The Aces – Chicago Beat

The Aces, Chicago Beat (CD cover)

The Aces fu la più richiesta, snella, potente e swingante sezione ritmica del blues del secondo dopoguerra di Chicago. Dopo più di vent’anni passati come gruppo solista e di accompagnamento, in studio e dal vivo, dei più bei nomi della città (tra le collaborazioni più riuscite quelle con Little Walter e Otis Rush), agli albori degli anni Settanta la formazione rischiava di sparire senza aver lasciato discografia a proprio nome che mettesse in evidenza la loro versatile individualità come musicisti formanti un combo autonomo.
Il nome della band appariva solo su due singoli del 1956 per una fugace etichetta di Chicago, Abco (senza però Fred Below, ma un altro batterista, Eugene Lyons, e Willie Dixon al contrabbasso), uno intestato a Freddie Hall & The Aces (Can’t This Be Mine / Playin’ Hard to Get), l’altro a Louie Meyers & The Aces (Just Whaling / Bluesy).
Abco aprì nel febbraio 1956 e produsse solo otto dischi con ottima qualità audio, tutti registrati presso gli Universal Recording, studio noto all’epoca per essere all’avanguardia. Just Whaling ne è un buon esempio: oltre alla qualità del suono è notevole anche l’armonica di Louis Myers, in uno strumentale evidentemente ispirato da Little Walter. Dietro Abco c’erano Joe Brown, che in seguito diede avvio alla più nota JOB, e Elias (detto Eli) P. Toscano, che invece aprì Cobra, dando voce ai nuovi chitarristi del West Side sound sotto la direzione dell’ubiquo Willie Dixon.
Non ci sono particolari ragioni verso la disattenzione discografica ricevuta in patria come gruppo solista, nonostante la loro forte impronta stilistica, mentre nel ruolo di backing band sui cartelloni si leggeva un generico “Chicago Blues Band”, stante per Dave Myers, Louis Myers e Fred Below.
Per fortuna in occasione delle tournée europee a bordo del Chicago Blues Festival, ma non solo, ci fu un manipolo di discografici d’Oltralpe che non perse l’occasione, e a tutt’oggi le incisioni francesi sono le uniche intestate direttamente a loro. Nel 1971 fu Vogue a mettere sul mercato Dust My Broom e Kings of Chicago Blues, nel 1976 Black & Blue con questo Chicago Beat, e nel 1977 MCM con Aces & Guests; i due fratelli Myers registreranno poi autonomamente più in là negli anni.

Record's label of Freddie Hall & The Aces, "Playin' Hard To Get"
Dalla collezione di Robert L. Campbell

Dave (1927-2001) e Louis Myers (1929-1994) nacquero a Byhalia, Mississippi, poco più a nord di Holly Springs e poco più a sud di Memphis, Tennessee, da un padre musicista, Amos, che insegnò la chitarra a entrambi. I due crebbero suonando sempre insieme e sviluppando una tale empatia musicale, già favorita dalla familiarità, che permise loro di raggiungere in coppia un ragguardevole livello di precisione e interplay, in continuo scambio e arricchimento l’uno con l’altro.
Quando la famiglia si trasferì a Chicago nel 1941, guarda caso capitando vicini di casa di Lonnie Johnson, loro erano adolescenti ma già chitarristi provetti, trapiantati nel posto e nel periodo giusto per evolvere la loro formazione, aperti a ogni stimolo musicale e in cambio inconsapevolmente pronti a perfezionare il nuovo suono elettrico della Windy City, che aveva soppiantato il blues acustico degli anni 1930/40.
Dave, il fratello “percussivo”, accordava più basse le corde della chitarra per suonare la ritmica, accentandola e arricchendola con accordi imitando la mano sinistra del pianista, Louis s’occupava della linea melodica e dei solo. Dave poi fu uno dei primi a usare, a metà anni 1950, il nuovo basso elettrico; acquistò un Fender Precision 1958 e mise da parte la chitarra, ritirandola fuori dopo la scomparsa del fratello e tornando in scena come chitarrista.
Nel 1948 si chiamano Little Boys e stanno alle spalle del più anziano Arthur ‘Big Boy’ Spires non mostrando difficoltà a seguire il suo stile Delta blues, al contrario di lui, spiazzato dai loro attacchi boogie o da arrangiamenti chitarristici di brani swing in voga, suonati dalle band nelle focose notti live. È in uno di questi contesti con Spires che incontrano Junior Wells, e con lui poco dopo diventano The Three Deuces, in seguito The Three Dukes e poi The Three Aces, ma anche The Little Chicago Devils. Nel 1951 un altro incontro che lascia il segno, con colui che diventerà il terzo componente quasi fisso della band, il loro rombo di tuono per le tempeste shuffle di gruppo: Fred Below, da poco congedato dall’esercito.

