Jackson, Mississippi – pt 1
I liked Jackson better than I did either Memphis or New Orleans. Blues was more popular. Anytime you go to Jackson, they’s be telling us, “Put me down there where they chunkin’ tin cans”. They mean just play ‘em as low as you can get to ‘em, then. Where they going to chunk tin cans, that’s in the alley. You don’t find no tin cans in the street. “Put ‘em in the alley”, that’s what they holler for. (1)
Notte nella storica e desolata Farish Street. Jackson è la capitale del Mississippi, il suo centro più grande e popoloso, intitolato al generale Andrew Jackson, lo stesso celebrato a New Orleans per aver sconfitto gli inglesi nel 1813. Non essendo nella regione Delta agli appassionati di blues la città non evoca la Leggenda che li porta a vagare spiritati per il Magnolia State in cittadine quasi fantasma. È una diffidenza storica: anche le spedizioni di registrazione sul campo per conto della Biblioteca del Congresso in gran parte ignorarono Jackson, considerandola troppo urbana per coltivare autentici artisti folk.
È vero che qui si suonavano forme più urbane, spesso dettate dalla domanda. Occorreva esser versatili e adattarsi alle richieste, dal blues al valzer, dal ragtime al two-step, e il blues era più “arioso” di quello del Delta, supportato volentieri dal mandolino e dal violino, però Jackson in quanto grande città ha sempre allevato o attratto musicisti e, tra questi, talenti come Tommy Johnson (fu vagabondo come s’è visto nel precedente articolo, ma Jackson è uno dei tre posti in cui Johnson ha vissuto più a lungo – gli altri, Tylertown e Crystal Springs – e qui tentò di stabilirsi aprendo un locale, fallito a causa del suo alcolismo), Skip James (nel 1931 venne qui da Henry C. Speir [v. più sotto] per l’audizione che lo portò a registrare), e altri attivi negli anni 1920/1930 come Johnnie Temple (cresciuto da queste parti), Lucien ‘Slim’ Duckett (patrigno di Temple), Rube Lacy, Bo Carter (aka Bo Chatmon, che dedicò alla città East Jackson Blues), (2) ‘One Leg Sam’ Norwood. (3)
Bo Carter visse in Pascagoula Street e fu figura centrale del blues cittadino, come i suoi fratelli Sam, Harry e Lonnie Chatmon, Walter Vinson (partner di Lonnie nei Mississippi Sheiks), e i fratelli McCoy, nativi di Jackson, Joe (1905, ‘Kansas’ Joe nei dischi con la moglie Memphis Minnie) e Charlie (1909, ‘Papa’ Charlie): tutti loro collaborarono in qualche disco e sicuramente più spesso dal vivo.
Per lo stesso motivo (cioè in quanto grande città del sud) era sempre sulla mappa dei minstrel show itineranti, che sostavano in un campo tra le vie Farish e Hamilton, nell’attuale sito dell’Alamo Theatre, e annunciavano la loro presenza con parate su Farish Street. Naturalmente era anche tappa di musicisti jazz, blues e R&B d’importanza nazionale in tour sia sulla direttiva New Orleans/Memphis che su quella est-ovest.
Le parole di Sam Chatmon nell’incipit sembrano far riferimento a usanze musicali popolari proprie di Jackson, e lo stesso Chatmon vide Memphis Minnie suonare in queste strade già nel 1910 circa, quando era poco più che una bambina e precoce chitarrista, mentre alla fine degli anni 1920 Ishmon Bracey incontrò Geeshie Wiley (altra scoperta di Speir), residente per un periodo in J. Hart Street.
È, appunto, la città di Henry C. Speir, delle etichette discografiche Trumpet, Ace (per tutto ciò, v. più avanti) e, successivamente, Malaco (ancora attiva), ed è anche dove ho visto suonare di più in assoluto in questo viaggio (a parte Clarksdale, dove però era in corso il festival blues annuale), e il confronto vince anche con la music city di Memphis, Tennessee.
