Big Maceo Merriweather – The King of Chicago Blues Piano

Cover of Big Maceo Merriweather CD The Best of, King of Chicago Blues Piano

La definizione data da Arhoolie sulla copertina di questa raccolta può sembrare esagerata, di quelle per richiamare l’attenzione e per, appunto, definire il genere, ma porre Big Maceo Merriweather al vertice della genealogia del blues di Chicago non è affatto un eccesso. Basterebbe dire che per Otis Spann, il pianista per eccellenza del blues chicagoano, Big Maceo era un idolo.
Inoltre, il meraviglioso canto di Spann era della stessa pasta di quello di Maceo, come se quest’ultimo l’avesse passato all’altro per continuare ciò che iniziò e non poté sviluppare oltre, Spann quindi il suo prosecutore naturale.
Big Maceo non ebbe fortuna: una carriera discografica cominciata tardi, a trentasei anni e alle soglie della seconda guerra, interrotta dal primo, e più lungo, Petrillo ban e finita presto a causa di una paralisi: storia simile a quella del pianista coetaneo Roy Hawkins sulla costa occidentale. Una manciata di dischi in pochi anni che non ha permesso di documentare l’intero percorso, ma ciò che ha lasciato negli anni 1940 e in parte ascoltabile qui è l’apice della sua produzione.

Negli anni 1970 Mike Rowe ha dipanato un po’ il mistero che per tanti anni ha offuscato la sua biografia, consultando varie fonti e parlando a Detroit con la vedova, Rossell ‘Hattie Bell’ Spruel, e con l’unico fratello rimasto, il Rev. Roy Meriweather, a casa sua a Dayton, Ohio. Ciò che rimane ancora relativamente oscuro è da dove Maceo originò il suo stile, chi furono i suoi principali maestri, quando e come cominciò a suonare, ma il Rev. Meriweather dà qualche suggerimento:

Crescemmo in una fattoria […] nella Coweta County tra Newnan, Georgia, e Atlanta, trentanove miglia a ovest di Atlanta […] e là lavorammo nella fattoria fino a quando il mio fratellino a soli quindici anni andò ad Atlanta, suonando nei locali in cui c’erano pianoforti […]
Eravamo tutti cantanti, grazie a nostro padre. Mio padre cantava sempre quando tornava a casa dal lavoro. Tornato dai campi, prendeva il suo libro – il suo libro dei canti – e diceva: “Forza ragazzi, aiutatemi a cantare”

I genitori Christopher (Kit) e Ora Meriweather erano nati entrambi a Newnan, come i loro undici figli.
Maceo, nato Major Meriweather il 31 marzo 1905, era il più giovane tra i cinque ragazzi, o forse tra tutti. È immaginabile che la sua infanzia non sia stata diversa da quella di qualsiasi altro bambino in un nucleo contadino del sud agli inizi del Novecento. A parte l’attitudine al canto, nessuno tra i suoi famigliari suonava uno strumento a quel tempo.
Quando andarono via dalla fattoria, nel 1920 circa, Kit lavorava per la Laurel National Bank e la famiglia si stabilì al 52 Ham Street a College Park, nove miglia fuori Atlanta. Là Major venne in contatto con il pianoforte gironzolando nei locali lungo Harvard Avenue.
Il reverendo afferma che Major, nonostante frequentasse la chiesa, non cominciò a suonare lì (più avanti però dice che «ha preso tutto nell’ambiente spirituale. Non conosco altro modo in cui può aver imparato»), ma in quello che lui chiama “a restaurant”, “or some kind of joint they called it, you know”.
Probabilmente il posto in cui Major per la prima volta appoggiò le mani sullo strumento non era né un ristorante né un juke joint, ma una casa privata, la stessa che Hattie ha ricordato di una certa Roxy, una signora per la quale lavorava e che gli permetteva di suonare il suo pianoforte. Roy è sicuro che nessuno abbia insegnato a suonare a Maceo nel senso di lezioni formali, ma debba aver assimilato la tecnica da qualche contemporaneo:

Non suonava benissimo, ma imparò sentendo gli altri ragazzi. Suonava a orecchio. Fece pratica con altra gente; bastava che ascoltasse la musica e cominciava a suonarla allo stesso modo. Così diventò noto praticando questo suo talento. Bazzicava quei joint in cui c’erano i pianoforti e la gente amava ballare. Le persone volevano che qualcuno suonasse, si mettevano a ballare e a incitare il pianista: “Sing that thing, boy, go ahead!”. Era un buon cantante, e quando sentiva un blues iniziava a cantarlo e insieme a suonarlo. Richiamava l’attenzione del gruppo, e ogni sera volevano che tornasse. Non avevano pianisti famosi nella zona di College Park.