Records of Freddie Hall & His Aces, Can't This Be Mine

Fino a quel momento, com’era usanza nel downhome blues, battevano il piede così forte da non credere d’aver bisogno d’un batterista: fu Elga Edmonds (aka Elgin Evans), batterista di Muddy Waters, a suggerirlo. Edmonds era nato al nord e proveniva dal jazz, genere non più remunerativo nel momento in cui il nuovo blues cominciò a sostituirlo nei locali cittadini.
Edmonds e Leroy Foster si possono considerare pionieri delle nuove necessità ritmiche legate alla nascita della blues band urbana, tuttavia non furono in grado d’adattarsi fino in fondo al cambiamento in atto. Negli anni 1940 la figura del batterista blues, e la batteria stessa, erano ancora in via di definizione, e fu proprio Fred Below a fissare i primi modelli, che si traducevano soprattutto in una più articolata cadenza del ritmo e nella disposizione di un set ancora oggi attuale.
Nato a Chicago nel 1926, Below non era autodidatta avendo studiato in un istituto cittadino, e suonava prevalentemente jazz a fianco dell’organista Jack McDuff. Convertitosi al blues, fu house drummer presso Chess, fornendo con rilassatezza, e all’occorrenza con più accenti, i suoi rimbalzi per gli artisti della Casa, ma soprattutto si formò esibendosi dal vivo con i fratelli Myers. Con lui, i tre diventano The Four Aces e impazzano nei locali fino a quando Little Walter, allontanatosi da Muddy Waters per proseguire da solista, prende il posto di Junior Wells, che a sua volta prende il suo da zio Muddy.

Record of Louie Meyers & The Aces, Just Whaling

Forte del successo di Juke e del suo talento sfacciato, Walter è leader del gruppo e gli cambia nome di nuovo, Little Walter & His Night Cats (o His Jukes), ma anche The Little Walter Band, lavorando tanto in studio e dal vivo in giro per gli States, già ognuno con il proprio amplificatore, quello di Walter con due altoparlanti.
La piccola orchestra aveva gran successo; per il pubblico fu un fatto nuovo sentire un tale volume di suono creato solo da quattro elementi. Nel frattempo Louis, ispirato dalla vicinanza di cotanti maestri armonicisti, perfeziona la tecnica all’armonica, in qualche modo anche obbligato dalle assenze di Little Walter, e in questi casi tornano a chiamarsi semplicemente The Aces. Walter si dimostra un capo dispotico, decide sempre tutto ma non sempre paga, così Louis se ne va per la sua strada formando diversi gruppi, poi regolarmente sciolti. Dopo un paio d’anni, circa a metà degli anni 1950, il rapporto di Little Walter s’interrompe anche con gli altri.
I tre tornano insieme durante i primi anni 1960, ma non in modo continuativo sia per seguire ingaggi individuali, sia per il periodo critico del blues che li costringe a trovarsi attività alternative alla musica, mentre Below viene in Europa più volte con l’American Folk Blues Festival.
Arrivando agli anni 1970, periodo conseguente alla prima rinascita del blues, The Aces vivono una seconda giovinezza non solo trovando una via discografica europea, ma anche un’intesa con Robert Jr Lockwood, con il quale registrano per Advent il Live in Japan del 1974 e per Delmark Steady Rollin’ Man del 1970. Si ritroveranno anche con Jimmy Rogers nel suo primo LP del 1972, Gold-Tailed Bird (c’è anche Freddie King), con Muddy Waters nel Live in Montreux sempre del 1972 e con Eddie Taylor in Long Way from Home (senza Below), live in Giappone del 1977.

