Robert Jr Lockwood – Steady Rollin’ Man

Robert Lockwood, Steady Rollin' Man (CD cover)

Come Chicago Beat degli Aces anche Steady Rollin’ Man di Robert Lockwood nacque nel primo periodo di riscoperta del blues: suoni provenienti da un’altra epoca attraversanti la metà degli anni 1960, creando un piccolo varco tra i generi più in voga del tempo.
Riscoperta da parte del pubblico s’intende, non rinascita di una musica che aveva comunque continuato a esistere, anche se non in primo piano. I protagonisti storici superstiti erano stati sempre lì, nascosti alla scena mondiale, e non incidere dischi, suonare solo per i vicini di casa o stare fermi per anni non aveva scalfito le loro capacità.
Non facevano i musicisti, erano musicisti, e in qualsiasi momento gente come Robert Jr era pronta e ispirata – lo sarebbe stata per un tempo che a chi macina musica di consumo deve sembrare infinito (e lui in particolare ha cavalcato quasi un secolo intero) – per riprendere a suonare davanti a noi un giorno qualsiasi se solo glielo avessimo chiesto, o ricominciare ad andare in studio come se il tempo si fosse fermato anni addietro. Fermato non in senso evolutivo personale, ma come smalto, vigore, passione, freschezza.

Steady Rollin’ Man, di una bellezza vergognosa, è un must-have che esula la storia per stabilirsi in una zona eterna, intoccabile, libera da inutilità o noia causata da una montagna di insignificanti note.
Robert Jr Lockwood, mito vivente fino alla sua scomparsa nel 2006, in gioventù aveva convissuto con un altro (inconsapevole) mito. Nato nel 1915 in una fattoria a Turkey Scratch, Arkansas (a 40 chilometri da Helena), cominciò a suonare l’organo nella chiesa del padre all’età di otto anni e a undici ebbe a che fare con un padrino d’eccezione, Robert Johnson.
Infatti, Estella Coleman, la madre di Robert Jr, per un periodo convisse con colui che anni dopo la sua scomparsa divenne personificazione stessa della musica blues. Considerare Johnson padre putativo del piccolo Robert pare esagerato vista la poca differenza d’età (RJ aveva solo quattro anni in più), ma non v’è dubbio che fu suo maestro nell’uso persuasivo della chitarra e nell’arte di intrattenere il pubblico, peculiarità affinate nell’irrequieto vagabondare per ogni luogo ove l’istinto, non sempre benevolo, gli consigliava d’andare.

Sonny Boy Williamson II and R. Lockwood at KFFA King Biscuit Time, Helena, Ar, 1940
Sonny Boy Williamson II e Robert Lockwood al King Biscuit Time della KFFA, Helena, Ar, 1940

È consolidato che Johnson lo stimolò per bene almeno quattro, cinque anni, ed è possibile che l’essere mentore del figlio di Estella, insegnandogli il mestiere, fosse una forma di riconoscenza verso la devozione della donna, che era più grande e si prendeva cura di lui. Sebbene Robert Lockwood fu chiamato Junior in conseguenza del nome del suo vero padre, venne consacrato dai locali come Robert Jr a causa della sua vicinanza con Robert Johnson.
A quindici anni Junior era già professionista, lavorando anche con Johnny Shines, altro adepto di Johnson, e con Sonny Boy Williamson II, con il quale poi nel 1941 condivise il grande successo del programma radiofonico King Biscuit Time alla KFFA di Helena, influente su un’intera generazione di musicisti del sud, non tipi qualsiasi ma gente come Albert King e Jimmy Reed.
Passò gli anni 1930 a suonare in giro per il Mississippi, andando anche in competizione con Johnson stesso quando i due si trovarono a suonare nella medesima città, Clarksdale, ognuno sulla sponda opposta del fiume Sunflower, mentre il pubblico confondeva le loro identità. Vero o falso che sia quest’episodio segnala la diceria che in quel periodo la tecnica e l’intonazione di Lockwood erano identiche a quelle di Johnson, in quel particolare amalgama tra parti melodiche e ritmiche. Sapere però con certezza come suonasse in quegli anni è impossibile perché il primo disco lo incise solo nel 1941, tanto più con la produzione conservatrice e coercitiva di Lester Melrose, ma è probabile che sul finire degli anni 1930 avesse sviluppato un suo stile personale, anche se l’ombra di Johnson gli rimarrà accanto tutta la vita. Inoltre tra i suoi amori c’erano i chitarristi Eddie Durham e Charlie Christian, e la sua attitudine swing s’evince anche da questo disco.

