Slim Harpo – The Excello Singles Anthology, Disc One

Aggiornamento 2023: Questo articolo è stato scritto originariamente nel 2012, stabilendo per la biografia e la sessionografia una sintesi ragionata tra le discordanti fonti disponibili. Il libro Slim Harpo, Blues King Bee of Baton Rouge, di Martin Hawkins (2016), ha fatto luce, per quanto possibile, sulla vita di Slim Harpo, e soprattutto ha redatto, che io sappia per la prima volta, una verosimile sessionografia, con elementi che in alcuni casi necessitavano di conferma e altri del tutto rivelatori per quanto riguarda il personale. Per correttezza, e per la scarsa se non nulla presenza nel web di questi dati aggiornati, che accetto come più verosimili, ho revisionato questo testo andando ad aggiungere alcune parti biografiche (il meno possibile) e a modificare, ove necessario, quelle relative ai musicisti presenti alle sessioni. Per il resto l’impianto e il contenuto rimangono intatti (il testo era già stato revisionato recentemente, dopo dieci anni). Per evitare ripetizioni e delimitazioni impraticabili, e per non appesantire oltremodo, ho messo in nota gli elementi che ho voluto approfondire da Hawkins, lasciando così maggior scelta al lettore e allo stesso tempo assolvendo al dovere di renderli riconoscibili; le note in questione sono quelle denominate “Aggiornamento 2023” in grassetto. Per le parti relative ai dati delle sessioni invece (musicisti e titoli), non esprimibili in nota per il carattere dello scritto, non ho specificato ogni volta l’aggiornamento perché sono state rivisitate in toto, confermando o cambiando la precedente versione.

Cover of Slim Harpo CD "The Excello Singles Anthology", Disc One

Tre grandi successi iconici (I’m a King Bee, 1957, Rainin’ in My Heart, 1961, Baby Scratch My Back, 1966), diversi minor hit e suoi brani ripresi da un numero considerevole di artisti, da Clifton Chenier agli Stones passando per Muddy Waters, per dirne solo qualcuno.
L’artista nero dal maggior riscontro di vendite tra quelli di Jay D. Miller, ma anche il meno in sintonia con il produttore del noto studio a Crowley. Nonostante le tensioni però la discografia su Excello con la direzione artistica di Miller fu la sua migliore, anche se occorre ricordare che dopo la rottura con J.D. continuò a pubblicare sulla stessa etichetta per poco tempo ancora, e che la sua intera attività discografica durò solo dodici anni a causa della precoce scomparsa.
Nato Isiah Moore, (1) ma da sempre conosciuto come James Moore, l’11 febbraio 1924 (2) alla Bellmont (ora Belmont) Plantation nella comunità contadina chiamata Mulatto Bend, situata sul lato occidentale del fiume Mississippi, a est della cittadina di Lobdell, contea di West Baton Rouge in Louisiana, cresce lavorando nei campi di canna da zucchero, dopo la scuola. Affascinato da Blind Lemon Jefferson e dal blues che sente localmente studia da autodidatta l’armonica, l’unico strumento che può permettersi a dodici anni, facendo pratica alle feste e ai picnic comunitari nel fine settimana.
Da adolescente orfano di padre deve cominciare a mantenere se stesso, la madre, un fratello più giovane e tre sorelle dapprima come operaio e carpentiere a Baton Rouge, poi trasferendosi (all’incirca nel 1942, diciottenne) a New Orleans lavorando come scaricatore al porto, prima di rientrare a Baton Rouge nel 1943 in forza alla Ethyl Gasoline Corporation. Nel frattempo si sposa con la prima moglie, Verna (matrimonio non durato a lungo), stando nella Crescent City per un altro periodo di lavoro, dove con tutta probabilità espande le sue esperienze musicali.

Tornato a casa lavora come operaio edile ed esordisce nei tardi anni 1940 con il nome di Harmonica Slim suonando nei dintorni di Baton Rouge, forse non avendo proprio una band ma sicuramente in compagnia di piccole formazioni. È il periodo in cui incontra Lovell Jones, che diventerà la sua compagna di vita, la coautrice di quasi tutti i suoi brani e in parte la sua manager, aiutando e salvaguardando i suoi interessi economici; i due si sposeranno diversi anni dopo, ma intanto, nel 1951, James si trasferisce nella casa dove Lovell abita insieme alla madre e ai due figli di un precedente matrimonio.
Si sa poco o nulla della musica che cattura il suo orecchio più di altra in quel periodo, ma è improbabile che non sia rimasto colpito dal disco di successo di un armonicista innovativo, come lui della Louisiana, il più giovane Little Walter che da Chicago nel 1952 conquista per mesi i primi posti della classifica R&B con Juke, e forse anche dalle uscite Sun dell’armonicista con voce di velluto Junior Parker, anche se più dirette influenze vanno cercate negli armonicisti in voga negli anni Trenta e Quaranta, quelli della sua formazione, come John Lee ‘Sonny Boy’ Williamson e Jazz Gillum, quest’ultimo molto influente su Jimmy Reed (la figura più accostabile a James Moore, anche se per motivi più estetici che stilistici), oltre che nella fascinazione per i dischi dell’immediato secondo dopoguerra, quando una miriade di etichette indie spuntate come funghi pubblicano l’R&B urbano di T-Bone Walker, Louis Jordan, B.B. King, il country blues del texano Lightnin’ Hopkins, il blues di Chicago di Muddy Waters e Howlin’ Wolf, e il Boogie Chillun di John Lee Hooker (che Harpo tardivamente riprenderà).
All’incirca nel 1956 comincia a esibirsi insieme al chitarrista Lightnin’ Slim, che sta già registrando a Crowley per Miller e ha all’attivo diversi dischi (tra cui il successo del 1954 Bad Luck). Nel libro di John Broven (cit. in fonti), Lightnin’ dichiara di aver insegnato a James “come suonare”, di avergli dato “il primo set di strumenti”, (3) e che oltre a loro c’è un batterista. Lavorano nei dintorni di Baton Rouge spesso «per amici a feste di compleanno o matrimoni, non tanto per il compenso quanto più che altro per divertimento». (4)

Label of Slim Harpo's 45 r.p.m. record "I'm a King Bee"

