And This Is Free
Un documentario d’interesse storico evocante un vissuto irripetibile, lo stesso vissuto rintracciabile nel blues elettrico di Chicago dei bei tempi: Maxwell Street acquisì una sua propria anima, un intangibile e incalcolabile capitale oggettivo, e rappresentò il folklore e il melting pot della città più di qualsiasi altro luogo.
Filmati e fotografie d’epoca, storie e interviste sul mercato domenicale che vivacizzò Chicago per più di un secolo a partire dal 1875; il contenuto non è focalizzato sulla musica blues, ma è uno sguardo sulle attività e sulle persone animanti l’area che dal 1994 hanno dovuto far posto all’University of Illinois per ciò che gli inglesi chiamano gentrification, qui equivalente a un lutto e a una perdita collettiva. Nella confezione si trova anche un CD, che però non contiene musica dalla strada (per questo ci sono i due dischetti pubblicati da Rooster, tratti dai nastri registrati durante le riprese di And This Is Free di Mike Shea), ma incisioni di bluesman frequentanti il mercato appartenenti sia al secondo dopoguerra, quindi per piccole etichette cittadine, che al periodo antecedente, quando esistevano solo major.
La parte più bella è il girato di Mike Shea il cui lungometraggio, registrato durante sedici domeniche estive del 1964, è condensato in cinquanta minuti pregni di umanità. Venditori ambulanti, imbonitori, negozianti, predicatori, hoodoo man, gruppi gospel, uomini di blues e personaggi unici come Chicken Man in procinto di ipnotizzare la sua gallina o di farla ballare, agiscono tra unti e puzzolenti stand di hot dog e cipolla grigliata, negozi con la merce appesa fuori e bancarelle cariche di mercanzia (suppellettili inutili, cianfrusaglie usate, pezzi di ricambio, prodotti miracolosi, casalinghi – come dicono in apertura, “cose che non si trovavano da nessun’altra parte”), davanti a genti assortite per colore della pelle, lingua e posizione sociale.
Ai tempi del filmato la figura del puller, colui che letteralmente tirava i passanti dentro la bottega, era stata ridimensionata in seguito all’emissione di un’ordinanza vietante il “sequestro dei clienti”, ma qui si nota un piccolo rimasuglio di questa pratica; che il malcapitato fosse scelto in base a certi requisiti è evidente quando il “puller” evita di fare la mossa con un tipo grande e grosso, seppur dall’aria bonaria.
Shea, ex fotoreporter, fu parte di quell’avanguardia che negli anni Sessanta diede vita al cinéma vérité grazie alle nuove tecnologie che permettevano di utilizzare una telecamera portatile a spalla e soprattutto di registrare anche l’audio, fatto impensabile solo pochi anni prima, liberandosi così da varia attrezzatura, compresi i copioni. (1) Fu Mike Bloomfield a indirizzare Shea verso Maxwell Street, e il regista dopo sei mesi di girato eseguì il montaggio di And This Is Free con la sua piccola troupe, Howard Alk (che poi collaborò più di una volta con Bob Dylan per i suoi film) e Gordon Quinn. (2)
Meravigliose, anche come qualità audio, le performance di Johnny Young e Robert Nighthawk, purtroppo non interamente visibili per lasciare spazio a un po’ di tutto: peccato non sia stato montato un film di almeno un paio d’ore.
Tutto ciò che si vede ha meritato la salvezza, ad esempio il gospel con James Brewer, Mother Mary Northern, Amos Gilmore e la sanctified dance di Carrie Robinson (v. questo gruppo allo stesso link di Brewer), lo sporco backyard in cui suonano Nighthawk e gli altri (oltre alla musica, le persone, i balli e il luogo grondanti blues), l’intera scena del bambino alle prese con il sassofono più piccolo del mondo, gli spiritual di Fannie Brewer, lo sconosciuto all’armonica con Long Gone John, il Wise Man Incense che distribuisce i suoi biglietti da visita (“The man that sees the unseen and tells the untold”), i giovani bianchi con l’aria incantata di chi si avventura oltre frontiera, il poliziotto che con la sola sua presenza disperde l’inoffensivo Chicken Man (alias Casey Jones, dalla canzone che cantava spesso) e il suo pubblico, il mesto rientro a fine giornata, chi con la grossa automobile anni 1950, chi a piedi trainando le povere cose su un carretto. Persone e gesti anonimi divenuti immortali dal momento in cui si sono fermati nel tempo; sono ancora vivi, e l’attenzione al particolare e il dinamismo della visione di Shea fanno sì che vi si possa leggere dentro, e oltre.
Seppur di natura statica, in quanto a impressionismo non è da meno il libretto, d’alta qualità narrativa e denso di memorie di un autentico paesaggio umano e urbano, in particolare le parti autobiografiche di Ira Berkow (3) e di George Paulus.