Record's label of Louie Meyers & The Aces, "Bluesy"

Sono inoltre in diversi dischi che Black & Blue registra in occasione delle venute del Chicago Blues Festival (rintracciabili in CD nella serie Blues Reference): Roosevelt Sykes, Homesick James e Eddie Taylor nel 1970, Koko Taylor, Jimmy Rogers, Willie Mabon e Mickey Baker nel 1973, Lonnie Brooks, Little Mack Simmons e Luther Johnson nel 1975.
Chicago Beat è uscito con dieci tracce, diventate sedici nella riedizione in CD del 2002 (BB 445.2), in maggioranza registrate nella bella Toulouse il 15 dicembre 1973, e in minor parte a Bordeaux, il 4 dicembre 1970.
Benché a quel punto fossero passati molti anni dall’inizio della loro storia, il disco è espressione di genuino blues urbano ispirato, com’è evidente, da Little Walter, Lockwood, Muddy Waters, ma esposto con approccio fortemente personale, facendo pensare su quanto influenzarono il suono della città, più che a quanto ne furono influenzati.
A paragone con la Muddy Waters Band, organico dall’identità ben precisa (quella di Muddy) anche se allo stesso tempo in continuo fermento a causa delle frequenti sostituzioni, The Aces costituivano al contrario un punto fermo, ma oltremodo elastico. Avevano assorbito di tutto ed erano pronti a modellarsi addosso a chiunque, pur rimanendo fedeli a loro stessi.
È lodevole come dopo tanti anni e tante esperienze il loro suono sia ancora esente da sovrastrutture, immediato, compatto, ricco di tradizione, ma originale. Gli ospiti, comprimari più che star, sono assorbiti nell’organico dei tre assi: Willie Mabon e Jimmy Rogers in dodici tracce, Mickey Baker in una, Eddie Taylor in due. Louis Myers si divide tra canto, armonica e chitarra, mentre Fred Below e Dave Myers portano un’instancabile, mirabile macchina ritmica, e in qualche traccia cantano.

Nella spumeggiante Tell Me Mama (Little Walter) Louis canta benissimo, con gusto downhome, e suona l’armonica alla grande, lasciando la chitarra a Jimmy Rogers che, insieme al piano di Willie Mabon, muove lo sfondo con accenti discreti, omogeneizzati da una ritmica saltellante e infallibile marcata Myers/Below; semplice e spettacolare allo stesso tempo.
Dopo l’omaggio a Walter quello a Junior Wells, con Hoo-Doo Man (John Lee Williamson). Lo scenario è lo stesso, canto stupendo leggermente riverberato, armonica eccellente, chitarra in sordina, piano leggero, tonico, ritmica felpata che batte all’unisono come un unico grande cuore.
Il terzo omaggio va all’amico Lockwood con il tempo medio Take a Little Walk with Me, altra faccia del linguaggio chicagoano più tradizionale. È una camminata, non troppo lenta, che porta nel solito vecchio posto, un posto in cui si torna volentieri. L’atmosfera è come sospesa e, sentendo in modo palpabile il silenzio delle persone presenti, ci si può immaginare là nello studio.
Louis appoggia l’armonica, prende la chitarra e suona slide con Rogers e Mabon ancora al ruolo ritmico sul battito aumentato e possente di Whole Lot of Lovin’ di B.B. King. Di nuovo un’ammirevole, efficace concisione, spremitura a freddo del R&B del sud che, raccolto nel rigore della città gelida, assume un aspetto più denso (anche se erano nel sud della Francia…).
Ossequiando il mostro sacro capotribù Acque Fangose, con Got My Mojo Working, danno un’altra pregevole prova d’insieme. Mabon colora pur stando nelle retrovie, Rogers esce appena a formare le ali (il brano vola), Below traina con leggerezza, Louis canta come Muddy Waters senza imitarlo e suona una chitarra un po’ hillbilly, assecondato da Dave al basso in stile Memphis.