James arriva la prima volta nello studio di Miller nel 1956 (forse in primavera, in corrispondenza della sessione che produsse il settimo disco di Lightnin’ Slim, il terzo per Excello) come uno dei diversi armonicisti locali che accompagnano Slim nelle sue registrazioni (in quel periodo al suo fianco c’era soprattutto Cleveland ‘Schoolboy’ White, poi subentrerà Lazy Lester), a volte condotti a Crowley dal chitarrista stesso come in questo caso, ed è sempre Lightnin’, alla fine di una sua sessione nel 1957, a chiedere al produttore di dare a James Moore alias Harmonica Slim una possibilità come solista. Miller lo ascolta e pensa che il brano sia “grande”, viceversa trova la sua voce insoddisfacente. Pensando a come rendere inusuale, unico, quel canto da lui ritenuto deficitario, propone una cosa «un po’ ridicola da chiedersi, ma lui la fece – gli chiesi di cantare attraverso il naso […] alla Hank Williams». (5)
Questa in breve la premessa al laconico innuendo I’m a King Bee, lato A del suo primo disco (Excello 2113). Un cambio repentino del nom du disque in Slim Harpo per distinguerlo dal texano Harmonica Slim (Travis Leonard Blaylock, 1934–1984) in voga sulla costa occidentale per Aladdin Records, e il nostro entrerà nella storia della musica al primo colpo. È in voga il canone del macho, dovuto soprattutto a Muddy Waters (che tra l’altro aveva registrato anche Honey Bee), e Moore già dalla prima strofa snocciola evidenti richiami erotici ispirato dall’osservazione di un nido d’api, mentre ritmicamente (e vocalmente) si basa sull’epigrafico Rockin’ and Rollin’ di Lil’ Son Jackson (Imperial, 1951), brano che poco dopo darà la stura anche a Rock Me Baby, destinato a diventare uno standard blues (anche questo ripreso nel suo ultimo album, come a chiudere un cerchio). Al canto “ridicolo”, caricaturale, singolare, ben contribuiscono la linea di basso in espansione, soddisfacente la richiesta del ronzio (well, buzz awhile!), la scansione percussiva attutita e fangosa, l’armonica riverberata, e una piccola nota pungente di chitarra ripetuta tre volte in risposta a sting it, then!

King Bee non è un successo nazionale, non arriva in classifica; incassa solo recensioni positive e una segnalazione sul Billboard del 12 agosto 1957 come “successo territoriale” a Chicago. Tuttavia il vero impatto della composizione si rivelerà e ripercuoterà nei decenni seguenti con una schiera di artisti, a partire dagli inglesi del british beat, che ne saranno fortemente influenzati, e certamente anche ai suoi tempi diventa il suo signature song, come dimostra la scelta dell’appellativo per la sua live band con il nome del brano, segno di un’identificazione di esso con Slim Harpo e viceversa, e di un successo territoriale anche dalle sue parti, sicuramente spinto dalle frequenze di WLAC, così direttamente interessata alle uscite di Excello da fregarsene dei versi da “bollino rosso”.
Nel primo disco Flyright dedicato a Slim Harpo (6) c’è un’alternativa simile, presumibilmente nata nella stessa sessione e forse la prima versione, seguita da un inedito ai tempi, This Ain’t No Place for Me, in origine sullo stesso nastro. Dato che si tratta di un blues ficcante con andatura ipnotica, densa, in cui il canto e l’armonica sorprendenti di Harpo fissano in modo suggestivo un quadro di derelitta solitudine, forse è la sua lunghezza l’unico motivo per il quale non è spedito a Nashville da Ernie Young, infatti 4 minuti e 20 è una durata eccezionale se si considera che tutti i singoli stavano ben al di sotto dei tre minuti.
Un altro inedito ancora più inspiegabile (solo 2:04) nello stesso vinile Flyright è That Ain’t Your Business, country blues uptempo incalzante, udibile anche in versione più urbana nel secondo LP Flyright su Slim Harpo, (7) con solo di chitarra e un pianoforte barrelhouse boogie (potrebbe essere Sonny Martin in entrambe, o Katie Webster nella seconda versione, reg. nel 1959).

Tornando al singolo con King Bee, il retro non è da meno: il ritmo alla Bo Diddley di I Got Love If You Want It, dal battito multiplo e flaccido sopra una torbida onda costante di basso e chitarra (o due chitarre), e forse ancora più nasale e riverberato, conferma il tocco magico ottenuto nello studio di Jay Miller. (8)
Un suono impressionante conquistato con un misto di casualità e perizia che non poteva non deliziare anche i versetti dell’ultimo arrivato. La casualità stava nel fatto che lo studio non aveva specifiche standard e quindi induceva un suono peculiare dovuto all’ambiente, mentre la cura era nella continua ricerca e nella messa a punto di nuove sonorità, oltre all’uso di un registratore come il Concertone (v. link sopra sullo studio di Crowley) e al ricorso a una camera d’eco.
Il tema è lo stesso del lato A, ma qui Moore dà un’impronta più realistica sia all’immagine della donna (your fine brown frame, your hair hung down) che nel rendersi conto di non essere l’unico a ronzarle attorno (I know you’ve been ballin’, talk’s all over town). Sul FLY 558 (FLY sta per Flyright; sono tutti LP tranne ove specificato) è presente un’alternativa poco differente registrata nella stessa sessione, indizio che il brano venne subito nella sua forma finale.
Per quanto riguarda i musicisti di questa prima sessione (la prima vera, perché come s’è visto in nota la prima occasione va probabilmente considerata solo un’audizione anche se fu registrata), per via di una dichiarazione di Miller è ancora sostenuto e accettato ovunque che si tratta della band di Guitar Gable, che oltre a registrare a suo nome per un periodo fa anche da studio band per J.D., ma le ricerche di Martin Hawkins (v. fonti) hanno portato alla presenza dei chitarristi James Taylor (Andrew James Taylor, aka ‘Guitar’ Taylor o J.T.) e Matthew Jacobs (aka Boogie Jake, secondo cugino di Little Walter e responsabile delle pungenti note di King Bee, tra le più contese del blues insieme allo chicken scratch di Scratch My Back), e del batterista Lonnie ‘Pee Wee’ Johnson, più le percussioni di Lazy Lester con le spazzole per batteria su una scatola di cartone, aggiunte in overdub perché Miller sentiva che “mancava qualcosa” (da dichiarazione di Lester). (9)

Un inizio promettente, però passano diversi mesi prima dell’uscita di un secondo disco, non diciotto come dice il libretto ma dieci, nell’aprile 1958, (10) ancora dal carattere laid-back, pigro, con i due mid-tempo Wonderin’ and Worryin’ e Strange Love (Excello 2138). Wonderin’ and Worryin’ è presente in altra versione nel FLY 520 (su tre take nella stessa sessione, mentre Strange Love ne ha due). La band è quella del sopracitato Gabriel ‘Guitar Gable’ Perrodin, con il quattordicenne Clinton ‘Fats’ Perrodin al basso e Clarence ‘Jockey’ Etienne alla batteria, e le possibili presenze di Leroy Washington (chit.) e Lazy Lester alle percussioni. Questa è l’unica sessione di Slim Harpo con la band di Gable; nel 1959 circa il chitarrista uscirà improvvisamente dalla bottega di Crowley, forse per la controversia inerente a This Should Go on Forever (v. link sopra sul nome di Gable).
La formula sonora è la medesima, ciò che rappresenta l’essenza dello swamp blues nell’immaginario collettivo, ma il disco non ha fortuna nonostante il fascino dell’ovattata e persistente Strange Love, come la sua alternativa nel FLY 558, con passo melmoso, chitarra che sembra echeggiare il verso di un piccolo animale nell’immobilità della palude, e il richiamo lirico finale a King Bee con You as sweet as honey / I love to be your honey comb. I diciotto mesi passano invece prima della sessione successiva.
Slim Harpo, infatti, per questioni inerenti i diritti d’autore, si rifiuta di registrare per Miller, e la sua lontananza dura per tutto il 1958 e parte del 1959: è probabilmente durante questo iato che comincia la sua piccola attività di padroncino, che manterrà per il resto della vita. Miller, dal canto suo, nel 1958 si trasferisce in una nuova sede, (11) dove prova a costruire una migliore echo chamber, ma il tentativo fallisce e rimane “senza studio attivo per diversi mesi”. (12)