Nel 1923 due dei suoi fratelli più vecchi, Guy Lee e Odessa, vivevano a Detroit e Roy, ch’era sposato, fu convinto a trasferirsi là. L’anno seguente anche Major fece il viaggio. I Meriweather, insieme ai primi emigranti afroamericani che arrivarono dal sud nella grande città del nord, si stabilirono nell’East Side; Roy al n. 1904 di Antietam, vicino ai binari del Grand Trunk Railroad, Maceo poco lontano.
Nella Motor City adottò il nome Maceo, distorsione di Major, mentre è probabile che l’aggiunta di una “r” al cognome fu un errore. Il perché di “Big” è invece evidente: era quasi due metri e pesava circa centoventi chili. Nonostante fosse un preacher Roy non era avverso al blues, e avendo un piano in casa Maceo lo suonava spesso. A volte Roy lo vedeva nei club, su vie come Russell e Macomb.
All’incirca nel 1926, dopo che il padre morì investito da un camion, Roy tornò ad Atlanta per recuperare il resto della famiglia e portarlo a Detroit, ma poi lui e i fratelli si stabilirono con la madre a Dayton, Ohio, dove viveva una sorella, e persero i contatti con Maceo.

Black Bottom's street in 1920s, Detroit
Una via residenziale di Black Bottom, 1920 ca
Il cartello sull’albero recita “Always Drive Safely”
Courtesy of The Detroit News

Da solo in città, poco si sa su quanto frequentasse la vita musicale di Black Bottom, il quartiere afroamericano nell’East Side le cui vie principali erano St Antoine e Hastings (quest’ultima descritta da John Lee Hooker come “a rough wide-open street”) e dove la scena musicale era fiorente tanto quanto la vita difficile. Anche se il nome del quartiere calzava a pennello per un ghetto nero, storicamente aveva un altro significato: l’area era la sorgente del fiume Savoyard, e il nome derivava dall’avvallamento del terreno e dal suolo paludoso, melmoso e scuro.
Hastings Street cominciò a popolarsi di immigrati negli anni precedenti la prima guerra, mossi dalla promessa di Henry Ford di una paga di cinque dollari al giorno, un’enormità ai tempi, e pian piano Black Bottom diventò comunità afroamericana. In quella via il padre di Aretha Franklin, il noto e rispettato Rev. C.L. Franklin, nel 1948 aprì la New Bethel Baptist Church, in cui la sua giovane e incredibilmente dotata figlia allietava i fedeli al piano e alla voce (insieme alle sorelle), mentre J.L. Hooker divenne il più popolare prodotto nazionale uscito da Hastings.
Il culmine dello sviluppo e dell’autonomia dell’area fu negli anni 1940, con tante attività commerciali, istituzioni sociali, medici, avvocati, un teatro (Paradise Theater), naturalmente tanti night club (Club Three Sixes, El Sino, Pendennies, 606 Horse Shoe, B&C Club, Congo Lounge, Gay 90’s Club, Royal Blue Bar, The Bluebird Inn, The Flame Show Bar, Three Star Bar, Forest Club), e persino il suo sindaco non ufficiale. In quegli anni il quartiere raggiunse il picco per la musica, con i regolari arrivi di Duke Ellington, Billy Eckstine, Pearl Bailey, Ella Fitzgerald, Billie Holiday, Count Basie.

Historic Black Bottom's Horse Shoe Bar, Detroit
606 Horse Shoe Bar, E. Adams St.
(Black Bottom)
Courtesy of The Detroit News

Nel 1936 l’area aveva preso il nome di Paradise Valley, e in qualche modo lo era, un paradiso: l’ingresso al Paradise Theater costava cinquanta centesimi, e i clienti potevano stare tutto il giorno; erano previsti tre spettacoli al giorno e quattro nei weekend, tra uno e l’altro erano trasmessi film di serie B. Oltre i sopra detti molti altri s’esibirono lì, come gli Inkspots, Cab Calloway, Jimmy Witherspoon, Alberta Adams, Dinah Washington, Josephine Baker, Big Maybelle, Little Willie John, Arthur Prysock, Illinois Jacquet, Nat King Cole, Sammy Davis Jr, Mills Brothers, Dizzy Gillespie, Louis Armstrong, Maxine Sullivan, le orchestre di Jimmie Lunceford, Fletcher Henderson, Lionel Hampton.
Negli anni 1950 il teatro perse la supremazia a favore di sale più moderne. Inoltre, dopo la seconda guerra le strutture del quartiere, risalenti agli anni 1860/1870, erano fatiscenti e, piuttosto che restaurarle, nei primi anni 1960 si decise per la demolizione dell’intero distretto a favore di un nuovo progetto urbano che seppellì per sempre Black Bottom nel fango da cui era salito. Il teatro si salvò dalla demolizione e fu restaurato come Orchestra Hall, sede della Detroit Symphony Orchestra, mentre la scena blues (ad esempio Howard Armstrong, Willie D. Warren, Baby Boy Warren, Bobo Jenkins, Eddie Kirkland, Eddie Burns, Harmonica Shah, Detroit Piano Fats, Leon Horner, Duke Dawson), con ancora alcuni rappresentanti della generazione precedente, si dissolse o si trasferì nel West Side. Negli anni 1950 erano nate le prime indie discografiche di Detroit, ma negli anni 1960 Motown e il suo suono divennero imperanti.