The Aces, "Chicago Beat", original vinyl edition cover

Lavoro fino di chitarra, basso swingante e batteria dal passo strascicato ed elegante: è Ace’s Shuffle, strumentale jazzy dove manca la coppia Mabon/Rogers lasciando il campo aperto ai tre campioni. Questo è il terzo take, nei bonus è messo anche il secondo. Altro loro strumentale è Blues for Marcelle, evidentemente dedicato a Marcelle Morgantini; la chitarra, con effetto wha wha, è attribuita a Mickey Baker, ma risente di Earl Hooker.
La gloriosa Kansas City di Little Willie Littlefield, pianista texano della tradizione boogie e cantante dalla vena calda e confidenziale, è il primo turno al canto di Dave, che la fa scorrere via liscia, a parte forse un’eccessiva lunghezza; chitarre di Rogers e Myers in evidenza, e assolo di Mabon.
In due delle incisioni più vecchie (1970) c’è Eddie Taylor alla lead (penso anche al canto). La prima è la lenta e fascinosa Early in the Morning, vischiosamente trattenuta nel suono basso e sincopato di Dave e Below, con Louis che si sente appena: ecco qua, il blues spiegato in 4 minuti e 8 secondi. Qualità di suono inferiore rispetto alle posteriori (e la voce di Taylor si sente bassa), ma in quanto a feeling non manca nulla; stessa cosa per l’altra, la favolosa Money, Marbles and Chalk di Jimmy Rogers, e ancora non è specificato chi canta, in modo molto simile all’originale di Rogers tanto che sembra lui, con due slide (Taylor e Myers?) pungenti, malinconiche, tenaci, a sintetizzare il blues di Chicago. Entrambe sono aspre e indomabili.
I bonus, probabilmente registrati nella stessa occasione del 1973 ma non messi nel vinile per ragioni di spazio, cominciano con una possente versione di Route 66 cantata da Fred Below. Lo stile vocale disinvolto è in linea con l’originale di Bobby Troup, che la scrisse in macchina durante un viaggio e poi la diede a Nat King Cole per farla diventare un successo, mentre lo stile strumentale è jump blues infittito dal movimento shuffle. Fred Below, se fosse stato un atleta, avrebbe subito il controllo antidoping per via delle sue prestazioni.

È di nuovo la voce indolente e agreste di Dave, qua e nei due seguenti, a introdurre Blue Shadows, medio-lento West Coast style scritto da Lloyd Glenn (hit per Lowell Fulson). Scintillante Mabon, chitarre sature, altri tre minuti e mezzo di vita non sprecati.
Mai stata pubblicata prima, dicono, questa versione spinta di Wee Wee Baby, meraviglioso brano di Big Joe Turner e Pete Johnson evocante le notti passate in bar fumosi con il grande Joe gorgheggiante, strabordante dallo sgabello, mentre Pete dai tasti lanciava lucide occhiate rosse attraverso il fumo della sigaretta appoggiata al piano. Qui subisce un restyling e diventa un veloce ma non troppo boogie blues, asciutto e sodo come solo loro riescono.
Le sorprese non sono finite: Fannie Mae è in originale un proto-rock campagnolo stile Junior Parker, condito dall’armonica country di Buster Brown. (1) Qua si riconosce la ritmica mid-tempo che ha dato forma ai dischi di Little Walter, e il canto di Dave è sudista fino al midollo. Una delizia, e consiglio anche l’ascolto dell’originale, magari quello del film con la voce del dj anche se copre il primo verso d’armonica.
Chiudono con un altro gioiellino strumentale da gustare, divertissement western swing, Stop, Stop, Stop, con parlata gallinacea alla macchietta del vecchio west. Ricorda anche i Jelly Roll Kings, il pollo fritto, gli stivali da cowboy, i bigodini in testa. Le chitarre sono le solite due (Myers e Rogers) però una imita il suono secco del banjo, anzi non so se è proprio un banjo. Finisce così, yippi yuppi ya e risate, non è solo straight Chicago blues. È di più: un irrinunciabile compendio di un manipolo di natural born musicians che chiudevano fuori vagheggiamenti e inutilità. La loro formazione a tre e la confidenza con il materiale gli permettevano d’essere agili, coerenti, incalzanti, ma era soprattutto il processo cerebrale a essere in comune. Louis, Dave, Fred avevano i superpoteri, sentire per credere.
Per dare corpo a tutto ciò consiglio la visione di queste immagini. In una foto del 1959 Dave mostra orgoglioso il suo nuovo basso, e in quella dopo c’è la formazione di Freddie Hall nel 1956 per le incisioni Abco, con Dixon che tiene il contrabbasso come una chitarra.


  1. Fu il suo hit, la ricordo nel film American Graffiti trasmessa dal dj Wolfman Jack (Lupo Solitario). Robert Weston Smith, aka Wolfman Jack, assunse la sua tipica voce radiofonica, ottenuta con l’impegnativa tecnica della voce di gola (canto difonico), basandosi su quella di Howlin’ Wolf. In effetti Wolf e Charlie Patton utilizzavano una forma elementare di throat singing o, per meglio dire, il suo principio base, con effetti simili a quelli riscontrabili, ad esempio, in certa musica tuvana.[]
Scritto da Sugarbluz // 10 Aprile 2010
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