Moore torna quindi in studio (la sessionografia di Hawkins segna ancora il precedente, quello al 118 N Parkerson) nel maggio 1959 e data l’assenza del gruppo di Gable, Miller gli lascia portare alcuni giovani musicisti della scena locale, gli stessi tra cui il nostro pesca quando necessita di una band per le molte serate dal vivo grazie a King Bee. È spesso Lester a ricordare il personale presente e qui, dove lui forse è alle percussioni e/o alla chitarra, fa i nomi del multistrumentista Boe Melvin (Melvin Boe Hill), chitarra, e del batterista Wilbert Byrd. Gli altri possibili sono il bassista ‘TJ’ Kinchen (Thomas Lee Kinchen) e, secondo M. Hawkins, Leroy Washington; così i chitarristi sarebbero tre, ma come detto (v. nota 9) Hawkins cita gli eventuali presenti a quella data, non chi suona in ogni brano.
Da questa sessione di quattro titoli (di cui uno in tre versioni) esce durante l’estate di quell’anno il suo terzo singolo, You’ll Be Sorry One Day e One More Day (Excello 2162), e ancora non s’impone.
Il primo è uno stop time dalla base boogie-rock’n’roll, ancora benevolmente ammorbata dall’usuale swamp beat, e con il refrain subliminale that’s allright che sembra attingere al fenomeno Elvis esploso qualche anno prima allo studio Sun di Memphis. Sul FLY 520 c’è una versione alternativa intitolata proprio così, That’s Allright, con falsa partenza, assolo di armonica più lungo e presenza di un pianoforte, forse Katie Webster o Sonny Martin, registrata nella sessione successiva insieme a un terzo take. La lenta One More Day ha il passo pesante e strascicato, e meno riverbero rispetto a Sorry, ma entrambe hanno un solo di chitarra dal suono tagliente (forse di Washington); le altre due versioni sono una sul FLY 520 e una sul FLY 614. I due titoli inediti sono Late Last Night (FLY 520, più veloce con chitarra annaspante nel riverbero, dante l’impressione d’esser fuori tonalità) e Cigarettes (FLY 607).

Dalla sessione seguente (nov.-dic. 1959) Slim Harpo comincia a usare in studio il suo gruppo, The King Bees, con il quale si esibisce soprattutto nell’area di Baton Rouge, ma anche lungo la Gulf Coast dall’Alabama al Texas, nei juke joint, nei roadhouse e ai balli delle confraternite studentesche, in gran parte grazie agli ingaggi procurati da Miller. I membri oggi più noti, perché più frequenti o più stabili, sono i chitarristi James Johnson (anche bassista) (13) e Rudolph Richard (anche cantante e fisarmonicista, ma non con Harpo), (14) Willie ‘Pro’ Parker al sax tenore e Sammy K. Brown alla batteria. In questa occasione la nuova sessionografia mette Richard come “probabile” e Boe Melvin come “possibile” e, come accennato sopra, Sonny Martin o Katie Webster al piano in overdub; confermati gli altri. Ancora tre chitarristi, ma si contano quattordici brani (alt. take compresi), e l’assegnazione a due mesi potrebbe significare non solo l’incertezza di data quanto l’essersi svolta in giorni diversi, cioè non essere un’unica sessione.
Qui Harpo clona I’m a King Bee in Buzz Me Babe (Excello 2171, febb. 1960), con parole diverse (stavolta è lei a pungere) e un approccio ritmico più vivace e aggressivo. Sul retro riprende Late Last Night, provato nella sessione precedente, qui lento ben riuscito con belle chitarre, e praticamente senza armonica (solo nel finale). Chissà se per le liriche s’è ispirato a Cold Rain and Snow. Il pianoforte si sente lontanissimo; durante il canto di Slim suona regolarmente i pochi accordi della melodia, mentre durante il solo slow blues di chitarra suona nello sfondo cupo notine leggere che paiono trills, quindi veloci. Sia Buzz che Last Night hanno entrambe un’altra versione (pubblicate in epoca CD, rispettivamente su Ace ed Excello). Tra gli altri inediti (cioè non pubblicati subito) ce n’è dei nuovi e dei già provati. Ai primi appartengono due take di Bobby Sox Baby (uno andrà sull’LP Excello 8003), Talking Blues (v. sotto), una prima versione di What’s Goin’ On (finita sul FLY 520), rifatta nel gennaio 1964 per l’uscita su singolo 2261 (v. sotto), You Ain’t Never Had to Cry (v. sotto), e una prima versione di Rainin’ in My Heart che poi finirà sull’LP Excello 8005 (il secondo, del 1966; un altro take da una sessione del nov. 1960 andrà su un CD Ace). Ai secondi le due precedenti That Ain’t Your Business e Things Gonna Change (finite sul FLY 558), e i due take di That’s Alright (v. sopra).

Il 1960 segue bene dal punto di vista della qualità discografica e Harpo e la sua band, costantemente richiesti anche dalla platea bianca, hanno ormai messo a punto le performance dal vivo e la loro intesa, ma è meno soddisfacente sull’aspetto delle vendite. È il caso anche di Blues Hang-over (Excello 2184, sett. 1960). Bellissimo, gemente intro d’armonica (il suono diverso viene da una Marine Band Soloist di Hohner, simile a una cromatica ma senza registro) planante su una linea di basso gonfia di malumore, e Moore parte in un monologo, con voce naturale, sull’onda melanconica di un pesante doposbornia, accompagnato dal sommesso lamento del sax di ‘Pro’ Parker:

Lord, I wonder what could have happened
Ain't nobody here but me
All these empty bottles on the table here
I know I didn't drink all this by myself
I must have a blues hangover

I versi seguenti paiono quelli di una persona confusa, ma nella stanza finale sembra riprendersi, e nomina alcuni membri della band:

Well, I believe I'm going' back on the stem now
With James, Rudolph and Tomcat
Get my head bad again
Don't seem like nothing's going' right for me today
All right, here I go
Same old thing again
Look out now!

È possibile che “stem” sia il nomignolo con cui la gente del posto chiamava il quartiere dei locali afroamericani, mentre ‘Tomcat’ era il soprannome del “warm-up singer”, cioè il cantante spalla che in quel periodo gli apriva i concerti prima di annunciarlo sul palco.
Perfino il mercato del sud, ai tempi dominato da Jimmy Reed, Muddy Waters, John Lee Hooker, Lightnin’ Slim, non riesce a far posto a questo talking blues, forse perché il pubblico ha voglia di ben altro, perlopiù di ballare. Nel FLY 520 ci sono una versione alternativa e una meritevole versione strumentale contrassegnata Instrumental sulla scatola del nastro, poi evoluta (forse nella sessione successiva) nel bellissimo Moody Blues (ispirò il nome al gruppo inglese), con bel lavoro di chitarra e ancora di sax, pubblicato qualche anno dopo su LP Excello 8003 (e in alt. take su FLY CD 05).
Nel FLY 558 invece c’è un abbozzo trovato su nastro solo nel 1979 chiamato proprio Talking Blues: è troncato, il testo è diverso ma tratta ancora di alcol (tema inusuale per Harpo), l’armonica è la stessa (o perlomeno ha lo stesso effetto cromatico), ariosa e amplificata sopra una chitarra nel sottofondo e la batteria solamente.
Il retro, What a Dream, è un altro slow blues, il classico da dodici battute, ma svolto in un magico riverbero in cui l’armonica, dolcemente lamentosa e sognante, è superlativa, e il canto il suo proprio, inimitabile. Completa il mistero il lavoro continuo e invischiante delle corde del “probabile” Rudolph Richard e di Boe Melvin al basso, Sammy Brown alla batteria. Questo quinto singolo, stando alla sessionografia di Hawkins, è prodotto in giugno nel nuovo studio in North Highway 13, sempre a Crowley, costruito da Miller attaccato alla casa in cui abita dal 1951 dove, dopo la deludente esperienza del nuovo e costoso ma disfunzionale studio al Constantin Building, nel 1960 trasferisce la maggior parte della sua attività discografica.
Nella stessa occasione sono registrati anche l’inedito e veloce Yeah Yeah Baby (CD Excello 2001), due take di Dream Girl (uno nell’LP Excello 8003 e l’alt. nel FLY 558) e due di Don’t Start Cryin’ Now (una sul singolo successivo [v. sotto], l’altra, senza sax, sul FLY 558).