Da queste parti nacquero anche Othar Turner (1907 o 1908, nella contea Rankin o nella contea Madison, forse vicino a Canton, anche se poi crebbe nel Mississippi del Nord) e Ishmon Bracey (1899 o 1901, a Byram, periferia sud). A Jackson nel 1926 si formarono i Mississippi Sheiks, e nel 1930 un Lightnin’ Hopkins adolescente vi incontrò Skip James. Nel 1924 nacquero e si formarono qui i pianisti Otis Spann (forse Spann nacque a Belzoni, ma abitò a Jackson fin da bambino) e il cugino Little Johnny Jones.
La città ha dato i natali anche a Kenneth ‘Buddy’ Scott (1935), ai sottostimati chitarristi del blues chicagoano Lee Jackson (1921) e Johnny Littlejohn (1931), ai colleghi Hip Linkchain (1936) e Mel Brown (1939), a Bill ‘Boogie Bill’ Webb (1924), emigrato a New Orleans, al cantante soul McKinley Mitchell (1934), a Dorothy Moore (1946, v. più avanti), Cassandra Wilson (1955) e Carl Weathersby (1953).
Sam Myers frequentò la scuola a Jackson e nel 1956, dopo Chicago, vi tornò e lavorò come dj da WOKJ, la più vecchia stazione radio afroamericana del Mississippi (1947), stando per anni sulla scena cittadina.
Ciò che mi ha portato però a passarci quattro notti, al pari della zona di Clarksdale, Cleveland, e naturalmente Memphis (qui un po’ di più), è il suo essere buona base per molti giri interessanti a una relativamente breve distanza: a sud Natchez, Crystal Springs, Hazlehurst, a ovest Vicksburg (che varrebbe più di una toccata e fuga), a est Meridian e a nord Yazoo City, più alcune località tipicamente blues come Bentonia, Belzoni, Ebenezer, e un fuori programma di cui dirò, la foresta pietrificata.
La prima discesa nelle strade di Jackson è notturna, in cerca di blues, vivo o morto, nello storico ex distretto commerciale e culturale afroamericano di Farish Street, negli anni 1940/1950 equivalente di Beale Street a Memphis e di Nelson Street a Greenville. Little Brother Montgomery, vissuto a Jackson tra gli anni 1930/1940, registrò lo strumentale Farish Street Jive nel 1936. Un altro strumentale dedicato alla via è Farish Street Rag, lasciato a Paramount nel 1930 da Ishmon Bracey con i New Orleans Nehi Boys, vale a dire il clarinettista ‘Kid’ Ernest Moliere e il pianista Charley Taylor, mandati a Grafton, Wisconsin, da Speir.
Farish Street da molto tempo è una serie di attività dismesse, rovine, edifici abbandonati con ancora qualche speranza di recupero. La zona pedonale è vuota anche di giorno, comunque pulita e con pavimentazione e illuminazione in stile rétro recenti, segni di una riqualificazione cominciata (più una decina di anni fa) e sospesa a tempo indeterminato. Sembra deserta, ma arrivati al civico 303, attratti da una musica, non credo alle mie orecchie e ai miei occhi: c’è davvero un bluesman che sembra sbucato dal passato?
È davanti all’F Jones Corner, unico angolo con segni di vita umana e musicale. La band in cartellone non ha ancora cominciato e rimango un po’ qui; con chitarra acustica amplificata suona per le mance brani autografi e qualche classico del blues. Più tardi dentro il locale chiedo il suo nome e mi dicono che è The Bluesman, e alla mia espressione come di presa in giro mi assicurano che davvero loro (i baristi) lo conoscono come Bluesman. L’unica stanza del locale è ancora semivuota, il barman attacca a chiacchierare e andremo avanti fino a quando non si riempirà. Intanto l’ottima band in programma, Fred T and The Band, suona R&B classici in stile tradizionale; qui sotto un breve esempio (solo 1 minuto) della loro qualità e dell’atmosfera rilassata (volti degli avventori oscurati).
