione, in cui il pianista fu soprattutto arrangiatore.
Vincent non fu l’unico a dire che “Slim was hard to record” (ne ho accennato anche nell’articolo New Orleans 2010, pt 2, v. link sopra in riferimento al J&M Music Shop). Quella sessione fu un calvario e, anche se i dettagli sono confusi – Vincent disse che ci volle “tutta la notte”, per Matassa “tutto il giorno” mentre per Lloyd Lambert “due giorni” – pare che le sedute con Slim fossero tutt’altro che semplici. Quel “yeah!” di Ray Charles in fin di brano è, più che un sigillo di approvazione, un’espressione di sollievo sull’ultima battuta.
In uno dei molti take, Matassa rammenta che tutto stava procedendo per il meglio, ma Slim dopo un suo assolo particolarmente rovente si fermò di colpo, si girò verso la band e disse: “Gentlemen, did you hear that!?” Oppure saltava le strofe, cantava fuori microfono, o si rompevano le valvole del registratore a nastro, non a caso.
Secondo Earl King, l’idea del suo signature song arrivò a Slim durante un sogno in cui un angelo e un diavolo si presentarono ognuno con una canzone. Dato per scontato che la prescelta fu quella del diavolo, mi rimane la curiosità su come fosse quella dell’angelo. La reazione di Art Rupe fu che era “the worst piece of shit” che avesse mai sentito, nonostante ciò decise di farla uscire, minacciando però di lasciare a casa Vincent qualora il brano non avesse venduto.
Non ce ne fu bisogno perché The Things stette nelle parti alte della classifica R&B di Billboard per sei settimane su un totale di ventuno di permanenza, diventando il più grande successo del 1954 e uno degli standard più ripresi.
È bella, melodica, caratterizzata da una vena gospel rude e da un nuovo approccio alla chitarra, la distorsione; tuttavia oggi forse è più corretto chiamarlo overdrive o overtone, per il genere, l’epoca, la modalità e la non associazione con la pedaliera. È ancora Earl King a riferire:

Credeteci o no, Slim non usò mai un amplificatore. Usava un sistema P.A. ed era un fanatico dell’ipertono. Aveva dei piccoli altoparlanti conici in ferro, il suono usciva attraverso gli altoparlanti e ogni piccola vibrazione contribuiva, perché suonava sempre al picco del volume. Ecco perché era difficile registrarlo, a causa del suo settaggio sul volume – vi dico la verità, quando Slim suonava si poteva udirlo a un miglio di distanza.

Anche Lloyd Lambert conferma che suonava il più alto possibile: «Aveva un suono metallico, ottenuto sintonizzando i controlli dei bassi al minimo e quelli degli alti al massimo», supportato da Matassa, che disse: «Controls only meant one thing to him. Ten. It was kind of funny. It made a unique sound, and except for the harshness that these overtones create, it’s unique, and it wasn’t bad, and different for sure».
A Earl King non piaceva si dicesse che Slim non fosse capace di suonare senza capotasto, oggetto al quale era affezionato e che chiamava choker. King riferisce che usava l’accordatura standard e che utilizzava un capo solo per avere l’effetto sulle corde a vuoto (quindi un suono più alto), assicurando di averlo visto tante volte senza.
Dato il successo del disco, Frank Painia organizzò un tour attraverso il sud, ma prima gli comprò una Olds Rocket 88 nuova di zecca (tipo questa), che subito Slim distrusse contro un bulldozer fermo in un parcheggio in una delle tante occasioni in cui alzava il gomito. Non si procurò danni seri, ma una convalescenza di un mese, abbastanza per non poter partire con la tournée promozionale.
Allora se si sfondava in campo discografico in prima battuta lo si faceva con il disco e il nome, non tanto con l’immagine (almeno, valeva per gli afroamericani), così Painia mandò Earl King a impersonare il nuovo eroe per qualche data, in attesa che l’originale si riprendesse:

When I got back to town, the first person I saw was Guitar Slim – laughs Earl. He was walking down LaSalle Street with a hospital gown on, a guitar under one arm and an amp under the other, yellin’: “Earl King, I heard you been out there imitatin’ me. If you wreck my name I’m gonna sue and I’m gonna kill you!”