Con l’uscita del sesto disco (Excello 2194) nel gennaio 1961, tratto dalle ultime sessioni del 1960 (lato A giugno, lato B novembre), (15) la fortuna gira come un ciclone, anche se non immediatamente. Il lato A è Don’t Start Cryin’ Now, invasivo uptempo boogie-rock con canto meno nasale (perché veloce), pur sempre levigato e morbido, e bel solo di chitarra rockabilly alla Chuck Berry. Nel FLY 520 c’è una versione più lenta intitolata You Ain’t Had to Cry (o You Ain’t Never Had to Cry, dalle sessioni di fine 1959), senza sassofono e con pianoforte; all’inizio si sente Miller che conta e Harpo che fa ripetere perché non è pronto (poco prima stava ridendo).
Il successo del lato B conferma ciò che il pubblico aspettava: una soffice, semplice ballata country pop, Rainin’ in My Heart, con un riverbero così ammaliante che sembra echeggiare dallo spazio siderale, dal profondo del cielo ai visceri dell’ascoltatore con leggerezza, senza peso alcuno. Per James Moore cambia tutto, ed ecco come Cash Box raccomanda il disco:

Slow moaning, earthy blues proves the artist’s meat as he takes the tune for a tuneful ride. A real weeper. Tempo moves up to jet speed (on the electrifying Don’t Start Cryin’ Now) and Harpo follows the combo on a rafter-shaking journey. Both ends have the goods to deliver. (16)

In studio è presumibile che ci sia la sua band, quindi Richard alla chitarra, Johnson al basso, Brown alla batteria (Parker al sax in altri brani), ma Lazy Lester (che nella stessa sessione forse suona l’armonica in My Home Is a Prison) ha dichiarato di ricordarsi bene di Joe Percell alla batteria; sono dati che aggiungo dalla sessionografia di M. Hawkins, che però dice anche: «Counting everyone who has ever told an interviewer they played on Rainin’ in My Heart […] would yield about five guitarists and ten drummers!».
La suadente Rainin’ in My Heart dopo aver cominciato a scalare le classifiche R&B di Billboard arriva al n. 17 nel luglio 1961, ma soprattutto si piazza anche nelle classifiche pop Hot 100 fino al n. 34, dimostrando d’aver sfondato nel mercato dei bianchi, facendo ancora meglio nei Top 100 di Cash Box toccando il n. 24; una delle immediate conseguenze è la sua apparizione nel popolare programma tivù American Bandstand nei primi giorni di luglio.
Oggi un classico dello swamp pop, Rainin’ ha i crismi della ballata romantica dell’epoca (canovaccio che ancora si può sentire eseguire dal vivo in certi posticini nel sud degli States): melodia orecchiabile con andamento ondulante e indole swampy, tema del cuore infranto, sottofondo adeguato con batteria a tempo moderato mosso da fills, canto supplichevole e voce gentile, oltre a un intermezzo parlato con timbro diversamente ispessito, da bel tenebroso. Si può ballare, fischiettare, può anche far piangere i cowboy e le cowgirl e potenzialmente entrare nella classifica country. Jay Miller è soddisfatto del successo commerciale, ma non del tutto rispetto al prodotto finito:

I’m a King Bee era buona, abbiamo venduto tanti dischi, ma non fu un successo nazionale. Però ci mise in vista, il suo nome divenne conosciuto, e mi rassicurò parecchio sulle sue abilità [di Slim Harpo, ndr]. Successivamente registrammo Rainin’ in My Heart. Lui mi propose il titolo e mi disse: “Non riesco a metterla insieme, so che tu puoi farlo”, perché spesso scrivevo le canzoni, di solito in studio durante la registrazione. La canzone saltò fuori e la registrai in tre diverse sessioni, ma francamente non uscì come l’avrei voluta. Quando dico tre sessioni differenti intendo tre date diverse. Sentii che di meglio non potevo ottenere, e quindi la spedii a Ernie Young con una lettera di scuse. Pensavo che fosse buona comunque, o perlomeno il meglio che eravamo riusciti a fare. Invece poi si rivelò non tanto male, dato che vendette tantissimi dischi! (17)

Ernie Young massimizza le vendite della piccola Excello sponsorizzando gli show notturni condotti dai dj John Richbourg (John R.) e William ‘Hoss’ Allen dalla potente stazione radio WLAC, dove pubblicizza il servizio d’ordine postale gestito dal suo negozio Ernie’s Record Mart a Nashville.
Con il successo appaiono non solo tanti ingaggi, ma anche torna a galla la disputa che già aveva allontanato Moore e Miller nel 1958. In generale è per la velocità dei pagamenti e su chi e in quale misura detiene i diritti d’autore, in particolare è per Rainin’. Una delle conseguenze più evidenti a qualsiasi osservatore è che il successivo disco Excello esce solo nel 1963. Slim Harpo infatti si rifiuta di rimettere piede nello studio di Miller, e non rispetta il contratto con lui e Young convolando il 27 giugno 1961 a una seduta a New Orleans (con i suoi bandmate) per la californiana Imperial di Lew Chudd nel secondo studio di Cosimo Matassa, il Cosimo’s Studio al 521 Governor Nicholls.
Qui sono lasciati quattro brani su nastro, e vi rimarranno dato il tempestivo intervento di Miller. Due, Something inside Me e A Man Is Crying (altra versione di un inedito dalla sessione di fine ’59, What’s Goin’ On, v. sopra), escono nel 1968 in V.A., Rural Blues Vol 2: Saturday Night Function (Imperial LM-94001), un disco della serie prodotta da Steve La Vere e ispirata da Bob Hite e Henry Vestine. Gli altri due, Still Rainin’ in My Heart, “sequel” del suo attuale successo (che poi rifà per Excello, v. sotto), e Tonite I’m Lonely, rimangono inediti fino a quando tutti e quattro vanno sul CD Ace Shake Your Hips (CHD 558).