Robert Lockwood, I'm gonna train my baby (78 rpm record)

Preso il coraggio di partire non andò tuttavia molto lontano, tuffandosi nella mischia di Memphis e suonando lungo Beale Street, a volte con Howlin’ Wolf, proprio attorno al periodo della morte di Johnson (1938). Alla fine degli anni Trenta si trasferì a St Louis, luogo che ha assunto spesso il ruolo di tappa di mezzo per i bluesman, specie quelli del Mississippi, che non osavano fare il grande salto verso Chicago, e che avevano comunque già avuto il primo impatto con la città a Memphis. Là cominciò la collaborazione con Doctor Clayton, con il quale poi debuttò nelle registrazioni, appunto nel 1941 per Bluebird di Chicago, ad Aurora, Illinois. (1)
Si stabilì nella Windy City, ma sovente tornò a Memphis e in Arkansas, lasciando comunque intatta nella grande città sul lago Michigan, nei gloriosi anni 1950, la sua reputazione come IL chitarrista da studio e session man d’eccellenza, per colleghi come Little Walter, Sonny Boy Williamson II, Muddy Waters, Eddie Boyd, Willie Mabon, Sunnyland Slim, Roosevelt Sykes, Otis Spann, John Brim, J.B. Lenoir, Jimmy Rogers, Freddy King. Nel 1961 Sonny Boy lo convinse a trasferirsi a Cleveland, Ohio, formando con lui una band per suonare dal vivo.
Quando Williamson venne in Europa per l’AFBF del 1963, fermandosi poi per mesi (dato il successo e l’affetto riscosso tra i fautori del british blues), Lockwood, forse per motivi economici e/o di delusione nei confronti del music business, declinò l’invito a raggiungerlo e rimase in Ohio con la sua famiglia togliendosi dalle scene per un bel po’, ma i festival della fine anni 1960 e primi 1970, uno su tutti quello da capogiro di Ann Arbor nel 1972, rimisero per fortuna in circolazione il suo nome e la sua persona. Confermò comunque in Cleveland la sua base, esibendosi nei suoi locali fino alla fine.
Questo disco è stato registrato il 12 e 13 agosto 1970 per Delmark, rimesso sul mercato in CD nel 1992 e ha l’importanza storica d’essere il suo primo come leader, seguito da tre dischi, (2) e nei primi anni 1980 da altri tre con Johnny Shines per Rounder. La discografia riprese poi alla fine degli anni 1990, in occasione dell’altro blues revival (stavolta partito dagli States), e continuò nel nuovo secolo.
Messa velocemente da parte un po’ di storia rimane la musica senza tempo fatta da lui e dai suoi accompagnatori, il gruppo senza macchia e senza paura degli Aces, vale a dire i due fratelli Dave e Louis Myers e Fred Below, in quattordici tracce senza crediti, ma per la maggior parte autografe, a parte tre dal repertorio di Johnson, una di Curtis Jones e una di Joe Liggins, comprendenti tre strumentali e due alternate take.

Robert Lockwood, Steady Rollin' Man album cover

È un prodotto solido, lineare e senza sbavature, mai diluito (la traccia più lunga è 3:32), con musica insonorizzata e felpata fatta da quattro individui pressoché unici come sonorità, scevri da tecnicismi fini a se stessi. Tutti hanno la stessa importanza del leader (e Myers ha qualche assolo) e si valorizzano a vicenda, proseguendo per la stessa strada ignari del superfluo, conoscendo il percorso a menadito perché nella loro natura, mai sopita e soprattutto mai rinnegata.
Non che i concetti di economia sonora, di condensazione dell’idea e dell’espressione reticente siano validi solo di per sé, ed esiste blues più arrangiato che comunica in modo altrettanto significativo attraverso lo stesso destino di ridisegnare le scarne ma fertili sonorità del Delta. Questo è un disco relativamente “povero” e poco vario in sonorità e ritmi, e chi fosse abituato a pasti ricchi e abbondanti potrebbe faticare a farsi bastare questo pasto frugale, ma altamente nutritivo e digeribile.
Piuttosto, la cosa vivente che lo fa camminare è la genuina, sommessa ma irresistibile soddisfazione che provoca nell’ascoltatore puro, senza sprechi d’energia e di concentrazione, usufruendo di un impianto musicale agevole, eppure così difficile da ottenere nella sua pienezza.
È musica vitale che s’infila dentro seguendo un percorso desiderato già nel primo ascolto, e riservando infinite gioie anche ai successivi per via dei suoi umori, complici con i nostri nello sforzo di governarli. Nient’altro che essenza, sparuti grappoli di blues elettrico urbano non aggressivo: atmosfera laid-back, mitezza e armonia, espressività sonora con il freno a mano inserito, ma in grado di suscitare emozioni senza argini in chi ascolta.
Lockwood, all’epoca non abituato al ruolo di leader e potendo confidare in pieno sugli accompagnatori, suddivide e integra il suo ruolo con le altre personalità in un impasto ben riuscito. Gli spiriti del Delta e di Robert Johnson sbucano fuori inevitabilmente, ma in un contesto personale imbibito di intimismo peculiare, con un’inflessione emotivamente parallela alla musica colta brasiliana pregna di saudade.
Le canzoni di Johnson sono tre, ma anche in altre si respira il lascito del tutor, con un accompagnamento strumentale omogeneo, mai invadente, esempio di come suona una blues band classica, riuscendo a consegnare corposità e pienezza nonostante la stringatezza, e a rendere significative le pause quanto i suoni.