Fece in tempo a riprendersi per l’Apollo Theatre e per una serie di date sulla East Coast, ma dal momento che il gruppo di Lambert aveva già un pianista, Lawrence Cotton, Slim fu costretto a separarsi a malincuore da Huey Smith. All’Apollo divise il palco con gli Spiders, e Chuck Carbo raccontò che alla fine del set di Slim chiusero il sipario con lui in mezzo alla tenda riluttante a concludere, tanto che balzò davanti e continuò a suonare.
Della sessione iniziale furono emesse anche Well I Done Got over It (retro di The Things), baldanzoso R&B senza chitarra, con battito di mani, bassi profondi e caratteristica cornice di sassofoni, The Story of My Life, toccante slow blues verosimilmente autobiografico (If my mother hadn’t have died / Lord, and my father left his child at home / Maybe my life wouldn’t be so miserable baby / Lord, and I wouldn’t be so all alone), anche se dice di essere nato in Alabama e cresciuto in Tennessee (esigenza poetica su wandering rhyme), con assolo che sembra scaturire da rabbia pregressa, e A Letter to My Girlfriend, shuffle ballabile preceduto da introduzione parlata, evidenziante il suo difetto di pronuncia; consolidarono il successo al sud, ma non quello nazionale.

Label of Guitar Slim's 45 rpm "Trouble Don't Last" (Specialty Records)

Intanto Painia non riusciva più a stargli dietro e il compito di manager passò a Hosea Hill, che aveva il suo quartier generale a Thibodaux, tranquilla cittadina a sud di New Orleans sul corso del Bayou Lafourche, dove gestiva un club molto popolare, il Sugar Bowl. Di conseguenza il posto divenne il rifugio del chitarrista in cerca di relax, tanto che a volte il rilassamento era fin troppo dato che passava intere e pigre giornate a bere.
Sul palcoscenico però continuava a sfoggiare mise inquietanti, ma spettacolari per la folla che ogni volta si presentava: viola, arancione, verde, sempre con scarpe e capelli in tinta, lasciando poi la scena con un coup de théâtre, allontanandosi in macchina continuando a suonare senza perdere una nota, come riportato da più persone.
Quando sul mercato arrivarono i primi bassi elettrici Fender, Slim ne vide uno nella band di B.B. King e chiese a Lambert di prenderlo. Ci mise un po’ a convincerlo, ma poi Lambert fu uno dei primi a usarlo; sono ancora parole di Earl King, il quale aggiunge che andava matto per ogni diavoleria elettrica, e che se avesse potuto vedere il genere di gadget esistenti oggi li avrebbe voluti tutti. Quando la Cadillac uscì con una serie di nuovi accessori, s’eccitò da matti per i sedili movibili e gli spruzzatori d’acqua per il parabrezza.

Vincent fu in ogni caso licenziato da Rupe per questioni di budget (poi l’italoamericano nel 1955 iniziò Ace Records a Jackson, MS, con i primi successi forniti da Huey ‘Piano’ Smith), mentre la band era così impegnata dal vivo che il boss di Specialty si diede da fare per registrarlo durante gli spostamenti, infatti la seconda sessione fu agli Universal Recording Studio di Bill Putnam a Chicago, il 16 aprile 1954.
Purtroppo Rupe decise d’inserire un organo alquanto fuori luogo mediante overdub, coprente il lavoro di chitarra. Forse nell’idea precostituita che il produttore aveva di “sentimento chiesastico” doveva per forza entrarvi l’organo, oppure volle provare le modernità del rinomato studio di Putnam. Per fortuna le tracce qui presenti sono in versione originale senza sovraincisioni, ma bisogna chiedersi se il crollo delle vendite fu imputabile a queste alterazioni, anche se nella Louisiana del sud continuò il successo.
La formazione è simile alla precedente (di diverso, John Gerard al piano e Oeth ‘Sax’ Mallard al posto di Charles Burbank) e i brani sono il lento Trouble Don’t Last, con uno spesso, potente fuzztone che, accoppiato con la sua vocalità aspra, raddoppia l’intensità del messaggio lasciando però spazio a sfumature melodiche, il jump Later for You Baby con chitarra ritmica e break di sassofono, Bad Luck Blues, bel blues lento scandito dal canto passionale, sempre in shouting, e dagli ondeggiamenti saturi e sfrangiati della sei corde, e Twenty-Five Lies, altro jump per sala da ballo e big band, più che altro cantato, con chitarra ritmica e solo di sax, inciso successivamente anche a Hollywood e rimasto unicamente in quest’ultima versione che non so a quale gruppo attribuire.