Dal libro di Broven (v. fonti) Miller racconta di aver avuto la notizia della registrazione galeotta da una chiamata di Young proprio mentre si trovava sulla costa occidentale. J.D. era infatti ospite con la sua famiglia da Randy Wood, tra le altre cose presidente di Dot Records, interessato a lavorare con lui. Dato che Miller non intendeva lasciare lo studio di Crowley, Wood per convincerlo gli offre un soggiorno di un paio di settimane «[…] tanto per rendermi conto della situazione. Così ci infilammo nella nostra T-Bird e andammo».
Dopo aver appurato la verità J.D. incontra Lew Chudd a Hollywood, il quale risponde che (sono parole di Miller) «Harpo era protetto dal sindacato e io no. Allora gli dissi: “Bene, tu sai che lui è sotto la tutela del sindacato, ma quando ha firmato con me nemmeno sapeva cosa fosse il sindacato, e sono piuttosto sicuro che lo statuto, le norme e i regolamenti dell’Unione non sostituiscono i nostri diritti legali. Non voglio avere problemi con voi, sto solo dicendo che se pubblicate qualcosa di Slim Harpo prima che il contratto con me sia scaduto, io vi citerò in giudizio. Il mio avvocato ha detto che sarei messo bene se voi rilasciaste qualcosa di suo, perché vi citeremmo e otterremmo ancor di più dopo un eventuale successo del disco” […] Stavo fingendo, non avevo parlato con nessun avvocato […] In ogni caso poi telefonai a Jerome Stokes, l’avvocato di Ernie Young, e lui disse di mandargli copia del mio contratto con Harpo, così chiamai a Crowley e gliela feci mandare. Mi richiamò e mi disse di non preoccuparmi, che ci avrebbe pensato lui a Lew Chudd».

Nel frattempo Excello pubblica l’ottimo album Rainin’ in My Heart (Excello LP 8003, 1961), selezione di brani editi e inediti che in un mercato governato dai singoli passa inosservata. Nel terzo LP Flyright intestato a Slim Harpo (18) c’è una Rainin’ alternativa a quella del singolo, la stessa scelta per l’album Excello.
Slim Harpo in persona e i suoi King Bees sono invece richiesti ovunque per gli spettacoli dal vivo, grazie al 45 giri nelle classifiche nazionali. In uno di questi one nighter sono registrati da un paio di ragazzi (Joe Drago e David Kearns) al ballo della loro confraternita studentesca, una delle tante desiderose d’organizzare la propria festa in grande chiamando gli artisti in voga al momento. La serata, divisa in due set, si svolge all’arsenale senza aria condizionata della Guardia Nazionale di Mobile, Alabama (al Sage Avenue Armory), nel caldissimo venerdì 30 giugno 1961, e questa registrazione casalinga low fidelity (benché ripresa con un apparecchio portatile professionale), mancante di qualche brano per il cambio del nastro ogni mezz’ora e catturata con un solo microfono, è l’unica testimonianza di un live di Slim Harpo. (19)
Si può ascoltare una piccola parte di questo live in coda al CD The Scratch, Rare and Unissued (v. fonti), contenente outtakes e alternative scovate negli archivi di Miller ed Excello (sull’onda della stessa operazione che negli anni 1970/1980 fa Flyright su vinile), che consiglio solo ai completisti.

The music’s just fine; the band rocks out while Slim’s vocals sounds at times like he’s singing into a cereal box with wax paper speakers. With drunken southern frat boys and gals whooping and hollering into the sweltering Alabama night, this is the real Animal House. Welcome to the party. (20)

[…] In certi momenti la sua voce suona come se stesse cantando dentro una scatola di cereali con speaker di carta cerata. Con i giovani di una confraternita del sud ubriachi, convulsi e urlanti nella notte umida e soffocante dell’Alabama, questo è il vero Animal House […]

Nel 1997 il concerto è stato pubblicato da Ace Records nel CD Sting It Then! (v. fonti) in forma più estesa (20 tracce, non tutte) e ripulita per quanto possibile (il libretto del disco dice che il concerto si tenne sabato 1º luglio). (21) Essendo la sua unica testimonianza dal vivo e un autentico reperto d’epoca, è comunque un documento interessante in cui trovare James Moore in libertà con la sua band (Richard, Johnson, Brown, Parker, Tomcat) in perfetta intesa, sentendolo in un approccio diverso rispetto allo studio, certamente più ballabile, e avendo una visione sulle sue scelte dei brani altrui di successo (come I’ll Take Care of You, Boogie Chillum, o la più “territoriale” Mathilda dei Cookie and the Cupcakes), oltre che notare gli spazi solisti lasciati ai suoi chitarristi, purtroppo molto penalizzati dalla scarsa qualità audio, come la sua voce effetto megafono. L’atmosfera party-hearty da baccanale si può solo immaginare o sentire appena, dato che le voci del pubblico sembrano rimosse (tranne nel finale, in Little Liza Jane, party song per eccellenza richiedente la partecipazione del pubblico, e nel giubilo di When the Saints Go Marchin’ In).
Un’altra bella testimonianza di una simile occasione, stavolta solo raccontata, è quella di un giovane Jonathan Foose, ricercatore e musicista di New Orleans, che nel maggio 1961 vede Harpo alla Midnite ‘Til Dawn Dance, il ballo di fine anno della sua scuola di Yazoo City, MS, anche questa in un arsenale militare:

Il gruppo che i più anziani avevano ingaggiato per l’occasione quell’anno era Slim Harpo and His Band. Ero una matricola ed era la prima volta che m’era permesso assistere a questo rito lungo tutta la notte. Il ballo fu tenuto all’arsenale della Guardia Nazionale, un edificio cavernoso che ospitava l’unità militare scelta di Yazoo. La sala principale di esercitazione era così ampia che la carta crespa [delle decorazioni, ndr] sembrava inadeguata e sprecata. Un paracadute appeso al soffitto dava l’effetto di un baldacchino.
La band arrivò intorno alle dieci e mezza [di sera]. La mia memoria è un po’ annebbiata, ma mi sembra che ci fossero cinque elementi nel gruppo. La cosa principale fissata nei miei ricordi è Slim Harpo che cammina, portando una grossa scatola di metallo come quelle per l’attrezzatura da pesca. L’appoggiò su una sedia vicino al microfono della voce, e vidi che era piena zeppa di armoniche: faceva sul serio!
Il suo sassofonista era zoppo e suonava appoggiato a una stampella. La musica era potente e la grande stanza dava un effetto rozzo amplificato dall’eco. Slim aveva appena pubblicato Rainin’ in My Heart e stava facendo il tour di promozione, era una delle preferite dagli studenti. La canzone che mi piacque di più quella notte fu I Got Love If You Want It. Suonò anche I’m a King Bee, completa di ronzio e di chitarra pungente, e una grande versione di Howlin’ for My Darling di Howlin’ Wolf. Inutile dirlo, il ballo fu un gran successo e io avevo avuto il mio primo impatto con lo swamp blues della Louisiana. Non sarebbe stato l’ultimo. (22)