Historic Paradise Theater, Black Bottom, Detroit
Il Paradise Theater su Woodward
Courtesy of The Detroit News

Se si guarda negli anni più oscuri, quelli in cui Merriweather arrivò là (1920/1930), si nota che l’attività blues di Detroit non fu documentata a causa della mancanza di etichette discografiche e di promotori/talent scout sul territorio. Solo Charlie Spand e Will Ezell videro uno studio di registrazione negli anni precedenti la Grande Depressione, e Calvin Frazier e Sampson Pittman nel 1938 per la Biblioteca del Congresso.
È impossibile sapere se Maceo negli anni 1930 auspicasse un futuro discografico, se s’esibisse molto nei club o se invece stesse più per conto suo, lavorando di giorno e la sera suonando agli house party, la più frequente opportunità di lavoro per i musicisti della zona, con vie come Brady e Alfred fulcro centrale dell’attività. Una delle case in cui Major suonava abitualmente era di Hattie Spruel, poi sua moglie, al 980 Alfred Street, tra Rivard e Hastings, in cui al piano superiore si vendeva whiskey:

È dove l’ho conosciuto. Veniva sempre in casa mia e io lo pagavo con i soldi, mentre gli altri con il whiskey. Gli dicevo di non bere, di non rovinarsi, di non attaccarsi al whiskey o al vino perché presto sarebbe diventato un ubriacone senza riuscire a fare più niente. Allora non sapeva niente di niente, e aveva donne solo per andarsene in giro, ma quando si mise con me lo feci registrare. Quando ci siamo sposati, gli ho fatto fare dei dischi. Quando ho sposato Maceo ero poco più di una bambina, molto prima che lui lavorasse per il progetto WPA. (1) Ha lavorato sulla ferrovia, e quando le cose andavano male faceva il tuttofare. Quando i tempi andavano meglio ha lavorato ovunque, ha sempre avuto un lavoro. Ha lavorato alla Ford e un po’ dappertutto.

Hattie spiega d’averlo indirizzato e aiutato nella carriera musicale, e che la cosa importante per lei era che Maceo ottenesse un contratto discografico: «Lo mandai a Chicago, e quando fu là incontrò Tampa Red e Big Bill [Broonzy, ndr], e Tampa Red trovò Melrose».
Lester Melrose, noto talent scout e produttore discografico, tra i primi a incidere il blues dagli anni 1920 per svariate major, dovette rimanere ben impressionato se il 20 giugno 1941 Maceo scrisse questa lettera dalla casa di Tampa Red a Chicago, 3432 South State Street: (2)

My dear loving wife I arrive in Chicago at 3pm and arrive safely Baby we will record tuesday Melrose said and dont you worry Just be a good girl because I am a good boy listen baby I really have mis you it look like I have bin here 2 weeks already listen darling Mis Tampa and all said just take it easy everything is going to be allright and tampa said it wont be long now So baby Dont think hard of me for not writing more but we are so busy I and Tampa untill I am worn out. So you just be sweet until your husburn come home
your husburn
M Merriweather
PS Write soon and let me no just how you are getting along your baby MM

Big Maceo Merriweather 78 rpm record "Worried Life Blues"

Sembra un blues. Come riferito alla moglie il martedì seguente, 24 giugno, a Chicago, Maceo accompagnò Tampa Red su otto lati e ne registrò sei a proprio nome, con il contrabbasso di Ransom Knowling in due di questi; fu un debutto sorprendente uscito su Bluebird, sussidiaria di RCA Victor Records.
Mostrò una tecnica notevole e originale, associata a uno stile blues tradizionale in forte contrasto con i pianisti da studio di Melrose a proprio agio con i gruppi jazz, come Black Bob, Horace Malcolm, Simeon Henry, Blind John Davis, quest’ultimo sempre particolarmente sdegnoso riguardo la mancanza di educazione musicale formale dei bluesman – ma qui non ebbe molto da dire. In ogni caso, Big Bill Broonzy più tardi confermerà la comprensione di Maceo della teoria, dato che i due avevano frequenti discussioni musicali.
La produzione di Melrose era acustica, con pochi accompagnatori e un suono sofisticato tendente all’uniformità; è noto che il produttore rifiutò la musica di Muddy Waters, rurale, sanguigna e coinvolgente, troppo diversa da quella imperante in quel momento a Chicago (che Muddy chiamava sweet jazz) e su cui Melrose aveva un dominio quasi assoluto.