Più tardi esco e anche fuori è pieno, Fred T e soci sono in pausa e ne facciamo la conoscenza. The Bluesman è ancora lì con un piccolo capannello, tra cui una formosa strabordante da un abito tigrato che scoppia a ridere di gusto contagiando gli altri dopo che, semiseria, enfatizzo il fatto che tutti coloro a cui ho chiesto il nome di Bluesman m’hanno risposto The Bluesman. Continuano a sogghignare, e quando mi lamento della loro omertà e che qui al Bluesman Show c’è una congiura in atto (senza quei paroloni, il mio inglese è molto semplice), ridono ancora di più. Ormai è una questione di principio.
C’è un solo modo per saperlo, dice Bluesman, mollargli 10 $ per il suo CD acustico, che vedo intestato a Bluesman McKinney Williams. È un personaggio relativamente nuovo sulla scena blues di Jackson essendovi passato dal gospel solo nell’ultimo decennio. Nato a Lexington, MS, nel 1959, ha cominciato a suonare la chitarra a nove anni, e con i fratelli ha fatto parte del gruppo gospel di famiglia The Williams Singers.
Interno dell’F Jones Corner (foto degli esterni di giorno più sotto), negli anni 1960 popolare “abbeveratoio” chiamato Frank Jones’ Corner, poi diventato Fields’ Cafe, fedele alla musica blues fino agli anni 1990. La successiva proprietaria lo ha salvato dalla demolizione chiamandolo 303 Café e proponendo dj al sabato sera, blues dal vivo al lunedì e gli altri giorni juke box; questo fino alla guida di Cheseborough. Ora ha ripreso quasi il suo nome originale, anche abbreviato FJC, ed è un pacifico* e bel ritrovo notturno con blues / R&B dal vivo nei weekend.
*(C’era comunque un’impassibile guardia armata all’interno)
La band di Fred T ha cominciato a mezzanotte con ottimo rhythm and blues d’annata (B.B. King, T-Bone Walker, Louis Jordan…) fino alle quattro di mattina, ma noi a quel punto non c’eravamo più; il giorno dopo ci aspettava il solito tour de force. Fred Robinson è nato a Crystal Springs in una famiglia di musicisti tra padre, madre e cinque fratelli. Ha radici nel gospel, ha imparato la chitarra da piccolo e ha suonato il basso nel gruppo di famiglia (Robinson Brothers), ma è stato influenzato da B.B. King e s’è perfezionato semplicemente guardandolo suonare. Il gruppo è recente, formato alla fine del 2015 e, come diversi altri musicisti di Jackson, spesso suona alla notte blues del lunedì da Hal & Mal’s (per Hal & Mal’s, v. Jackson pt 2).
Mi ha stupito la clientela, non so se è sempre così. La maggior parte erano ragazzi/e giovani e bianchi e, a parte qualche outsider (tra cui uno che sembrava uscito da Woodstock alla fine dei tre giorni), tutti con capelli a posto e camicie stirate di fresco e ragazze poco truccate con abiti semplici, impegnati a ballare moderatamente il blues e a sorridere e a salutare educati. Sembravano conoscersi fra loro, forse un gruppo di studenti. Una di loro addirittura girava con un vassoio offrendo dolcetti fatti da lei e insomma, se non fosse stato per la musica sembrava una festa parrocchiale.