Slim Harpo in the studio

Ancora una volta Slim Harpo ha un disco di successo e non può goderne appieno, stavolta a causa della controversia legale. Nello spietato mondo del music business Moore rischia di perdere il suo status, e sia lui che Miller forse si rendono conto che fare pace conviene a entrambi.
Così, attorno al settembre 1963, i due stipulano un nuovo accordo secondo il quale le canzoni future sarebbero state accreditate solamente a James Moore qualora fossero state scritte da lui, mentre prima i crediti erano di entrambi (23) con il 25% a testa tolto il 50% che spettava alla compagnia editrice Excellorec Music di Young. Da quel momento Harpo avrebbe ricevuto royalty per il 50%; le canzoni, spesso ispirate dalla moglie Lovell Hicks, sarebbero state pubblicate ancora da Excello, che continuava a prendere il 50%. Miller non avrebbe più avuto crediti come coautore ma, potenzialmente, sbloccando questo empasse sarebbero stati prodotti più dischi, sui quali avrebbe incrementato gli introiti per i compensi ricevuti dalla casa discografica in percentuale su ognuno.
Il disco con I Love the Life I’m Living e Buzzin’ (Excello 2239, 1963) è il primo tentativo di tornare nei favori del pubblico, e forse è registrato nello stesso settembre nello studio di North Highway 13 non con i suoi sodali, ma con alcuni musicisti di casa a Crowley vicini al cajun (e al cajun/country-rock) e allo swamp pop: Al Foreman alla chitarra, Rufus Thibodeaux al basso, Austin Broussard alla batteria e ai sassofoni Boo Boo Guidry, Harry Simoneaux, Peter Gunter (o Gunteror) o Bobby Fran. (24) Il libretto invece attribuisce i brani alla sua band fino all’ultimo in questo primo CD.
Il lato A è di nuovo una ballata swamp pop ben fatta, senza però il carisma di Rainin’, della quale vuol essere un altro seguito (nel primo sequel [Imperial] piangeva ancora, qui non piange più, anzi, ama la vita), probabilmente chiesto dai vertici. La parte strumentale, con quella cadenza così regolare, ondulante, e la cornice dei fiati in sincrono con l’armonica e poi sottolineante i versi cantati, è un tipo di swamp pop più carezzole, ma è piacevole all’orecchio. Il canto invece è troppo sdolcinato e infantile nell’intonazione, tanto che sembra un’imitazione di un bimbo dello Zecchino d’Oro, e in particolare il tenere lunga l’ultima parola di ogni verso, insieme al contenuto del testo, ne costituisce l’aspetto più commerciale, in un modo che sembra quasi canzonatorio.
Il B al contrario è un interessante strumentale latin tinged, poco più di uno stacchetto purtroppo, e non un originale. È infatti la sua versione del Cha Cha Cha in Blue di Junior Wells, uscito su Chief la prima volta nel 1957. Ognuno dà bella prova di sé ed è buona occasione per il bel chitarrismo di Foreman. Si trova in versione alternativa nel FLY 558 con il nome generico Harmonica Instrumental. (25)
Nella stessa sessione sono fatti altri due take di Love the Life, e altri tre nuovi titoli: Harpo’s Blues, uscito su singolo un paio d’anni dopo (v. sotto), My Little Queen Bee, nel singolo qui sotto (alt. take nel FLY 558), e l’inedito Little Sally Walker (finito sul CD Ace Shake Your Hips), brano di Syl Johnson per Federal, ripreso poi anche da Rufus Thomas per Stax Records.

La prima uscita del 1964 (Excello 2246, aprile) vede appaiate I Need Money (Keep Your Alibis) e Little Queen Bee (Got a Brand New King). Alibis è dalla prima sessione del nuovo anno (gennaio) ed è un uptempo con ritmica mojo groove (da Got My Mojo Working) con bella introduzione di armonica e in cui la band, di nuovo la sua, mostra il trascinante assetto ritmico, con riff di chitarra(e) e sax sopra uno shuffle corposo; anche troppo “corposo”, come suono. Non sempre ciò che usciva da Crowley (come da altrove) era a punto, e tra l’altro il brano termina con un fade out assai repentino. Il troppo eco, soprattutto sui bassi, impasta un po’, tanto che delle due probabili chitarre (Richard e Johnson) se ne sente solo una; alla batteria dovrebbe esserci ancora Sammy K. Brown, al sax Parker (potrebbero anche essere due i sassofoni, all’unisono), e al basso, forse per la prima volta (almeno in studio), August Ranson, il cognato di James Johnson.
In questa seduta di gennaio sono fatti altri tre brani, due dei quali sono cover: Boogie Chillun di Hooker e Blueberry Hill di Fats Domino, pubblicati ai nostri tempi in due CD Ace (risp. 510, I’m a King Bee e 558, Shake Your Hips). L’altro è What’s Goin’ on Baby, già fatto per Miller (sess. fine ’59) e poi per Imperial come A Man Is Crying (per entrambi v. sopra), ma ai tempi ancora inedito, e da qui pubblicato sul singolo 2261 (v. sotto).
Il lato B Queen Bee appartiene alla sessione di settembre da cui il disco precedente (cioè con Foreman, Thibodeaux, ecc.), ed è un pregevole, elastico e più veloce rifacimento di I’m a King Bee, con dialogo fitto tra chitarra “buzz”, basso, sezione fiati e armonica, e il cui unico difetto è il suo essere inevitabilmente confrontabile con l’originale; simili le alternative nei FLY 558 e 593.

Ottimo invece il suono nella sessione del giugno 1964, sempre dallo studio accanto all’abitazione di Miller. Still Rainin’ in My Heart (Excello 2253, luglio) non è solo il rifacimento del suo hit con parole diverse (stesso tema), ma anche di una delle quattro tracce Imperial (v. sopra), e regge il confronto con l’originale, anzi per certi versi è migliore, più bluesy, ma sempre con anima da ballata country, armonica vibrante gonfia di grandezza e mestizia allo stesso tempo. Lui e i suoi (Johnson, Richard, Ranson, Brown, Parker) hanno avuto modo di rodarla parecchio dal vivo.
Calzante apporto della band anche nel lato B a tempo medio We’re Two of a Kind, con timbro vocale naturale, fantastica chitarra, limpida andatura calypso e l’usuale ciliegina finale della melodiosa armonica di Moore. Bella anche la versione alternativa nel FLY 558 (We’re Two of a King credo sia solo un refuso), mentre quella nel FLY 593 mi sembra uguale.
Nella stessa sessione sono fatti anche Sittin’ Here Wondering, uscito nel singolo seguente (v. sotto), e due take di I’m Waiting on You Baby, inediti andati sul già citato CD Ace 558.
In quel periodo la British Invasion bianca e la Soul Revolution nera spiazzano le vendite dell’R&B più tradizionale, e le agitazioni per i diritti civili non sono per favorire lo status quo: la musica di Harpo non è né blues né R&B tradizionale, ma neanche qualcosa di rivoluzionario, (26) certamente non nei testi. In aggiunta, i mercati del jukebox e della radio stanno drammaticamente cambiando, e così anche i due successivi dischi hanno poche vendite perfino al sud.