Con l’accompagnamento della chitarra di Tampa Red in sintonia, Major usa una struttura a otto battute e sforna subito quello che sarà il suo signature song, una variante di Someday Baby di Sleepy John Estes, il bel tenebroso Worried Life Blues, classico entrato nel repertorio di molti, uno su tutti quello di un altro grande pianista georgiano, Ray Charles. È semplice e diretto, senza sbavature, bilanciato e ben proporzionato: ricetta ottimale per il successo. Complice è il canto fumoso, maturo, acre, con inflessione irresistibilmente malinconica a cui contrasta, prima del break strumentale, un inciso parlato in tono ironico e sprezzante (No boy, I ain’t gonna worry my life no more, yeah yeah, ma ho il sospetto che potrebbe essere di Tampa Red, soprattutto se si pensa alla voce in Can’t You Read, v. sotto).
È anche dai brani che Maceo ha ripreso che s’evince quali possono essere stati i suoi musicisti di riferimento, o perlomeno coloro che aveva assimilato; Ramblin’ Mind Blues, ad esempio, richiama all’Highway 61 Blues di Roosevelt Sykes. Mike Rowe dice che potrebbe essere stato Tampa Red a passargli la sua tipica linea di basso, un accordo su ogni movimento in battere, spesso incorporando abbellimenti a fine battuta, dato che il chitarrista suonava il piano in uno stile simile (v. disco del 1936 Someday I’m Bound to Win). È possibile, ma c’è la probabilità che fu Leroy Carr, pianista seminale per molti, a influenzare entrambi, Tampa Red per primo; infatti, il chitarrista incise precedentemente con Carr.

A parte le tonalità usate dalla maggior parte dei pianisti, Do e Sol, Maceo suonava anche in Si bemolle, come nel fine, e splendido, County Jail Blues, in cui sembra assumere tono ironico e dà il via al solo del collega con Ah, play it Mr Tampa, richiamo che torna utile per confermare chi è all’accompagnamento. Qui dubbi non ve n’erano anche perché Tampa Red simbolizza il chitarrismo nella Chicago del periodo, ma è bello sentire anche i segnali vocali della concreta e costante interazione tra i due.
Per Can’t You Read Major prende un novelty song affondato nel folklore, The Monkey and the Baboon, e ne fa un brano originale con il grande aiuto del suo “doppio” Tampa Red che qui contribuisce anche vocalmente, con tono nasale e sarcastico, dipingendo scenette surreali (che trent’anni dopo sono dylaniane se al posto degli animali mettiamo personaggi umani, come forse bisogna immaginare anche qua – ed è da notare l’impressionante somiglianza di un certo carattere e tono vocale ironico di Dylan con questo di Tampa) e allo stesso tempo un luogo reale noto a Big Maceo: Hastings Street, descritta com’era nei fine settimana in cui si poteva trovare “most anything” e qualsiasi tipo di cibo (“just name yo’ dish”), prima di invitare il collega per il breve break strumentale (Yeah, play it Mr Maceo).
So Long Baby segue la tematica testuale di Worried Life e di altri suoi brani, tempi moderati dall’umore cupo (ma sempre inclini alla speranza), stemperato dagli echi quasi hawaiani della chitarra di Tampa e da un pianoforte dalla vena energica e incisiva con una potente mano sinistra, agevolata dal mancinismo. Tuttavia nella sua bellezza anarchica è molto diverso dalla geometrica perfezione di Worried Life, e inusuale per fraseggio sia a suo modo che tra altri suoi insoliti (rispetto al blues “standard”). Infatti abbiamo, su una struttura ABC, il primo verso di ogni strofa molto lungo di per sé e in relazione ai due seguenti, ad es.: ‘Cause when you was my baby, I treated you nice and kind, but baby I have changed my mind, o You gonna wake up one of these mornings and it ain’t gonna be long, and look for me and I will be gone; sono lunghi da sostenere melodicamente e per essere solo il primo verso, ma quando li canta lui non ce se ne accorge.
Texas Blues apre pensieri riguardo ai posti in cui visse. È possibile fossero solo scelta narrativa le frasi My home’s in Texas (…) good corn whiskey and women brought me here e I love Texas, that is the place for me, però lo stato della stella solitaria doveva attrarlo se poi (nel 1945) incise anche un quasi-strumentale carico di swing, Texas Stomp, in cui Maceo suona in uno stile tipico della zona, con richiamo alle tradizioni ragtime, barrelhouse e boogie-woogie.
Le prime sei facciate forse vendettero bene, ma sicuramente lo fece Worried Life Blues, tanto che Hattie ha affermato: «Melrose was as crazy about them as he could be, because they made his living».

Big Maceo Merriweather at the piano

La seconda sessione fu il 19 dicembre 1941 e furono registrati altri sei brani, di cui quattro presenti qui (gli esclusi sono It’s All up to You e Why Should I Hang Around), con Tampa Red e il contrabbasso di Alfred Elkins ben udibile. Sono mid tempo pensosi in cui Maceo affronta temi consolidati con il supporto dei singhiozzi gutturali di Elkins: Tuff Luck Blues, il blues della sfortuna, I Got the Blues, il blues dell’abbandono, destino peraltro a cui tutta la sua famiglia sembra destinata, Bye Bye Baby, il blues dell’addio e Poor Kelly Blues, il blues del femminicidio.
Quest’ultimo è stato ripreso da Lil Son Jackson come Messin’ Up (Imperial, 1955), mantenendo solo la prima strofa, cambiando la terza e aggiungendone una nuova, poi da James Brewer, rintracciabile sia come See What Poor Kelly Done nella registrazione dal vivo al Fickle Pickle Club a Chicago nel 1963, che come Poor Kelly Blues nella raccolta I Blueskvarter, Chicago 1964, Vol. One (in entrambe le pubblicazioni attribuito a Merriweather, a differenza di quello di Jackson, non accreditato); Brewer mantiene tutto tranne la quarta strofa, oltre ai riferimenti del titolo originale.
Ai nostri tempi è stato invece R.L. Burnside a riprenderlo come See What My Buddy Done, probabilmente dalla versione di Lil Son Jackson direttamente (e come lui manca l’accredito e cambia il titolo) dato che le strofe sono le stesse sue e c’è fedeltà anche strumentale e stilistica, entrambi chitarristi elettrici a loro modo epigrafici (la differenza qui si pesa nei cinquant’anni di distanza, più che altro); potrei quindi supporre che Burnside non avesse neppure sentito Big Maceo, mentre i dischi Imperial di successo degli anni 1950 erano verosimilmente nel suo bagaglio.