Label of Guitar Slim's 78 rpm "Sufferin' Mind" (Specialty Records)

La terza sessione, il 28 settembre 1954, ha luogo a Hollywood presso Universal Recorders (non erano ancora uniti a Radio Recorders), dove Rupe insiste a inserire overdub nel missaggio. Our Only Child e Stand by Me sono due di quelle che subirono il trattamento (qui nella loro forma originale), un tempo lento e uno medio entrambi da ballroom, dove Slim canta solamente, a parte l’attacco di chitarra nella prima. Non ho sentito le versioni sovraincise, ma la mancanza del suo strumento forse denota lo spazio lasciato al successivo overdub.
È sempre il gruppo di Lambert con qualche variazione (Roosevelt Paul Brown alla tromba e Lawrence Eddie Cotton al piano), e l’elastica Guitar Slim rappresenta un formidabile biglietto da visita in cui s’evidenziano il suo canto ruvido e i suoi corposi, roventi ipertoni chitarristici, mentre Reap What You Saw è il classico slow blues magniloquente, orchestrato dai fiati e con cangianti, brevi riff di chitarra in punteggiatura al canto. Ancora Slim ha un approccio estremo, come se cantasse e suonasse per l’ultima volta (in questo è paragonabile a Little Walter). In quest’occasione fu inciso anche il suo secondo best-seller, l’austero Sufferin’ Mind, acre e palustre lowdown blues rispettoso dei canoni estetici del genere, con canto tra preghiera, lamento e declamazione (ne ha fatta una bella e intima versione nel 2003 Tab Benoit in Sea Saint Sessions). All’opposto, lo spensierato rock ‘n’ roll da ballo studentesco I Wanna Love-A You. Tirando le somme, un’altra seduta eccellente.

Le ultime sessioni furono ancora a Hollywood, ma ai Master Recorders, due in aprile e una in dicembre, nel 1955. Quelle di aprile produssero due dischi con il tagliente Quicksand, sorprendente boogie-rock secco e luminoso, con il break diviso tra lui e il fidato sax tenore Joseph Tillman – invitato da Slim con “Blow Joe!” – ed efficace similitudine tra affondo esistenziale e sabbie mobili, Think It Over, a ritmo di rumba come I Got Sumpin’ for You, questa in stile New Orleans e nel disco Ace presentata in due versioni, una comprensiva di false partenze e dialogo di Slim con la cabina, e You’re Gonna Miss Me, lento con andamento funereo che ricalca lo stampo di The Things.
Dall’ultima registrazione Specialty del 12 dicembre, prodotta da Bumps Blackwell, uscì il disco con Something to Remember You By, altro lento che ricorda The Things, con intonazione solenne e chitarra lacerante, e il rauco You Give Me Nothing but the Blues, R&B spesso e calibrato.
Furono fatti anche il boogie corale Certainly All, arguto shouting (il “certamente tutto” si riferisce alle cose che il nostro ama) rinforzato da battito di mani e assolo scintillante, poi ripresa molte volte in ambito jump blues (Lynwood Slim, ad es.), e il rifacimento “metallico” della celebre Going Down Slow di Jimmy Oden, con piano alla Fats Domino, ma non furono pubblicati. Strano, perché mentre il secondo non era certo un motivo nuovo (l’originalità sta nel canto selvaggio e nel suono invasivo e folgorante), il primo ha l’orecchiabilità da classifica.

Label of Guitar Slim's 78 rpm "Down Through the Years" (Atco Records)