Baristi dell’F Jones Corner, da me proclamati “bartenders of the year”. Una festa di bravi ragazzi bianchi a base di musica nera: R&B, seducenti ballate, slow blues afterhours e biscotti fatti in casa. Non pericolosi neppure da alticci, come quello che piazzatosi al bancone vicino a me aspettando il suo ordine mi ringrazia tanto di essere lì ed è talmente felice e contento perché lui ama la gente di tutto il mondo e vuole baciarmi e abbracciarmi e offrirmi un particolare intruglio (gli toccherà offrirne due…) che però il barista con sua (del tizio) grande delusione non può fare perché manca un certo ingrediente. Allora i due si mettono d’accordo per qualcos’altro che poi ci sarà servito e lui se ne va allegro continuando a ringraziarmi non so per cosa con baci e abbracci.
A due passi dall’FJC, blues marker davanti alla sede originale di Trumpet Records, 309 N Farish Street, prima etichetta discografica del Mississippi ad acquisire importanza nazionale. Willard e Lillian McMurry, commercianti di mobili, entrarono in campo discografico per caso dopo aver trovato uno stock di 78 giri blues e rhythm and blues nel negozio di ferramenta da loro acquistato nel 1949. Fu la signora McMurry ad aprire il negozio di dischi Record Mart, dopo essersi resa conto della grande richiesta di dischi blues e gospel soprattutto in Farish Street, fulcro degli interessi e dei divertimenti per molti afroamericani di Jackson. Non fu solo il mercato a spingerla; Lillian dal prezioso lascito aveva estratto un disco (All She Wants to Do Is Rock di Wynonie Harris) e l’aveva messo sul giradischi: «Era il suono più sincero, inusuale e intenso che avessi mai ascoltato. Non avevo mai sentito niente con un tale ritmo e libertà», l’impressione alla sua prima esposizione alla musica nera. Cominciò a vendere dischi, anche per posta (più di un migliaio di pezzi al giorno), mise altoparlanti fuori per attrarre clienti (l’entrata al Record Mart era la porta di mezzo), cabine per l’ascolto, e sponsorizzò programmi radio di musica blues, ad esempio l’Old Hep Cat di Woodson Wall via WRBC.
Poco dopo da questa stessa sede McMurry lanciò l’etichetta Trumpet, alla prima sessione di registrazione il 3 aprile 1950 con i St Andrews Gospelaires nella stazione radio locale sopracitata. Fino al 1953, quando convertirono una stanza sul retro a studio di registrazione, il Diamond Recording Studio, Trumpet utilizzò sedici studi differenti, a Jackson e in altre città, e il McMurrys’ State Furniture Company (211 South State Street, l’edificio non c’è più), a due passi dall’Old Capitol Museum e da Hal’s & Mal’s.
L’artista principale Trumpet fu S.B. Williamson II, con una decina di dischi pubblicati tra il 1951 e il 1955, anno in cui l’etichetta chiuse. Lillian aveva sentito Williamson nel suo programma radiofonico King Biscuit Time trasmesso da Helena, AR. Lo rintracciò e lo persuase a registrare il suo primo disco, e lui arrivò con Joe Willie Wilkins, Elmore James e Willie Love per la sua prima sessione tenuta il 4 gennaio 1951 allo Scott Radio Service (128 N Gallatin Street, rimpiazzato da un parcheggio; c’è un marker a ricordarlo in N Gallatin & Capitol Street), che incluse Eyesight to the Blind, primo successo di Trumpet Records.
Oltre a suonare con Williamson, in un’altra sessione sempre nel 1951 anche Elmore James fece il suo primo disco solista per McMurry, il celeberrimo Dust My Broom (nov. 1951, accreditato a Elmo James), unico disco Trumpet nelle classifiche R&B nazionali di Billboard (aprile 1952), poi però non registrò più nulla per l’etichetta. Alcuni dischi di Williamson e di Willie Love (Little Milton nella backing band di Love) apparvero nelle classifiche regionali anche in stati distanti come California e Colorado. Altri artisti afroamericani a registrare per Trumpet furono Jerry McCain, Big Joe Williams (come Joe Lee Williams), Arthur Crudup (come Elmer James), Luther Huff, Sherman ‘Blues’ Johnson e Jesse ‘Tiny’ Kennedy in un super-combo con sezione fiati. (4) Tra i gruppi gospel, i Southern Sons Quartette e i Blue Jay Gospel Singers, e tra gli artisti country/hillbilly, The Hodges Brothers, ‘Lucky’ Joe Almond e Jimmy Swan.