In Steady Rollin’ Man (Johnson) affascinano il quieto procedere, la particolare voce di Junior capace di assottigliarsi e di giungere lo stesso melodiosa, proprio come quella di due Johnson (Robert e Lonnie), e l’andatura cittadina elegantemente aliena dal caos, leggermente jazzy, alla Lonnie Johnson, al miglior Tampa Red. Costanza e implacabilità, come il titolo richiama.
Western Horizon inizia alla maniera di Johnson, poi si stabilizza sul tradizionale mid-tempo cardiaco a firma Aces (l’importanza di chiamarsi Below!), con Lockwood che dopo aver cantato economizza frasi sulla chitarra a grappoli succosi e scintillanti, in continuum con le tonalità alte e asprigne della sua voce vetrosa, antica e modulata.
Take a Walk with Me è un discorso di un paio di minuti che di nuovo non lascia zone buie o incomprensibili. Smussata, imbottita di materiale morbido che la fa rimbalzare melliflua, mentre Steady Groove esemplifica nel breve racconto strumentale il piacere del disco, e il decorso maturo di quattro menti lucide.
Il Mean Red Spider è johnsoniano. Basterebbe solo come Lockwood pronuncia mean e spider, divise dalla neutra red, a dargli senso; ogni parola nasconde un’emozione, anche se messa in gioco solo per trovare solidarietà. Louis e Robert hanno dialoghi meravigliosi insieme. Con il title cut è tra i brani migliori, benché trovarne uno migliore qua è affare inutile e relativo.
Lo strumentale Lockwood’s Boogie è agevole nelle mani del solido timekeeper Below, nel basso cupo e profondo ma leggero di Dave, e nelle chitarre swinganti di Lockwood e Myers.
L’inizio di Ramblin’ on My Mind dà il via al viaggio nel tormento del maestro, e vien da chiedersi cosa avrebbe pensato lui al tempo nel sentire questa suonata quasi quarant’anni dopo, con una strumentazione a lui sconosciuta e con il ritmo da lui idealizzato, e con lo stesso rendimento non pedante nella sofferenza appena accennata, anzi, mitigata.
Sincera e limpida come rugiada del mattino, seppur nascosta nelle screpolature dell’anima, anche Blues and Trouble (forse di Curtis Jones), disinvoltamente appoggiata sulla ritmica levigata degli Aces, formante un mormorio costante per gli appigli chitarristici e vocali di Lockwood; Dave e Below s’accordano che è uno spettacolo.

Ancora d’ispirazione johnsoniana Worst Old Feeling, in cui Junior si chiede come mai certa gente dica che gli umori blues non sono tanto male, visto che per lui sono i peggiori sentimenti. Pur non avendo Lockwood una voce potente e profonda, il suo canto, con tonalità intime, sincere, avvincenti, piegate verso un’inflessione triste e beffarda, è un fortissimo alleato con le digressioni pulite ed eloquenti della sua chitarra.
È la terza firmata direttamente dal padrino la stupenda e sottile Kind-Hearted Woman, con il tipico falsetto a seguire il semi-parlato. La potenza narrativa di Johnson ha qui un interprete ideale, chissà se ha mai immaginato che il rampollo avrebbe spinto la sua musica così in là negli anni, quasi a parlare al posto suo dall’oltretomba. Can’t Stand the Pain continua il groove confidenziale e l’incantevole chitarra di Lockwood, ai tempi non ancora folgorato dalla dodici corde, si lega in modo indissolubile con il suo cantato, creando un’affascinante coda. La sua discrezione e la sua ricchezza siano d’esempio.
Esce leggermente dal coro, non dissolvendo però l’atmosfera raccolta e persuasiva, lo strumentale a ritmo bossa nova Tanya dal fertile Joe Liggins, con i suoni di Lockwood che s’arricciano e s’arrotano in un intimismo tipico della musica sudamericana. Ancora una volta i colleghi danno contorno ideale agli arpeggi spiritati di Lockwood, e questo sarebbe il giusto brano della buonanotte se gli editori non avessero aggiunto in chiusura le versioni alternative di Worst old Feeling e del Lockwood’s Boogie, che si riascoltano comunque volentieri mentre il senso di gratitudine cresce. È musica piena di devozione.
Ho già detto troppo, ed è sicuramente meglio ascoltare direttamente questi quattro poeti ermetici nella loro magistrale lezione su quanto si possa sublimare il necessario, e quanto può essere fuorviante cercare di capire come si fa.

(Fonti biografiche: note di Stephen C. LaVere a Robert  Johnson, the Complete Recordings, Columbia Records, 1990.)


  1. Le sessioni Bluebird ad Aurora furono tutte tenute all’ultimo piano del Leland Hotel, soprattutto nel 1937 e 1938. Quella di Lockwood del 1941 quindi fu in un periodo in cui il Leland non era più tanto usato da parte di Bluebird.[]
  2. Contrasts del 1972, Robert Jr Lockwood Does 12 del 1975, entrambi per Trix di Pete Lowry, e Live in Japan con gli Aces per Advent del 1974.[]
Scritto da Sugarbluz // 16 Aprile 2010
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Una risposta

  1. Mark Slim ha detto:

    Il disco è formidabile perchè Robert è accompagnato da una sezione ritmica di super lusso: gli ACES!!!

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