Tornando all’apparente “scontatezza” tematica e all’omogeneità dei quattro titoli (accentuata dall’essere tutti in Si bemolle, e tutti a tempo medio), vi si contrappongono invece ricchezza narrativa, frasi libere e l’uso di forme strofiche diverse rispetto alla classica AAB (a parte Bye Bye Baby e le prime due strofe di Tuff Luck), preferendo le forme ABCD e ABAB con alcune varianti in ABBC e ABAC, e chorus (refrain) nelle strofe (come in Worried Life). Il brano più narrativo è quello di cui abbiamo appena parlato, lo spietato Poor Kelly Blues: se nelle versioni Jackson/Burnside ne viene fatta una sintesi comunque efficace, nell’originale di Maceo abbiamo un racconto breve in cinque strofe quasi tutte in rima, per di più svolte di seguito senza l’usuale interruzione per il solo strumentale, e dove le ripetizioni non sono convenzione ma acquistano precisa valenza poetica ed emotiva, vale a dire rimarcano stadi importanti della narrazione.
In Tuff Luck Blues nel punto in cui medita di tornare a lavorare nei campi (non potendosi più permettere la vita cittadina descritta poco prima) lancia dei piccoli vocalizzi che sembrano semplici interiezioni per arrivare a fine misura in rima: It’s too bad, things are going so tuff with me / I guess I go back to my plow, and start hollerin’ “whoa, haw, gee”, ma in realtà intende raffigurarsi dietro all’aratro e al mulo usando un gergo diffuso tra i mezzadri per dirigere muli e cavalli, dove whoa sta per stop, haw per andare a sinistra e gee per andare a destra. I Got the Blues ha invece una musicalità da filastrocca con quelle frasi così “swinganti” e dolci dalla voce assottigliata, che catturano immediatamente l’orecchio, tipo: You got a man in the east / An a man in the west / Jus’ sittin’ here worryin’ / Who you love the best?, o My mama got ‘em / My papa got ‘em / My sister told me / That she had them too; con le prime due sentenze di ogni strofa Maceo mette il brano su un’altalena, insieme alle “notine” che si rincorrono nel piccolo break pianistico.
Strumentalmente, anche qui Maceo preferisce (o più verosimilmente gli fu imposto) un accompagnamento (di chitarra, più eventualmente basso e/o batteria), con nessun brano di solo piano, e si nota come i break strumentali siano sempre di piano e chitarra insieme, con i due che, dopo il cantato, partono per una breve corsa, il pianista a chiedere l’accompagnamento: Now boy, you know I got the blues, now play ‘em for me now! (in I Got the Blues), o Now boy, let’s get the thing! (in Bye Bye Baby).

Nel febbraio 1942 accompagna Tampa in otto facciate, e il 28 luglio dello stesso anno ha la terza sessione a suo nome con quattro brani (più un altro, She Wants to Sell My Monkey) poco prima che lo studio accosti i battenti a causa del bando di Petrillo, con Tampa Red e un batterista, Clifford ‘Snag’ Jones.
In Some Sweet Day, anche dopo il richiamo di Maceo Now get it together, boys!, la chitarra rimane sotto a seguire il piano e la batteria è leggerissima, mentre lui accentua le frasi pianistiche prima di tornare al canto; è in Mi bemolle, con struttura ABCD, e pare una variante di Worried Life o, meglio, del Someday Baby di Estes. In “giro” è accreditato a Richard M. Jones e Sara Martin (che interpretò uno stesso titolo con il combo di Jones), ma è un errore, essendo un brano diverso.
Interessante Anytime for You, con strofa ABCD in cui CD è il chorus, e soprattutto dove Maceo esegue un (raro) assolo dopo essersi detto Pick ‘em boy, pick ‘em!, con un middle eight – anzi, un middle “thirteen” – che porta l’eco dei virtuosi del Midwest e di Roosevelt Sykes, come My Last Go Round rimanda alle andature spesse di Henry Brown. Anche Since You Been Gone si basa sulle energiche sonorità del blues pianistico di St Louis (anche qui abbiamo il chorus nell’ultimo verso di ogni strofa, il B di AAB).
Durante questo suo primo anno di incisioni e nel periodo seguente Maceo visse un momento buono e senza preoccupazioni, andando frequentemente a Chicago finché ci fu lo studio, e riuscendo a vivere tranquillo con Hattie a Detroit, avendo una figlia, Majorette, e guadagnando meglio di prima negli house party avendo un disco di successo. Hattie ha raccontato:

Era a casa mia e presi la lettiera, sì la lettiera del gatto, portandola in giro, e mentre giravo la riempirono così tanto che da quel momento cominciò a usare sempre una lettiera. Andavo in giro e prendevo nota delle canzoni chieste da ognuno perché c’era molta gente, e chiedevo chi voleva sentire questo o quest’altro. Urlavano “Suona questo Maceo, suona quest’altro” e dicevano “Miss Maceo, Miss Maceo fa’ in modo che Big Maceo suoni la mia canzone”, e io prendevo i nomi di tutti con la loro canzone e li portavo a lui. C’erano tante persone che volevano Worried Life che la doveva suonare una o due volte. Faceva soldi con questo sistema. La gente pagava […] almeno una cinquantina di persone volevano Worried Life, e lui la suonava ancora.

Inoltre s’esibiva regolarmente in club come The Post in Warren Ave nel West Side, il Brown’s Bar e il Crystal Bar in Hastings Street, e una birreria all’aperto, El Vido’s, tra Mack Ave e Russell Street. Peccato non si possa sentire ciò che suonava in quei luoghi, direi R&B perché un gruppo di foto rinvenute lo mostrano al Brown’s Bar con quella che forse era una band completa, dato che si vedono un trombettista e almeno un sassofonista. Hattie accenna a una di queste serate:
«I ragazzi suonarono la chitarra e ogni genere di strumento a fiato e poi c’era un coro femminile».
Anche il divieto Petrillo all’inizio non gli diede eccessive ripercussioni, ma era più faticoso guadagnarsi da vivere dovendo viaggiare molto per suonare. Nell’aprile 1944 scrisse che stava con Big Bill e che era di ritorno da un tour in Tennessee, e sarebbe stato fuori Atlanta per due settimane. Poi, probabilmente, il lavoro cominciò a scarseggiare se dal maggio 1944 fino alla fine dell’anno le sue lettere divennero sempre più deprimenti, e la maggior parte con richiesta di denaro, che Hattie mandava:
«[…] Mi hanno rubato la giacca quando sono tornato a Chicago, ma non ti preoccupare quando torno a Detroit voglio che la mia gente sappia che non sono uno straccione».
Hattie lo raggiunse a Chicago e per un po’ le cose andarono meglio quando Maceo riprese a lavorare; ma non per molto e in luglio viveva da Tampa, di nuovo senza lavoro e preoccupato per i vestiti, volendo tornare con l’aspetto di un musicista di successo davanti ai suoi parenti e amici:
«Mia sorella ha detto a qualcuno di venire a controllare se ero così malmesso come avevano sentito […] Voglio comprarmi un cappotto prima di tornare a casa, ascolta baby, dammi il tempo di aggiustare un po’ le mie cose». In agosto s’ammala, e il 12 settembre 1944 arriva questa lettera:

I love you more than the world but I am in a mess I dont need no money or nothing like that and Dont think that I want to keep you in suspense you know darling I bought me a suit an a few other things and to I bin trying to wait until they start recording – I am a poter on a train from Chicago to san francisco cal and I cant quit at present – whenever I get a chance I am coming home to you and will never leave you again Dont think hard of me Baby for not coming when I tould you I am just in a mess that I will hafter clear up myself But as fare as my welfair and health I am all wright

Maceo dovette lavorare come portabagagli mentre aspettava “fino a quando cominceranno a registrare”, ma a quel punto non c’era ancora molta attesa dato che, dopo ben due assurdi anni, verso la fine del 1944 lo sciopero fu revocato e in dicembre Tampa fece una sessione con Blind John Davis al piano; le cose stavano migliorando, grazie anche alla fine della guerra, ma il 1945 sarebbe stato il suo ultimo buon anno. Big Bill Broonzy ha raccontato d’averlo portato al famoso club Gatewood’s nel West Side di Chicago, tra Lake e Campbell:

The first night we played, Big Maceo rocked the house and I didn’t have to sing but one or two songs.