Nel 1953 Sonny Boy Williamson registrò 309 (non ancora nello studio Diamond, ma a Houston), il numero civico di Trumpet, una specie di biglietto da visita per la compagnia dato che includeva anche due numeri di telefono della McMurry:
To get in touch with my manager, please call 5-4121 / She can always tell you that Sonny Boy is out on the run
Bo Carter, alle spalle più di un centinaio di registrazioni per varie etichette tra il 1928 e il 1941, cercò di rivitalizzare la sua carriera da Trumpet. Lillian McMurry ha descritto così l’evento:
Era amico di Sonny Boy, Willie Love e Joe Willie Wilkins, e una persona amabile, con la pelle chiara come (suo fratello) Sam Chatmon… però Bo Carter non poteva più cantare; era mezzo cieco, e la sua voce completamente andata. Feci l’audizione e cercai di essere gentile nel dirgli che non ne avrei fatto niente. Sonny Boy e Willie cercavano sempre di aiutare Bo senza urtare i suoi sentimenti. Oggi quelle audizioni sarebbero la gioia dei collezionisti di blues, ma allora la Diamond Record Co. non avrebbe venduto quella roba.
Spesso furono musicisti locali a supportare i solisti che incisero a Jackson per Trumpet come per Ace, nomi nella storia musicale della città come i fratelli Sherrill Holly (bandleader) e Bernard ‘Bubba’ Holly, Duke Huddleston, Bernard ‘Bunny’ Williams (tutti sassofonisti), David Campbell (pianista), Herman Fowlkes (bassista, papà di Cassandra Wilson), Joe Dyson (bandleader e batterista). Dyson era a capo della house band al Stevens Rose Room, il più bel R&B e jazz club di Jackson negli anni 1950, e suonò, ad esempio, nella prima sessione di Williamson per Trumpet, e in quella di Those Lonely, Lonely Nights di Earl King per Ace.
Dopo la chiusura di Trumpet nel 1955 Lillian continuò a registrare artisti country per la successiva Globe, sempre qui, fino al 1956. Sonny Boy Williamson rimase in contatto con lei per il resto della sua vita; la donna lo tirò fuori di prigione, e offrì la lapide alla sua morte. McMurry era nota per la sua correttezza contabile: dopo la chiusura continuò ad assicurarsi per decenni che i suoi artisti e gli autori originali riscuotessero i loro diritti quando altre etichette ristampavano il materiale, a costo di intentare cause legali. Fu indotta nel Blues Hall of Fame nel 1998, e morì nel 1999.
Tratto storico di North Farish Street di giorno, nessuna differenza con la prima foto notturna sopra a parte la luce. A metà Novecento Farish era la più grande e prosperosa comunità afroamericana economicamente indipendente del Mississippi, e la strada blues di Jackson per eccellenza, oltre che oggetto di leggende metropolitane se negli 1950 Willie Love disse a Lillian McMurry che qui c’era una chiesa nei cui sotterranei si trovava un magazzino di moonshine whiskey, e un ristorante con liquore sgorgante da un rubinetto. Nel periodo d’oro della via, delimitata da Amite Street a sud e Fortification Street a nord, sui suoi nove blocchi si trovava ogni genere di attività.
Dal 1980, da quando una zona comprendente settecento edifici è stata dichiarata Historic District, si pensa a un’opera di restauro e di rivitalizzazione (l’incarico è stato assegnato a Performa Inc., gli stessi che hanno rinnovato Beale Street), ma finora non molto è stato fatto a parte il walk of fame, la pavimentazione e l’illuminazione. Il Comune ha acquistato gli immobili dismessi dei blocchi con i numeri civici dal 200 al 300.