Consiglio di leggerlo prima della visione del DVD (senza sottotitoli). Parranno così più familiari i ritratti abbozzati nei filmati, e in stretta relazione a un’area peculiare che ha lasciato eredità e ricchezze a più livelli (il “capitale oggettivo” di cui sopra) oggi non più rintracciabili senza un’operazione come questa che, come giustamente riportato, è quanto di più fedele per sperimentare l’epoca e il luogo. Si capisce quanto il mercato sia stato significativo e non solo per chi lo ha vissuto da dentro come Berkow, che paragona il suo commerciare a Maxwell Street alla stessa esaltante sensazione d’aver esplorato terre misteriose e climi differenti riportata da Mark Twain in relazione all’esperienza di pilota di vaporetti sul Mississippi.
È inoltre indubbio che negli anni 1940, quando i locali erano pochi e comunque non vi si suonava ancora blues elettrico, là si sperimentò il nuovo suono, con i musicisti che, con piccoli amplificatori portatili attaccati alla corrente dei negozi e degli appartamenti ai piani bassi, avevano l’opportunità di farsi conoscere guadagnando con le mance, e magari registrare un demo al civico 831, da Bernard Abrams. È Paulus a offrire lo sguardo più ravvicinato sui coniugi Abrams facendoci entrare nella loro bottega, Maxwell Radio, TV and Record, la prima a vendere i dischi di Muddy Waters, Little Walter, Howlin’ Wolf e altri. Abrams non capiva il blues e amava Perry Como, ma – precisò, “for money and not for love” – istituì Maxwell Radio Record Co. per stampare e commercializzare, con etichetta Ora Nelle, la musica dei bluesman che si registravano con un apparecchio portatile e un microfono messi a disposizione in negozio; i primi a provarci furono Little Walter e Johnny Young (a questo link di J. Young anche una breve storia di Ora Nelle, che visse solo un paio d’anni).
L’altro documentario, A Living Memory, The Jewish Experience in Chicago, di Shuli Eshel, è invece nato al preciso scopo di preservare la memoria quando fu chiaro che i tentativi per salvare la zona dalle ruspe erano falliti. Consiste di interviste a qualche esponente dell’ultima generazione ad aver vissuto e lavorato nell’area (tradizionalmente chiamata Jew Town), figli e nipoti della prima ondata di immigrati ebrei dell’est Europa, soprattutto russi e polacchi, che a metà degli anni 1870, con l’intento di ricreare i villaggi di provenienza, fondarono il mercato, poi negli anni cresciuto lungo dodici blocchi di strade, Maxwell e Halsted al centro delle attività. Gli eredi degli storici negozi, imprese, tavole calde e ristoranti (in uno dei quali Benny Goodman formò la sua orchestra) perpetrarono le tradizioni familiari in un microcosmo emblematico dell’America, una comunità allargata a varie religioni e razze (afroamericani, spagnoli, irlandesi, italiani, indiani, coreani, cinesi, austriaci, zingari), e a detta di tutti una dura scuola di vita nel raggiungimento del sogno americano, la cosiddetta school of hard knocks.
Ulteriore tassello dell’importanza economica, sociale e culturale del mercato è fornito da una sequenza di immagini e dalla voce narrante, più altri brevi filmati d’epoca (tra cui uno degli anni 1940) dove si può vedere Daddy Stovepipe, tra i primi afroamericani a esibirsi là dal periodo antecedente la prima g.m. e fino agli anni 1960.
Il CD è una raccolta di materiale non inedito ben amalgamato pur andando dal 1925 al 1969 che però, forse, si poteva offrire in ordine cronologico per cogliere meglio la continuità e l’evoluzione tra il country blues acustico e l’urban blues elettrico.
Come detto, le incisioni non provengono direttamente dal mercato, ma sono tracce di artisti più o meno noti che, in diversi periodi, vi hanno suonato. George Paulus dà per ogni artista e titolo un’azzeccata descrizione, omettendo però le circostanze in cui i brani furono registrati; la diversità con il già pubblicato credo consista solo nella nuova masterizzazione, ma la maggior parte sono trasferimenti dai 78 giri in mancanza dei master originali.
In due casi, Little Store Blues (che pare tratto dal Liquor Store Blues di Sleepy John Estes) di Jimmy Rogers e Little Walter, e Christmas Time Blues del pressoché sconosciuto Boll Weevil – entrambi reperti acustici registrati nel 1947/1948 al negozio di Abrams (ripubblicati negli anni Ottanta sull’etichetta di Paulus, St George Records, insieme ad altre registrazioni effettuate nel negozio) – la provenienza è da superstiti e mal conservati acetati di prova.
Allo stesso periodo e luogo appartengono il Money Taking Woman di Johnny Young alle prese con la sua prima registrazione e in cui il suo mandolino è accompagnato dalla chitarra del cugino Johnny Williams, a sua volta supportato da Young in Worried Man Blues, quest’ultimo muovendo in sottofondo il ripetitivo walkin’ di Williams in primo piano; i due brani escono insieme su un singolo Ora Nelle.