L’ultimo disco del 1964 (Excello 2261, ottobre circa) propone dalla stessa ben risonante sessione di giugno Sittin’ Here Wondering, blues lento d’ispirazione chicagoana con minuzioso e incisivo lavoro di chitarra solista per tutto il tempo compreso il solo (Rudolph Richard), abbinato a un canto caldo, ispirato (sul FLY 593 si chiama Wonderin’ Blues), e da quella di gennaio il mid-tempo What’s Goin’ on Baby, molto in stile Jimmy Reed e con sonorità d’armonica acute, ma anche testualmente influenzato da Muddy (must be a two legged mule, honey, kickin’ in your daddy’s stall, e con riferimenti alla “long distance call”). Anche se questa registrazione proviene da gennaio in principio era un inedito di fine ’59, poi rifatto con titolo diverso nella sessione Imperial (v. sopra). Tuttavia, a parte la differenza audio, mi sembra lo stesso originale del ’59 presente sul Flyright 520, quindi direi che non si tratta propriamente di una nuova versione, piuttosto di un overdub della vecchia.
Il primo del 1965 (Excello 2265) ha da una parte un bell’andante che denomina il “genere”, Harpo’s Blues, non uno strumentale come si potrebbe supporre, ma una canzone innervata dal lavorio blues della chitarra, incorniciata dalla sezione fiati, ammorbidita dal canto e dall’armonica “soffice” del nostro, e dal leggero shuffle di batteria. Secondo il libretto anche questa dovrebbe appartenere alla sua band, ma sul sito Wirz è attribuita alla sessione di settembre ’63 (v. sopra), cosa che si può credere perché lo stile di chitarra e il suono generale combaciano con ciò che è udibile in Buzzin’, e si sente che i sassofoni sono più di uno.
Sul retro Please Don’t Turn Me Down, lento carico di umore e di eco quasi al punto giusto (il canto non è al meglio), con la sua band dalla sessione del novembre 1960, quella di Rainin’ in My Heart.
Dato lo scarso riscontro Slim Harpo, che comunque anche nel periodo di maggior successo ha sempre dovuto considerare l’attività musicale come extra continuando a lavorare fuori, come accennato sopra avendo una piccola impresa di trasporti con tre furgoni, comincia a contemplare l’idea di proporsi come solista nel circuito dei folk-blues café di moda all’epoca nelle grandi città della costa est e in California, imparando la chitarra e mettendo l’armonica sul supporto.
A 41 anni James Moore non immagina di non aver più tanto tempo davanti a sé, ma non è ancora finita, c’è da dire sul suo ultimo periodo, rappresentato dal secondo disco di questa doppia raccolta che non esaurisce l’intera pubblicazione Excello, bensì la più importante, quella sui ventidue 45 giri che hanno fissato il suo nome nella storia della musica popolare del Novecento.
Seconda parte.

(Fonti: John Broven, South to Louisiana, The Music of the Cajun Bayous, Pelican Publishing Company, Gretna, LA, 1983, pagg. 128-134; Note di John Broven a Slim Harpo, The Excello Singles Anthology, Hip-O Records, Universal Music Enterprises, CD 583-02, 2003; Album della serie The Legendary Jay Miller Sessions, Flyright Records, ove indicati; Note di Cub Koda a Slim Harpo, The Scratch, Rare and Unissued, Vol. 1, Excello CD 3015, Excello Rec./AVI, 1996; Note di David Kearns a Slim Harpo & His King Bees, Sting It Then!, Ace Records CDCHD 658, 1997; Aggiornamento 2023: da Martin Hawkins, Slim Harpo, Blues King Bee of Baton Rouge, Louisiana State University Press, Baton Rouge, 2016.)