Ai tempi della guida di Cheseborough (2009) la via era come adesso, forse con qualche vecchia attività in più, però la fine del restauro pareva vicina dato che l’autore cita un grande cartello all’angolo di Farish e Amite Street annunciante che “la musica, la cultura, il cibo e la storia di Farish Street stanno per arrivare”. Oggi invece nello stesso punto c’è un grande avviso generico sul “Farish Street Development Project”.
Probabilmente per vederla animata bisogna aspettare settembre ogni anno, quando si svolge il Farish Street Festival. (In città c’è anche un Tommy Johnson Festival, l’anno scorso [2017] tenutosi il 4 novembre al Jackson Medical Mall.)
Il lato non del tutto convincente di una “rivitalizzazione” posticcia però è ciò che si vede, ad esempio, in Beale Street: si può anche ridar vita a un’area storica dismessa e renderla attrattiva per i turisti (con i soliti negozi di souvenir, locali e ristoranti faux-folk, home-of-the-blues e hard-rock-café, eccetera), ma non si può ricostruire l’anima e la quotidianità di una comunità che qui viveva, lavorava, si divertiva (ed elaborava la discriminazione). Bisognerebbe salvaguardare il più possibile la sua storia e la sua architettura fisica e culturale favorendo l’apertura di attività umane (non banche, negozi di souvenir o in franchising, per capirci) rivolte prima ai locali e coinvolgenti gli stessi tutti i giorni dell’anno, e in secondo luogo ai turisti dal punto di vista culturale, storico e museale, che contribuiscano alla vivibilità di un quartiere abbellendone quindi non solo la facciata. Tanti piccoli F Jones Corner per intenderci, ma non intendo solo attività musicali.
Sito dell’ex Speir Phonograph Co., 225 N Farish Street. Henry C. Speir fu uno dei primi e più influenti non-musicisti di pelle bianca nella storia del country blues. Negli anni 1920/1930 operò come talent scout e discografico dal suo negozio di mobili inaugurato nel 1925 con un settore dischi (allora il fonografo era considerato mobilio, e di conseguenza i dischi una sua parte) rivolto alla comunità nera, la cui prima sede sorgeva dove ora sono resti ed erbacce, a sinistra nella foto. Faceva audizioni per conto di cinque grandi compagnie discografiche dei tempi, OKeh, Victor, Paramount, Gennett e ARC, registrando in loco i bluesman e inviando i demo, ed eventualmente mandando i musicisti a registrare nelle sedi delle case discografiche al nord oppure supervisionando per loro le sessioni organizzate al King Edward Hotel e al Crystal Palace Ballroom (per entrambi, v. più sotto).
A Jackson registrò Skip James, Tommy Johnson e il qui non ancora citato Robert Johnson. Nel 1929 si spostò al civico 111 (5) e poi al 118, sempre in Farish Street, dove ora c’è il McCoy Federal Building.
Speir non aspettava che i musicisti arrivassero a lui per caso o per sentito dire: guidava per centinaia di chilometri, anche fuori dal Mississippi, per trovare bluesman di suo gradimento, spingendosi fino al nord e in Messico, ma i suoi spostamenti avevano sempre almeno un altro motivo, affaristico o mondano. A differenza dei Lomax, che erano musicologi e collezionisti con lo scopo di costituire un archivio, Speir non era uno studioso e non era in cerca di tradizioni folk, anzi spingeva gli artisti a creare nuove composizioni. La sua zona preferita era quella che chiamava la “Mississippi River Valley Area”, da St Louis a New Orleans, convinto che quegli stili e quei dialetti fossero più di successo, e per lo stesso motivo al contrario era riluttante verso i musicisti della Georgia e del North Carolina; considerava la sua ricerca musicale come attività economica collaterale al negozio e a tale scopo era rivolta.