Esaurito il contratto con Specialty nel 1957 Atlantic poté finalmente ingaggiarlo per diversi singoli usciti su Atco (più qualche inedito e qualcuno sull’etichetta madre). Le sessioni di quell’anno furono almeno tre, quasi tutte nello studio di New York: in febbraio, settembre (da Matassa a New Orleans) e in ottobre, quest’ultima con l’orchestra di Lloyd Lambert.
Purtroppo tra i produttori (Ertegun e Wexler) e l’artista non scattò l’intesa e anche questi dischi, con voci aggiunte e rafforzo nella sezione fiati, non uscirono dal mercato del sud. Con Guitar Slim Atlantic s’era messa in testa di conquistare il mercato giovanile, così come Chess aveva fatto con Chuck Berry, ma la ricetta non funzionò.
Localmente, però, era amato e il suo personaggio mantenuto vivo, tanto che perfino ai rehearsal e alle registrazioni Slim si presentava in modo appariscente, come una star. Alla prima sessione Atlantic, come si legge nell’autobiografia di Jerry Wexler, (3) si fece attendere ore, fino a quando uno sciame di persone, che l’avevano visto sfilare per le vie in macchina, ne annunciarono l’arrivo. Tre Cadillac rosse si fermarono e lui scese, tutto vestito di rosso e con un codazzo di valletti, dicendo di doversi infilare i suoi singing pants prima d’entrare in studio.
L’ultima sessione Atlantic fu il 22 gennaio 1958 ancora con l’orchestra di Lambert; (4) tra i titoli, i due del singolo If I Had My Life to Live Over / When There’s No Way Out erano premonitori di una fine vicina.
Nonostante il declino nelle vendite, Slim e la sua band continuarono le tournée, con un solo stop verso il volgere dell’anno, momento in cui le stagioni passate a vivere e a bere intensamente cominciarono a presentare il conto.

Un numero incalcolabile di donne e figli, e ogni giorno una dieta a base di mezzo litro di gin allungato con un quinto di porto. Incurante o incapace di seguire gli avvertimenti dei dottori, Slim s’ammalò seriamente e s’indebolì così tanto che fu obbligato a rimanere a Thibodaux.
In questo periodo sembra che a un certo punto smise di bere, in particolare durante l’ultimo mese di vita cercò di rimettersi in forma per affrontare un altro tour e, anche se non s’era ancora ripreso del tutto, all’inizio del febbraio 1959 Slim s’imbarcò per una serie di concerti nello Stato di New York.
A Rochester, una delle tappe, avvisò Lambert d’essere stanco e di non farcela più (“My time is up”), e di cercare un altro cantante; quella sera riuscì a fare solo un brano. Il giorno dopo, a Newark, Slim concluse il set collassando subito dopo, e il dottore consigliò il ricovero.
Arrivati a New York per la serata successiva, fu portato da un medico a Harlem, ma era troppo tardi e morì per le complicazioni di una polmonite bronchiale il 7 febbraio, a trentadue anni.
L’eco della sua morte giunse lenta a New Orleans. La notizia fu riportata dal Louisiana Weekly (sotto) in ritardo, oscurata da un’altra che fece più scalpore in quei giorni, ossia l’incidente aereo in cui persero la vita Buddy Holly, Ritchie Valens e Big Bopper.
Hosea Hill lo fece portare a Thibodaux, e si prese carico delle esequie con un funerale alla Mount Zion Baptist Church; oggi la lapide è incisa con il suo nome, ma per molto tempo è stata anonima.
Accanto giace il suo benefattore, Hosea Hill, e insieme a lui nella tomba riposa la sua inseparabile Les Paul Goldtop.

Guitar Slim's obituary on Louisiana Weekly

(Fonti biografiche: Jeff Hannusch a.k.a. Almost Slim, I Hear You Knockin’, The Sound of New Orleans Rhythm and Blues, Swallow Publications, Ville Platte, 1985; John Broven, Rhythm & Blues in New Orleans, Pelican Publishing, 1978; Tom Aswell, Louisiana Rocks! The True Genesis of Rock & Roll, Pelican Publishing, 2009).


  1. Eddie Jones conobbe Nighthawk all’Harlem Club di Hollandale, e occasionalmente suonò il piano per lui.[]
  2. Ray Charles rimase tre anni a New Orleans, periodo importante per la reciproca contaminazione – intendo reciproca con la città – risiedendo al Foster Hotel, nei pressi del Dew Drop Inn.[]
  3. Jerry Wexler, David Ritz, Rhythm and the Blues, A Life in American Music, Alfred A. Knopf, 1993.[]
  4. Pezzi grossi: Joe Morris, tromba, Matthew Gee, trombone, Johnny Griffin, sax tenore, Elmo Hope, piano, Percy Heath, basso, Philly Joe Jones, batteria.[]
Scritto da Sugarbluz // 24 Maggio 2011
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