  1. Aggiornamento 2023: Nel libro Slim Harpo, Blues King Bee of Baton Rouge di Martin Hawkins si rende noto, credo per la prima volta, che sul certificato di nascita l’unico nome attribuitogli è Isiah. Nessuno però l’ha mai chiamato così, nemmeno in famiglia e, da ciò che l’autore ha potuto osservare, apparentemente nessuno ne aveva mai sentito parlare: James è il nome con cui tutti l’hanno sempre chiamato fin da piccolo. Dappertutto, a tutt’oggi, si trova invece il secondo nome di “Isaac”, ma è un falso partito da un commentatore musicale e in seguito ripreso da altri fino alla diffusione capillare in internet; in ogni caso in nessuna delle sue certificazioni personali c’è un secondo nome, sempre a detta di Hawkins. L’unica occasione relativa ai suoi tempi in cui James è apparso con l’iniziale di un secondo nome l’autore l’ha trovata in un elenco pubblico del 1951, dove “Jas I. Moore” risulta residente in North Thirty-Sixth Street (nella casa di Lovell Jones, poi sua moglie) e, come si vede, qui c’è anche possibile concordanza con il nome Isiah. Infine, una diversa iniziale da secondo nome, “H”, è stata aggiunta più recentemente quando i suoi diritti d’autore sono stati registrati presso BMI, causando dopo la sua morte una citazione dagli avvocati di Lovell (ma vedo che è ancora così).[]
  2. Aggiornamento 2023: Ovunque, a tutt’oggi, è riportata 11 gennaio come data di nascita, ma sul certificato di nascita si legge febbraio, dal libro sopracitato.[]
  3. Forse si riferisce a una chitarra, perché va da sé che di armoniche ne aveva già.[]
  4. Pare strano che un artista con un già discreto successo discografico, pur regionale (quello nazionale arrivò nel 1959), perda tempo e introiti suonando “per divertimento”. Forse succedeva nei tempi morti tra una promozione e l’altra dei dischi, perché in quei casi Lightnin’ Slim girava con una sua band in mini tour organizzati da Miller. In ogni caso ciò che dice dà la misura della gittata modesta di quell’ambiente, e di cosa significasse per un bluesman rimanere al sud.[]
  5. Da John Broven, op. cit. nelle fonti. Aggiornamento 2023: Nel testo di Hawkins, da una testimonianza di Miller si legge che la prima volta in cui il produttore ascoltò James Moore gli sembrò “orribile”, e gli disse di tornare con una buona canzone, cosa che Moore fece dopo due o tre settimane (forse sempre nello stesso marzo 1957), la volta di King Bee, che in questo modo apparterrebbe alla seconda occasione. L’autore cerca di ridimensionare la “storia del naso” dicendo che Miller intendeva sentirlo con un approccio “parzialmente” nasale, vale a dire con un effetto più “conversazionale”, dato che la voce naturale di Moore presentava già delle caratteristiche simili. Ipotizza quindi che James alla sua prima audizione cercò di cantare come qualcun altro, e in conseguenza fu aiutato a trovare una sua voce o, meglio, a enfatizzarne alcuni elementi. Questa ipotesi potrebbe finalmente spiegare One of These Days, brano che ho sempre ritenuto misterioso perché non sembra cantato da lui, contenuto in uno dei dischi Flyright di inediti (Slim Harpo, Got Love If You Want It, Vol. 20, serie The Legendary Jay Miller Sessions, FLY LP 558, 1980), che sarebbe così appartenente alla prima volta nonostante Flyright l’abbia inserito tra brani più tardivi. Se si considera quindi il tentativo di cantare come qualcun altro (come Muddy o Howlin’ Wolf, dice Hawkins), e cioè un esempio dello stile pre-nasale alla prima audizione alla fine della sessione di Lightnin’ Slim, allora quel brano (presumibilmente con Lightnin’ alla chitarra) potrebbe essere il primo registrato da Moore, e un caso unico dato che non mi sembra di averne sentiti altri con quella vocalità. Comunque non somiglia affatto a Muddy: l’unico rimando è che la seconda strofa è da Long Distance Call.[]
  6. Slim Harpo, Blues Hangover, Vol. 4, serie The Legendary Jay Miller Sessions, FLY LP 520, 1976.[]
  7. Slim Harpo, Got Love If You Want It, Vol. 20, serie The Legendary Jay Miller Sessions, FLY LP 558, 1980.[]
  8. Aggiornamento 2023: la rivelazione che forse mi ha colpito di più nel testo di Hawkins è il fatto che Miller ha avuto più studi di quelli che pensavo. All’autore è stata fatta una lista, da persone vicino al produttore, a suo esclusivo uso e consumo con date e luoghi affinché potesse orientarsi. Una lista nel senso di un nudo elenco è inedita, ma lungo la lettura, se non mi è scappato qualcosa, ne ho contati circa otto, e questa per me è stata una sorpresa dato che quando sono andata a Crowley ho saputo di (e visitato) solo due studi (di cui uno è una riproduzione), anche se ho sempre avuto la parvenza, da vari indizi, che ne avesse avuto almeno un quarto (ma non otto!), contando anche il primo nel retrobottega del padre, al 218 North Parkerson. Comunque, quando si fa riferimento al famoso “studio di J.D. Miller”, cioè quello in cui ha ottenuto per la prima volta il “suono Excello” carico d’eco, si intende il secondo, localizzato al 118 North Parkerson (l’intera proprietà acquistata da Miller era ai civici 116-118-120), ma ancora bisogna stupirsi se si pensa che nell’immaginario comune tutta la sua produzione per Excello è stata fatta lì, e invece usò quello studio solo per 3-4 anni da quanto risulta.[]
  9. Aggiornamento 2023: Il personale presente in questa sessione (e in altre, specie quelle in cui ha registrato i brani più iconici) è stato da sempre fonte di dibattito, di errori e di supposizioni che per decenni hanno diffuso ambiguità e false convinzioni ampliate o semplicemente reiterate, dalla carta stampata al web. Nel caso di Slim Harpo ciò è dovuto al fatto che nessuna trascrizione delle sue sessioni, comprese le tardive post-Miller, è sopravvissuta. Inoltre, in alcune sessioni o nastri erano aggiunte tracce registrate in altri giorni, così Hawkins s’è limitato a elencare i musicisti probabilmente presenti, ma non chi suona in ogni traccia. Infine, come in questo caso, a volte Miller faceva overdub dopo la sessione, specie per quel che riguardava l’aggiunta di percussioni o di pianoforte, così che certi musicisti (v. Lazy Lester, Katie Webster, Sonny Martin, e altri) non sono stati nominati da coloro che avevano registrato live perché non presenti in quel momento. In compenso esiste un’eccessiva testimonianza di memorie di chi era nelle vicinanze all’epoca ma, come Lester ha detto, la maggior parte sono “as wrong as two left shoes”, ahimè a volte comprese le sue e quelle dei musicisti più vicini ad Harpo, anche se più preziose data la contiguità e assiduità. Insieme hanno creato conflitti a volte insanabili. Anche i vari studi in cui registrò non sono mai stati del tutto documentati.[]
  10. Dalla sessione del nov. 1957. Aggiornamento 2023: tra la prima (forse marzo ’57) e la seconda (5 nov. ’57) sessione ne è segnata un’altra del 1957 senza data – potrebbe quindi essere a sé stante come appartenere alla prima o alla seconda – in cui sono registrati due titoli rimasti inediti al tempo e poi finiti nel FLY 520, il già nominato That Ain’t Your Business, e Things Gonna Change.[]
  11. Aggiornamento 2023: 986 N Parkerson, nel Constantin Building; v. nota n. 8.[]
  12. Aggiornamento 2023: M. Hawkins, op. cit., pag. 88.[]
  13. Aggiornamento: James Johnson è scomparso il 16 aprile 2022.[]
  14. Aggiornamento: Rudolph Richard è scomparso il 22 settembre 2014.[]
  15. Aggiornamento 2023: in novembre sono prodotti otto brani più due alt. take, probabilmente in giorni diversi, ma come si vedrà solo Rainin’ in My Heart è destinato alla pubblicazione immediata su singolo. Degli altri, tre vanno nel primo album Excello (8003) che uscirà l’anno dopo (My Home Is a Prison, il Moody Blues già detto e lo strumentale Snoopin’ Around), tre saranno inediti per molti anni (That’s Alright Baby va su CD Ace, Lover’s Confession su CD Excello, Wild about My Baby vent’anni dopo su singolo Blues Unlimited [meteora di Miller] insieme all’alt. take di Rainin’ in My Heart), e uno uscirà tre anni dopo su singolo Excello 2265 (Please Don’t Turn Me Down).[]
  16. Da John Broven, op. cit. nelle fonti. Si noti come Rainin’ in My Heart venga definita un blues anche se di fatto non è: qualsiasi brano cantato da un nero era sempre blues anche quando era pop.[]
  17. Ibid.[]
  18. Slim Harpo, Shake Your Hips, Vol. 31, serie The Legendary Jay Miller Sessions, FLY LP 593, 1983.[]
  19. Come scrive David R. Kearns in Reminiscence of Slim Harpo nelle note al CD The Scratch (v. fonti), i ragazzi chiesero il permesso a Percy Stovall, proprietario di club e agente/promoter di New Orleans, già nominato in queste pagine come manager di Guitar Slim. La maggior parte delle band che suonavano per le feste della High School Fraternity and Sorority di Mobile venivano da New Orleans ed erano ingaggiate da Stovall: «Contattammo Percy Stovall che chiamò Slim [Harpo] per avere il permesso di lasciarci registrare. Percy ci disse di andare là presto e di non intralciare la band».[]
  20. Cub Koda, note a Slim Harpo, The Scratch, Rare and Unissued.[]
  21. Aggiornamento: nel 2015 è finalmente uscita la raccolta definitiva per Slim Harpo: Buzzin’ the Blues, The Complete Slim Harpo, cofanetto da cinque CD di Bear Family (BCD 17339), dove si trova tutta la sua discografia compreso il concerto di Mobile (rimane ancora qualche inedito del live, ad esempio i primi strumentali di riscaldamento della sola band, ma hanno ritenuto la qualità sonora troppo scadente per una pubblicazione). Anche se ciò rende ora tutto il mio precedente lavoro di segnalazione degli inediti pressoché inutile, naturalmente vedo questa uscita come un bene dovuto da tempo. Da notare che c’è voluta un’etichetta europea.[]
  22. Da John Broven, op. cit nelle fonti.[]
  23. A parte il singolo di debutto, I’m a King Bee / I Got Love If You Want It, dove sull’etichetta c’è solo l’accredito a J. Moore.[]
  24. Altri nomi noti per esser stati musicisti nello studio di Miller in quel periodo, v. ad esempio per Lazy Lester e Lonesome Sundown, sono il batterista Warren Storm, il bassista Bobby McBride, la già citata Katie Webster e il celebrato tenorsassofonista Lionel Prevost (aka Lionel Torrence), della band di Clifton Chenier.[]
  25. Nel CD Ace Records Sting It Then! nominato sopra, quello del concerto catturato dagli studenti, Buzzin’ è presente (naturalmente più lungo, quasi sei minuti), segno che prima di registrarlo lo suona dal vivo almeno da due anni.[]
  26. È un parziale paradosso, dato che i musicisti rock inglesi s’ispiravano proprio sia al vecchio blues che a Slim Harpo.[]
Scritto da Sugarbluz // 17 Marzo 2012
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