Per passare l’audizione bisognava avere almeno quattro canzoni originali finite: fu questo il motivo ufficiale per cui rifiutò Jimmie Rodgers, dicendogli di tornare a Meridian e lavorare su altro materiale, ma forse lo respinse perché bianco, il colore della pelle altro suo generale criterio nel valutare un artista. Rodgers si recò spontaneamente nel suo negozio. (6)
L’artista che in base al suo invito veniva a Jackson riceveva rimborso delle spese di viaggio e cinquanta dollari per lato registrato, mentre Speir prendeva centocinquanta dollari dalla compagnia per ogni sessione di quattro canzoni. In negozio aveva un piccolo impianto su cui registrava i demo da inviare, e con il quale chiunque poteva fare autonomamente il proprio disco per cinque dollari.
Charlie Patton (una sua diretta scoperta alla piantagione Dockery, che portò alle registrazioni Paramount), Skip James e Willie Brown erano i suoi preferiti. Tra gli altri con cui lavorò ci furono i Mississippi Sheiks, Bo Carter, Son House, Will Shade, Robert Wilkins, William Harris, The Mississippi Jook Band, Ishmon Bracey (fu lui a raccomandargli Tommy Johnson), Kokomo Arnold, Jim Jackson, Blind Joe Reynolds, Geechie Wiley, Elvie Thomas, Isaiah Nettles. Scoprì e registrò anche diversi artisti jazz, hillbilly e di musica sacra.
Nel 1930, secondo l’autore Gayle Dean Wardlow, a Speir fu offerta l’intera Paramount Records per venticinquemila dollari, inclusi i costi del trasferimento da Grafton, Wisconsin, a Jackson, ma egli rifiutò non avendo abbastanza denaro. Nel 1937 Speir si spostò in West Capitol Street e poi nel 1944, sulla scia dello sciopero nazionale indetto dal sindacato musicisti (il noto Petrillo Ban) e dopo un incendio nel suo negozio, decise che il business dei dischi era finito e ne uscì del tutto. Aprì un negozio esclusivamente di mobili in un quartiere bianco nella zona nord di Jackson, e morì nel 1972.
Non ne sono sicura, ma questo dovrebbe essere il 241 N Farish Street, dov’era il Record Shop di Johnny Vincent, fondatore di Ace Records. Il numero non c’è e il blues marker di Ace è stato messo in West Capitol Street, dov’era la sede dell’etichetta. La prima porta da destra credo fosse l’entrata del negozio. Le pannellature, i vetri intatti e la struttura integra riverniciata fanno pensare che sia tra gli edifici acquistati dal Comune (oltre al fatto che come ho detto hanno rilevato i civici 200/300), motivo per cui probabilmente era qui. È a un blocco da Trumpet Records (Johnny Vincent fu uno dei clienti dello studio di Lillian McMurry) e F Jones Corner è in mezzo ai due: in North Farish Street le strutture della sua storia musicale sono tutte a distanza ravvicinata.
Nato John Vincent Imbraguglio il 3 ottobre 1925, rimase affascinato dal blues via jukebox nel ristorante dei suoi genitori a Laurel, Mississippi. Dopo aver servito nella Marina mercantile cominciò a vendere i juke box Rock-Ola, e nel 1947 divenne responsabile vendite per un distributore di dischi di New Orleans. Poco dopo Vincent acquistò Griffin Distributing Company di Jackson, che condusse in parallelo al negozio. Prima di Ace fondò Champion Records alla fine degli anni 1940 sulla quale pubblicò un singolo di Arthur Crudup nel 1952 (I Wonder / My Baby Boogies All The Time) intestato ad Arthur ‘Blues’ Crump and His Guitar essendo Crudup sotto contratto RCA Victor. A quanto ne so, Champion prima di quello produsse solo una manciata di 78 giri di musicisti locali blues/R&B (Joe Dyson e ‘Bunny’ Williams and His Shufflers) e hillbilly (Emmit Hawkins & His Miss. Melody Boys, Ray Harris, Al Terry & His Louisiana Hayriders). Nel 1953 Vincent lavorava per Specialty Records di Los Angeles, e la sua produzione più di successo per l’etichetta fu The Things That I Used to Do di Guitar Slim, registrato a New Orleans (Ray Charles pianista e arrangiatore) nello studio di Cosimo Matassa e diventato uno dei più grandi hit degli anni 1950. (La storia di Vincent continua sotto in corrispondenza di Ace Records).