Dopo questa serata formarono un trio e aggiunsero il batterista Little T (Tyrell Dixon) e più avanti il bassista Little Joe e il sassofonista Buster Bennett, multistrumentista e cantante già sessionman per Melrose. Broonzy ebbe una sessione nel febbraio 1945 e con Maceo, Bennett e Little T incise dodici facciate.
Qualche giorno dopo, il 26 febbraio, Maceo fece una sua sessione con Tampa Red e il “cardiologo” Melvin Draper alla batteria (i suoi battiti sembrano cardiaci, ed è eccezionale quando aumenta le pulsazioni), dalla quale uscirono brani più veloci del solito. Big Maceo è in gran forma e Kidman Blues è un bellissimo uptempo tra stride e boogie dotato di bassi poderosi, giochi di parole e canto rugoso, affascinante, con il quale afferma I’m in Chicago and I’m doing very well, mentre Tampa lo segue con brio, e una novità: la chitarra elettrica. Nei chorus strumentali più veloci Maceo con la sinistra spesso sta su un’ottava con walking bass a eight-to-the-bar. (3)
I’m so Worried sembra una versione ampliata e più serena di Worried Life, nel senso che riprende lo stesso tema, poi incisa anche dal pianista texano Floyd Dixon.
Andatura più lenta e ben scandita per Things Have Changed, e questa è decisamente un’altra Worried Life, o un’altra Someday Baby se si preferisce, mentre My Own Troubles accelera di nuovo il passo e ancora s’assapora uno stile strumentale ormai del tutto urbano (grazie anche alla chitarra elettrica di Tampa), ma mischiato con gli umori e gli echi dei pianisti seminali del ragtime, del boogie e del barrelhouse a cavallo del Novecento, e finendo con Tampa, I got to leave this town before the sun go down. Alla stessa sessione dovrebbe appartenere anche Flyin’ Boogie (Macy Special), qui non presente, uptempo strumentale.

Big Maceo Merriweather's 78 rpm record Winter Time Blues

Il 5 luglio 1945 si svolge un’altra sessione a suo nome, Tampa è sempre il suo chitarrista e amico nella vita, e il batterista è Tyrell Dixon, tipetto notevole, come detto prima suo bandmate dal vivo. Qui sono compresi tre brani, di cui il primo è il brillante Maceo’s 32-20. Immaginare Maceo con una calibro 32-20 in mano non è rassicurante, ma è più impressionante la modernità del suono del combo pur pescando negli anni della sua giovinezza con una variante di 44 Blues, probabilmente sentito da Roosevelt Sykes anche se partì da Little Brother Montgomery (con testo totalmente diverso), e forse già un classico dato che anche allora non esisteva pianista blues che non l’avesse mai nemmeno accennato. Di Sykes mantiene solo la prima strofa e poi prende una piega insolita, fino a che sul finale dice I ain’t no bully, and I don’t go for the baddest man in town.
Di Texas Stomp ho già detto sopra, aggiungo solo che il parlato è un dialogo tra “Macy”, come viene chiamato, e i suoi accompagnatori, Tampa e Tyrell. Omaggia anche la sua città adottiva con Detroit Jump, sostanzialmente lo stesso, tanto che il compilatore ha infilato tra le due un brano appartenente alla sessione seguente, 19 ottobre 1945, con il batterista Charles ‘Chick’ R. Sanders, e il fido Tampa Red.
Winter Time Blues e Won’t Be a Fool No More sono due mid tempo da cui s’evince cosa prese Otis Spann, in particolare sulla mano destra. Tampa è sempre in armonia con il pianista e innerva di filo elettrico il suono robusto di Major, mentre Sanders ne enfatizza i passaggi. Entrambi hanno struttura ABCD (in Fool No More D è il chorus), e le liriche di Winter Time riflettono nell’immediato la sua vita vera: My overcoat’s in pawn, baby, and I haven’t got a dime. Winter time is coming, and it’s worryin’ my mind.

Big Road Blues s’ispira in parte al classico di Tommy Johnson, ma ne risulta un brano diverso, e Tampa Red è particolarmente inventivo e moderno qui, addirittura con suono leggermente distorto, mentre il virtuoso strumentale Chicago Breakdown, omaggio alla sua seconda città adottiva, è una portentosa e fiorita corsa ascendente e discendente sui semitoni. Tra le ultime due sessioni sono incisi almeno altri tre brani qui non presenti: Come on Home, Better Leave My Gal Alone e Corrine Blues.
Il gruppo di Broonzy si sciolse e Maceo, dopo queste sessioni di successo, andò ancora in tour per gli States; in seguito lavorò insieme a Tampa al The Flame Club, 3020 South Indiana, e registrò ancora con lui. Accompagnò anche John Lee ‘Sonny Boy’ Williamson in una sessione, e poi ancora Tampa nel febbraio 1946. Verso circa la metà di quell’anno Maceo ebbe la “tuff luck” peggiore: un infarto a Milwaukee che lo costrinse al ricovero al People’s Hospital. Il fratello Roy, sempre tramite Mike Rowe, dà la colpa alla vita sulla strada:

They call him from New Orleans: “Be here tomorrow night” I don’t care what time of night it was, he’d get out of the bed and they pick him up in a car and take him down to New Orleans. They let him play all day and night too and then again. Let him lay down and rest awhile. Right back to Dayton or Detroit again and that’s how he had his stroke, on account of he didn’t rest enough.

