Guy Forsyth @ Saxon Pub, Austin, TX
Due giorni ad Austin a correre di qua e di là cercando di perdere il meno possibile, ma allo stesso tempo volendo assaporare con calma ogni momento e luogo. Purtroppo non tutto s’incastra sempre alla perfezione, e arriviamo quando Guy Forsyth ha iniziato da una buona mezz’ora. La serata cominciava alle sette di sera e finiva a mezzanotte e mezza con quattro set; sfortuna ha voluto che l’unico che conoscevo e m’interessasse, Forsyth, sia stato uno dei primi a suonare, così è bastato un po’ di ritardo per perdere buona parte del concerto. L’atmosfera è calda e i posti sono quasi tutti occupati tranne quelli più lontani al bancone.
Il Saxon Pub non è tra i locali che mi sono rimasti nel cuore (il Tuckers’ Blues a Dallas, il Big Easy Social Club a Houston e il Boudain Hut a Port Arthur lo sono), ma è un bel pub accogliente, a parte l’aria condizionata sparata, rivestito in legno, con un calendario molto ricco. È uno dei live music bar più noti di Austin.
Quel poco che ho sentito del set di Guy Forsyth è stato sorprendente, oltre la mia aspettativa. L’ho seguito senza costanza nel suo lavoro ad Austin nel clan di Antone’s e nelle performance degli Asylum Street Spankers, poi l’ho perso di vista.
Per quanto i dischi possano essere piacevoli non rendono giustizia alla forza che emana dal palco. Si pensi poi che giornalmente s’esibisce in questi piccoli club, escludendo festival o eventi particolari, come molti altri colleghi del resto, ed è quindi pregevole se cercano di dare il meglio comunque, nonostante siano davanti a poche decine di persone e abbiano uno stancante tour de force di locale in locale.
È accompagnato da un musicista eclettico come lui, il fisarmonicista e trombettista Oliver Steck.
I due hanno spaziato in un repertorio, anche autografo, di tradizione folk, country, blues, novelty, con la chitarra acustica, il dobro, l’ukulele e l’armonica Forsyth, la fisarmonica e la tromba l’altro.
La vocalità di Forsyth è potente, ironica nei novelty e agile nei brani su di giri. Pesca con impronta originale nella tradizione americana, e in brani autografi come Adam’s Rib e 105.
Peccato non aver visto per intero questo live act convincente e divertente, imperniato su buona musica; la miglior performance che ho visto in quei giorni considerando l’artista singolo.
Lo stesso non posso dire per Jeff Plankenhorn
È un discreto story teller, ma non ho apprezzato l’approccio con sonorità troppo voluminose, per i miei gusti e per l’occasione.
Suona lapstyle un country-rock for Austinities. Singolarmente forse non mi sarebbe dispiaciuto, ma il trio non mi ha convinto per la grana grossa e il volume troppo alto.
Peccato, perché poi è capace di gioiellini come Teresa. Mi piacerebbe sentirlo con sonorità più decifrabili ed evocative, magari supportato da gente come Gurf Morlix, Ray Wylie Hubbard e Kris Kristofferson. Lontano è il movimento Cosmic Cowboy.
Skinny dippin’ and lone star sippin’ and steel guitar…
È vietata la riproduzione anche parziale di questo articolo senza autorizzazione