Alan Lomax – La terra del Blues

Delta del Mississippi. Viaggio all'origine della musica nera
Casa Editrice: Il Saggiatore SpA, Milano, 2005
Edizione originale: The Land Where the Blues Began, Pantheon Books, New York, 1993
Prefazione: Alessandro Portelli
Traduzione: Chiara Midolo
Libro di Alan Lomax, La Terra del Blues (The Land Where the Blues Began), Viaggio all'origine della musica nera

Alan Lomax ha 78 anni quando nel 1993 esce negli Stati Uniti The Land Where the Blues Began, un libro originato dai ricordi, dagli appunti, dalle registrazioni e dalle sue considerazioni sul tema; una gran quantità di materiale riesaminato con la saggezza di poi.
L’etnologo e antropologo cominciò presto a fare esperienze sul campo, all’epoca della Grande Depressione, accompagnando il padre John, il primo a fare uso di una pesante strumentazione portatile, nei suoi viaggi al sud, nelle carceri e nei campi di lavoro forzato, per registrare i canti dei prigionieri.
Nell’introduzione l’autore condensa in poche pagine il lavoro di una vita passata a documentare, in principio ancora su dischi di alluminio, il folklore e la musica popolare mondiale, e delinea i viaggi nel segregato Delta del Mississippi (inteso non come la foce del fiume, ma la pianura della regione nord-ovest del Mississippi, la culla del blues), nei periodi pre e post-bellico, alla ricerca di testimonianze dirette dei protagonisti, faticosamente raccolte a causa dell’omertà diffusa in conseguenza delle leggi razziali, e all’osservazione dei significati, dei contesti, delle profonde motivazioni che diedero inizio a questa grande esperienza chiamata blues.

Dal libro si ricava un crudo ritratto sullo stato delle cose nel Sud degli Stati Uniti, e Lomax mostra il disprezzo e la repulsione verso gli sfruttatori degli ex-schiavi ancora largamente ghettizzati, assurgendo a paladino e difensore. C’è però un’aura un po’ paternalista e un certo imbarazzo essendo lui stesso figlio della cultura segregazionista sudista (originario del Texas e con il padre John di stampo conservatore), e bisogna rilevare che i Lomax furono accusati d’aver sfruttato gli artisti registrati, offrendo loro da bere e allontanandosene immediatamente non appena ottenuto ciò che serviva.
Potrebbe sembrare che la rabbia e la denuncia di Alan Lomax non scaturiscano da un sentimento presente allora, ma siano il risultato di una riflessione maturata nel corso negli anni. È difficile stabilire se il senso d’ingiustizia e il riconoscimento verso quegli uomini fossero già coscienti in quegli anni o che lo fossero allo stesso livello della smania di reperti attanagliante il ricercatore, in missione per la Biblioteca del Congresso di Washington. Tuttavia Lomax rimane prezioso e insostituibile testimone di una realtà poco documentata e in continuo cambiamento e, da fuori, può esser fazioso giudicare comportamenti che in talune situazioni sono scarsamente valutabili.

Il suo lavoro era complicato su due fronti perché sia i bianchi che i neri lo trattavano con sospetto. Al sud all’epoca della segregazione era rischioso farsi vedere in giro con i neri del posto, e più di una volta i poliziotti lo minacciarono con il fucile o lo portarono nella prigione della contea con l’accusa di “agitatore di negri”; nell’introduzione accenna anche al fatto che gli spararono due volte, ma non specifica come e chi. In pieno maccartismo subì i continui controlli dell’FBI, tanto che fu costretto a vivere diversi anni in Europa.
Sull’altro fronte invece gli ci vollero anni per conquistare la fiducia degli afroamericani, essendo molto pericoloso per loro raccontare; fatto che giustifica l’omissione, fino al 1990, dei veri nomi dei protagonisti della conversazione nel capitolo 10.
Dal punto di vista letterario, comunque, il libro è interessante ed emozionante, è un resoconto della vita in Mississippi nei primi decenni del Novecento. È un viaggio nei luoghi e all’origine della musica blues, pieno di testimonianze, canzoni, personaggi, paesaggi, e la scrittura, semplice e scorrevole, è stimolante ed esente da descrizioni ridondanti: il lettore ha spazio per proprie riflessioni, trasportato da parole che paiono fotografie. Più che la descrizione musicale risalta la messa a fuoco dei personaggi, delle storie, delle loro attività, dell’ambiente e della terra in cui tutto si svolgeva.