La conseguenza fu inesorabile: una paralisi della parte destra che mise fine ai suoi giorni da pianista, anche se continuò a lottare per recuperare e in qualche modo per incidere durante i sette anni seguenti. Hattie mandò Majorette da una zia e andò a Chicago per seguire suo marito.
Maceo recuperò un po’ e ottenne un’altra sessione per Melrose nel febbraio 1947; con Eddie Boyd al suo posto sul seggiolino cantò quattro brani, ma i dischi non ebbero successo e il produttore lo scaricò. Hattie tornava di tanto in tanto a casa e le lettere di Maceo danno un’idea di come stava a Chicago:
«10 marzo 1948. Sto bene come t’aspetteresti ma ho bisogno che mi mandi venti dollari per prendere una lampada a raggi infrarossi – il dottore dice che ho bisogno di una lampada a raggi infrarossi».
In maggio torna in ospedale, cerca di avere l’indennità di malattia e chiede alla moglie l’invio del suo tesserino, “quello con la foto”: «hattie the company say I would hafter to get my Badge. Before I can get any money. Will you please sin it to me rataway. I am in the Hospital in taking treatment […] I am trying to get well But pleast sind my Badge the ONE with the picture in it».
Nell’aprile 1948 Art Rupe di Specialty arrivò in città cercando talenti e fu condotto da Maceo, malato a letto, che bisognoso di denaro lottò per fare la sessione con Little Johnny Jones al pianoforte, e lui ancora con voce meravigliosa al canto. Little Johnny Jones (cugino di primo grado di Otis Spann) era arrivato a Chicago nel 1945 (in compagnia di Little Walter e Baby Face Leroy) ed era diventato suo allievo, ereditando direttamente il suo stile. È del giugno 1948 una delle lettere più toccanti:

[…] I got a little job trying to get my hand and legs like they was I am praying for them to get well so I can be Big Maceo again […]

A settembre tra i suoi problemi s’aggiunse il rischio galera per un conto non pagato presso il grande magazzino Colonial Stores di Detroit. All’inizio del 1950 cominciò un tour che di certo lo vide a Bowling Green (Kentucky), Knoxville (Tennessee) e New Orleans, ma al ritorno a Chicago in agosto ripartì la solita storia, la cronica mancanza di denaro e la scarsa salute, dovuta anche al vizio alcolico.
Nel 1950 o 1951 conosce John Brim e la moglie armonicista Grace all’H&T Club in State Street, e insieme vanno a Detroit dove Maceo registra i suoi ultimi dischi. Con un altro pianista alla parte destra (James Watkins), mentre Maceo s’occupava della sinistra, certamente non fu “Big Maceo again”.
Major ‘Big Maceo’ Meriweather si spense per infarto il 26 febbraio 1953, e fu sepolto a Detroit il 3 marzo.
Il pianista Henry Gray, da sua dichiarazione, fu un altro suo discepolo, oltre una discreta schiera di imitatori, nel suo nome più che nel valore artistico o nella cifra stilistica:

There used to be a whole lot of Maceos, Maceo Charles and Maceo this-that-and-the-other right here in Detroit.

Tra questi, un Little Maceo era suo fratello Rozier, o Bob, che imparò a suonare a Detroit ed era figura familiare lungo le strade della città e negli house party. L’altro pianista in famiglia è il figlio del reverendo Meriweather, Roy Jr, dotato musicista jazz contemporaneo mancino come lo zio.

(Fonti: Mike Rowe, libretto a The Best of Big Maceo, The King of Chicago Blues Piano, 1975, CD 7009, Arhoolie, 1992.)


  1. L’agenzia governativa WPA diede lavoro a milioni di persone nel settore delle opere pubbliche, in attuazione del New Deal di Roosevelt. Ne ho accennato nella biografia di Professor Longhair.[]
  2. Le lettere e le frasi di Maceo non tradotte ovviamente le lascio nell’originale forma sgrammaticata[]
  3. “Eight to the bar” sono otto crome a battuta dato che, di solito, nel genere di musica di cui stiamo parlando e in cui si usa questa terminologia, la misura s’intende di quattro battiti.[]
Scritto da Sugarbluz // 5 Ottobre 2012
È vietata la riproduzione anche parziale di questo articolo senza autorizzazione

Potrebbero interessarti anche...

2 risposte

  1. Mark Slim ha detto:

    Gran bella storia commovente quella di Big Maceo Meriweather… e dispiace sapere che tutto quello che hanno vissuto loro non esiste più: teatri, sale da ballo, juke joints, interesse per la musica… TUTTO FINITO e rimane solamente nei ricordi dei pochi sopravvissuti o nei libri per gli appassionati.

  2. Sugarbluz ha detto:

    Il caso di Black Bottom è simile a quello di altri luoghi storici abbattuti negli anni 1960/1970, quando c’era meno coscienza di oggi su quanto fossero stati importanti per l’evoluzione della musica afroamericana, e di conseguenza di tutta la musica americana. Poi però quando si pensa ad altre gentrification, ad esempio quella di Maxwell Street, questa supposta “coscienza” odierna va a farsi benedire, essendo avvenuta in tempi più recenti.
    Il quartiere francese di New Orleans non è stato abbattuto solo perché porta tutto il turismo della città, ma se non fosse stato per la fascinazione che il quartiere ebbe sui bohèmienne agli inizi del secolo scorso, che cominciarono a rilevare gli edifici storici, probabilmente anche il French Quarter oggi non ci sarebbe più. Poi ci sono gentrificazioni che avvengono più lentamente, ma avanzano inesorabilmente negli anni: anche Los Angeles ha perso molti luoghi storici.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.