Arrigo Polillo – Jazz

Edizione originale: Jazz, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1975
Edizione aggiornata: a cura di Franco Fayenz, Oscar saggi, Arnoldo Mondadori Editore, 1997, 2007
Copertina del libro di Arrigo Polillo "Jazz"

Negli anni Settanta del secolo scorso, nel deserto di opere italiane riguardanti la musica e la cultura afroamericana, la pubblicazione di Jazz di Arrigo Polillo fu come posare una pietra miliare che con l’andare del tempo non ha perso valore, essendo capostipite di un principio di analisi musicale che sfocia, in modo naturale, nel racconto inscindibile dell’universo afroamericano, allora perlopiù sconosciuto al pubblico italiano.
In questo nostro desolato panorama (1) faceva (e fa) grande mancanza anche l’editoria estera, soprattutto americana. Pochissimo è stato tradotto e distribuito, e lo furono soprattutto quei testi in cui era possibile far leva sull’aspetto sociale in quanto mera leva propagandistica tendente unicamente, in una distorta visuale italo-centrista, ad abbinare la musica afroamericana alla canzone di protesta e quindi alla lotta di classe.
Oggi pare che le cose non vadano tanto meglio per la diffusione di testi relativi a questa materia, neppure in lingua originale e in un’ottica più estesa e varia. È sparita, o almeno spero, la mistificante visione ideologica dalla narrazione della vicenda, ma la maggior parte dei libri destinati al pubblico italiano sono ancora solo biografie e autobiografie dei personaggi più noti, mentre è aumentata la produzione nazionale, sofferente però di una latente inutilità.

Polillo ha speso anni di passione intraprendendo un’avventura intellettuale, storica e musicale di grandi proporzioni, volta ad analizzare la nascita, lo sviluppo, e forse anche la morte, di quell’aspetto, il meno puramente afroamericano, chiamato jazz. Il volume si divide in due grandi percorsi, il primo riguardante la vicenda nel suo insieme, dagli inizi fino agli anni Novanta, prendendo in esame i diversi stili che si sono succeduti, il secondo dedicato alle monografie di chi ne ha fatto la storia.
Le pagine, diventate più di ottocento dopo il ritocco dell’autore nel 1983 e questa riedizione aggiornata nel 1997 da Franco Fayenz, si snodano fluide e interessanti, dense di storia, nozioni, significati, avvenimenti, musicisti, riferimenti. Il libro è composto da materiale di valido spessore scaturito, dal lato documentaristico e nozionistico, dalla conoscenza dell’allora introvabile letteratura straniera sull’argomento e dal contributo diretto di alcuni dei protagonisti, tutto tenuto insieme e portato avanti dalla preparazione personale dell’autore e dalla trattazione non banale di tutta la vicenda.
La disamina della matrice comune con la musica blues e con le forme musicali preesistenti non viene tralasciata, e in capitoli come “Le radici nel folklore” e “Minstrelsy e ragtime” il neofita può trovare le prime basi per una ricerca che forse oggi è stata sopravanzata da tante altre pubblicazioni, ma che in ogni caso qui fa riferimento a testi che ancora oggi non sono comuni tra noi (e non lo saranno), tanto da essere convinta che, almeno nell’epoca pre-internet in cui non era possibile con un paio di clic comprare libri introvabili in Italia, gli autori e gli appassionati italiani si siano più che ispirati a molte tra le parole di Polillo. Ha fatto scuola e, anche se la trattazione sente il peso degli anni e per quanto riguarda il blues è di gran lunga incompleta (non era lo scopo del libro), rimane tuttora fondamentale per uno sguardo composito sulla cultura afroamericana del Novecento.

Anche il capitolo “C’era una volta a New Orleans” contiene spunti di riflessione ancora validi. L’autore non disconosce la città della Louisiana in quanto culla del jazz, ma allarga la visione alle altre parti del paese in cui, negli stessi anni, si suonava musica attribuibile al genere anche se, naturalmente, in stili diversi. Del resto il jazz già all’inizio era suonato da musicisti provenienti da culture ed educazioni differenti, diversamente dal blues che, non solo nel momento della nascita ma anche della sua evoluzione, fu coltivato per decenni esclusivamente da afroamericani. (2)
L’idea vaga sul fatto che il jazz, o qualcosa di simile, dai ricordi di alcuni musicisti dei primi del secolo, fosse già presente al nord e all’est prima che vi si trasferissero i musicisti di New Orleans dopo la chiusura di Storyville, fu probabilmente dovuta alla diffusione del ragtime, lo stile precedente più vicino al jazz e genere pianistico (ma non solo) derivato da forme europee contemporanee (mazurka, polka, quadriglia, marcia, e musica classica) emerso nel Missouri e suonato soprattutto da musicisti creoli che avevano studiato musica in modo formale. Quando il ragtime o, meglio, le forme da cui derivò, furono integrate nella musica della città, esse furono inevitabilmente modificate nel tempo, fino a scomparire.
In ogni caso un paio di prove che il jazz di New Orleans era diverso dalla musica suonata altrove ci sono, intanto perché i musicisti improvvisavano a differenza di quello che succedeva ad esempio a Memphis, dove le orchestre leggevano gli spartiti, e poi perché il primo disco di jazz inciso (a New York, ma con un’orchestra di New Orleans) fece parecchio scalpore, che non “si spiegherebbe se quella musica non fosse apparsa diversa da quella che s’era potuta ascoltare fino allora”. È indubbio che a Chicago, città in cui la nuova musica esplose, il jazz fu portato dai musicisti esuli dalla città della Louisiana; forse sarebbe esistito ugualmente, ma sarebbe stato diverso.

L’aspetto geniale della vicenda va affievolendosi arrivando alle soglie degli anni 1960-1970, pur rimanendo negli autori piena apertura all’ascolto e sforzo di comprensione delle ultime proposte. L’aggiornamento di Fayenz riprende il racconto della vita di quei protagonisti ancora viventi dopo il primo aggiornamento di Polillo, scomparso nel 1984, ne aggiunge tre nuove e conclude con una disamina del jazz contemporaneo, intitolata “Il secolo del jazz”.
Il pericolo incombente di una disumanizzazione portata dall’eccessivo esercizio musical-intellettuale del musicista troppo colto di oggi alla ricerca di una sintesi perfetta delle influenze passate e presenti, allo scopo di creare la “musica totale” per il nuovo secolo (come immaginato da Gaslini), fa venire i brividi.
Piuttosto, suggerisce Fayenz, si può desiderare un ascoltatore totale, un essere senza pregiudizi che sappia sopperire alle proprie lacune, perché non è possibile conoscere tutto, con “l’intuizione e la bontà della tecnica d’ascolto”, per arrivare a trarre dalla musica “il massimo contenuto emozionale”.


  1. Una firma importante che emerse a quei tempi fu Luciano Federighi, ma anche Franco Fayenz già dagli anni Sessanta, preceduto a sua volta da Polillo con una pubblicazione del 1958.[]
  2. Per quanto riguarda il blues non è che non fu suonato da bianchi anche nelle sue fasi iniziali; piacendo a molti è improbabile che qualcuno non provasse a suonarlo, soprattutto i bianchi più vicini agli afroamericani, ma certamente senza avere un ruolo diretto nello sviluppo.[]
Scritto da Sugarbluz // 30 Marzo 2010
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