Di materiale ce n’è davvero tanto. Il suo ritorno nella dura Memphis del 1942 verso la contea di Coahoma controllato a vista dagli sceriffi di ogni contea, la ricerca di Robert Johnson, qua chiamato Little Robert (alcune notizie non combaciano con la biografia ufficiale del bluesman, tipo il nome della madre), purtroppo già scomparso, i riferimenti a luoghi come Tunica, Clarksdale, Senatobia, Friars Point, gli incontri con William Brown, Son House, Muddy Waters, (1) Fred McDowell, Sid Hemphill e la nipote Jessie Mae, Napolian Strickland, Eugene Powell, Sam Chatmon, Jack Owens, David ‘Honeyboy’ Edwards, Forrest City Joe.
Entrano anche i detenuti di Parchman, i predicatori e la religione, il gospel e le cerimonie religiose, il folklore dei racconti dal barbiere (ai tempi un luogo di aggregazione) e un capitolo dedicato ai “fischi solitari” che hanno influenzato la musica blues, come quelli del battello a vapore e del treno, quindi le attività fluviali e ferroviarie con le loro specifiche canzoni scandite dai ritmi lavorativi, ma anche, più tardi, i clacson e il rombo dei Greyhound diretti al nord, dopo la costruzione delle autostrade, tutti mezzi profondamente legati alle attività e quindi all’esistenza degli afroamericani.
E ancora, un capitolo dedicato alla creazione del lungo argine del Mississippi, da Cairo nell’Illinois fino a New Orleans – paragonato alla Grande Muraglia – dapprima lasciato a interventi locali abbastanza inutili, poi organizzato in un grande progetto che ha interessato tutte le regioni a rischio esondazione.

[…] Costruito a forza di braccia dai mulattieri neri, che incitavano i muli con richiami primordiali, le uniche melodie chiaramente africane individuate negli Stati Uniti. Queste canzoni, dirette antenate del blues, avevano un effetto magico sui muli e talora li spingevano ad ammazzarsi letteralmente di lavoro. Forse questa magia pulsa ancora nel blues. Di certo, gli uomini che costruirono l’argine […] erano tra gli individui più duri che avessero mai calpestato il suolo americano: furono loro a domare la natura semi-tropicale soffocata dalla vegetazione, tormentata da insetti e rettili velenosi e da gigantesche inondazioni primaverili, trasformandola in terreno per la coltivazione del cotone, di valore inestimabile.

Non mancano un capitolo sulle prigioni, con un fantastico, recitativo titolo: “Alzati, morto”, (2) corredato da bellissime foto d’epoca, e riflessioni sull’aspetto erotico nei testi, nei balli e nei giochi dei bambini, un capitolo sul forte impatto del “blues delle colline” con i suoi personaggi oggi noti, e uno dedicato a Big Bill Broonzy.
In tutte le storie il denominatore comune è la disamina dell’attività lavorativa in quanto importante, giornaliera esperienza e spazio all’interno del quale si sviluppò il carattere fondante della musica blues, in un racconto a tutto tondo con il dolente richiamo ad una dignità allora impossibile da ottenere. A fuoco anche l’aspetto ricreativo e aggregante della musica nera, mentre le visioni più crude vanno in contrasto, o a volte si dissolvono, con la dolcezza dei verdi paesaggi mississippiani, propri di una terra fertile quanto instabile.
Completano un CD allegato, con però solo quattro brani per neanche 12 minuti di registrazione, una prefazione italiana, un paio di indici analitici e un’appendice con alcuni testi di canzoni citate nel libro. Come sempre, scomode le note a fondo volume, e almeno un paio di errori di stampa.
Per quanto riguarda la scomparsa di Bessie Smith Lomax passa la prima versione, quella della mancata assistenza, mentre in altri testi è stata decisamente smentita.
Versi di canzoni inglobati nella prosa, taglienti, significativi dialoghi a denti stretti e citazioni efficaci vanno a comporre il succo della storia; alcune di queste potrebbero essere strofe di un brano da quanto sono azzeccate e tipiche del riso amaro che caratterizza il blues. Chiudo con una di queste, di Big Bill Broonzy (presenti anche Memphis Slim e un divertito Sonny Boy Williamson) su un padrone particolarmente cattivo:
«È lui che ha inventato il turno di otto ore, quaggiù. Sai come funziona? Otto ore al mattino e otto ore al pomeriggio».


  1. Stranamente non c’è nessun accenno al primo incontro con il bluesman durante la spedizione del 1941 a Stovall in cui, insieme a John Work III, registrò il primo disco di Muddy.[]
  2. “Alzati morto, e aiutami a scavare”, da una pubblicazione di Bruce Jackson, Harvard, anni 1970.[]
Scritto da Sugarbluz // 10 Marzo 2010
È vietata la riproduzione anche parziale di questo articolo senza autorizzazione

Potrebbero interessarti anche...

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.