Degli anni Cinquanta abbiamo il Pet Cream Man dell’esordiente J.B. Hutto su Chance Records, il leggendario Rollin’ and Tumblin’ di Baby Face Leroy con Muddy Waters e Little Walter per Parkway, e due di JOB, Dark Road di Floyd Jones con il piano di Sunnyland Slim, e Cryin’ Shame di Snooky Pryor con il cugino di Floyd, Moody Jones, e forse Eddie Taylor. Degli anni Sessanta non manca il John Henry di Arvella Gray (registrato a Chicago da Olle Holander per la televisione svedese, già in una delle raccolte I Blueskvarter), presenza fissa al mercato in cui si faceva strada con la sua National, come si vede nel filmato; Arvella perse la vista nel 1930 in seguito alla sua attività di stick-up man. (4)
Ci sono inoltre John Lee Granderson con Hard Luck John, probabilmente parte dei nastri del 1964 di Pete Welding, e Maxwell Street Alley Blues di Big John Wrencher, sovente compagno di Granderson negli sporchi vicoli, cantante nel microfono della sua armonica accompagnato da Little Buddy Thomas alla chitarra e ‘Playboy’ Vinson alla batteria in un episodio che potrebbe risalire alle registrazioni del 1969 effettuate da Paulus a casa sua (pubblicate su LP Barrelhouse Records).
Andando molto indietro nel tempo troviamo il sempre prodigo Robert Nighthawk, qui ventottenne in Prowling Night Hawk del 1937, con J.L. ‘Sonny Boy’ Williamson e Big Joe Williams agli studi di Aurora, Illinois, per l’etichetta Victor, e John Henry Barbee con il suo Against My Will, rimasto un inedito del 1938 prima di uscire su Document, che attribuisce l’altra chitarra a Willie Bee James. Fu registrato nella Chi-town per Vocalion più o meno nella stessa epoca in cui Barbee frequentava il mercato con Moody Jones, ma il chitarrista, dallo stile derivativo, non si può considerare parte attiva della scena poiché trascorse molti anni di latitanza a partire proprio da quel periodo. Nei Sessanta fu riportato alla luce da Willie Dixon e inserito in un tour AFBF.
Il già citato Daddy Stovepipe c’è con The Spasm del 1935 insieme alla moglie Mississippi Sarah (Sarah Watson, il vero nome di Stovepipe era John Watson), lui all’armonica e chitarra, lei al jug, per Bluebird.
La traccia più vecchia è per il banjo e la voce del primo bluesman registrato della storia (1924), Papa Charlie Jackson, con il Maxwell Street Blues prodotto da Paramount nel 1925. Forse fu il primo anche a consacrare su disco la scena di Maxwell Street, da lui frequentata negli anni 1920/1930, e a incuriosire i suoi contemporanei rimasti nel sud con frasi tipo ‘Cause Maxwell Street’s so crowded, on a Sunday you can hardly pass through. Anche la storia di Fourteenth St. Blues del 1927 di Blind Percy & His Band è ambientata tra quelle vie ed è a base di voce, chitarra, violino e kazoo; Percy abitava lì, e Jimmie Lee Robinson lo ha dichiarato suo primo maestro. Nel libretto D. Thomas Moon riporta un paio di aneddoti su di lui, mentre Paulus lo stigmatizza in una riga: “Street corner blues philosophy preached from a cheap wooden chair”.
“And this is free” è solo la frase ricorrente di un venditore offrente un omaggio, ma pare evocare anche la persuasione affaristica animante il lungo serpentone di persone, e soprattutto riportare l’idea della libera fruizione di una messinscena che coinvolse a varia intensità coloro che ne furono parte.
Dalla ricerca dell’affare al soddisfacimento di necessità semplici, dal puro divertimento del solo osservare alla scoperta di nuove diavolerie, dall’intrattenimento musicale alla salvezza della propria anima affidata al predicatore di strada. Il mercato era come un grande medicine show dal quale però tutti uscivano vincitori, e dove chiunque trovava occasione d’offrire qualcosa che avrebbe potuto essere utile a qualcun altro.
Life is dangerous, life is reality, life is not some pretty single family home in the suburbs with a nice lawn and a plastic flamingo in the front yard. Maxwell Street represented real life – the good, the bad, the fun, the hardships, the best of people, the worst of people. Maxwell Street was my church, my institute of higher learning. (5)
(Fonti: libretto a And This Is Free, the Life and Times of Chicago’s Legendary Maxwell Street, multipac DVD, CD & Booklet, Shanachie, 2008; per qualche discografia: Blues Classics Discography.)
- Sempre in ambito musicale altri esempi di cinema-verità di quegli anni furono il film di D.A. Pennebaker su e con Dylan, Dont Look Back (sic), e le riprese del festival di Woodstock, dirette da Michael Wadleigh.[↩]
- Nel booklet si parla complessivamente di venti ore di girato, nei due dischetti Rooster invece dicono che si tratta di un centinaio d’ore.[↩]
- Autore del libro Maxwell Street: Survival in a Bazaar, Doubleday, 1977, di cui è presente un estratto.[↩]
- Così detto il ladro di strada che rapina passanti o negozi estraendo una pistola spesso nascosta nella giacca.[↩]
- William Garfield, cit. nel libretto, tratto da Jewish Maxwell Street Stories, Arcadia, 2004.[↩]
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