Visto di giorno appare ancora più squadrato e robusto, il vecchio F Jones Corner (v. sopra), nato come stazione di benzina e poi sempre casa di accoglienti blues bar.
L’edificio di Trumpet Records (v. sopra la storia) più tardi fu usato come uffici del Jackson Advocate (The Voice of Black Mississippians), settimanale indipendente afroamericano fondato nel 1938 (attualmente al 100 W Hamilton Street) presente in Farish Street per sessant’anni, fino a quando fu colpito da bombe incendiarie nel 1997 e si trasferì una strada più in là (438 Mill Street). Furono molti i vandalismi diretti al Jackson Advocate e precedentemente a quello del ’97 ci furono altri due episodi simili, comprese minacce di morte al proprietario.
Nel Cheseborough si legge che una certa Princess Smith, la stessa che acquisì l’adiacente ex Fields’ Cafe/ex Frank Jones’ Corner per farne il 303 Café, acquistò anche questo stabile con l’intenzione di farne un nuovo studio di registrazione. Evidentemente le cose non sono andate così.
Peaches Restaurant sotto la sua insegna storica, 327 N Farish Street, adiacente all’Alamo Theatre. Nel 1961 Wilora ‘Peaches’ Ephram aprì questo “Jackson’s original soul food restaurant”, per dirla con le parole del figlio Roderick Ephram. Da allora ha avuto una clientela fidelizzata ed è stato punto di incontro del distretto per cinquantatré anni, frequentato da leader del movimento per i diritti civili come Medgar Evers, da celebrità come Muhammad Ali e dal candidato alla presidenza Obama.
Non sapevo avesse chiuso, ma è bastato dare uno sguardo all’interno. Come abbandonato da un giorno all’altro. Nel 2013 era ancora guidato da Peaches con l’aiuto del figlio. Al giovedì, dalle 11 alle 14, vi suonava Jesse Robinson (visto da Hal’s & Mal’s, ne parlo nella seconda parte), mentre nei weekend offriva musica dal juke box e solo occasionalmente dal vivo. Era un locale BYOB (“bring your own beer” o “bring your own booze”, cioè si poteva portare il bere da fuori), ma nei fine settimana la birra era servita. Peaches è deceduta nel gennaio 2018 a 94 anni; aveva smesso di occuparsi del ristorante dopo un intervento al cuore nel 2013.
Alamo Theatre, 333 N Farish Street. Cinema-teatro storico che presentava spettacoli di vaudeville, concerti jazz e una gara di talenti settimanale, costruito qui nuovo nel 1948 dopo esser stato in altre due sedi. Aprì nel 1915 al 134 N Farish Street e negli anni 1920 si spostò al 123 West Amite Street (di fronte all’attuale McCoy Federal Building), ed è lì che Otis Spann vinse una di quelle gare quand’era ancora un bambino, guadagnandosi un posto fisso negli spettacoli vaudeville. Forse era destino che qui ci finisse un teatro perché nel tardo Ottocento e nei primi Novecento le troupe itineranti dei minstrel show si fermavano in un campo in quest’area, dove si esibivano anche i musicisti blues parte della messa in scena.
Durante l’epoca segregazionista l’Alamo presentava gruppi gospel (Lillian McMurry veniva qui ad ascoltarli in cerca di talenti) e artisti d’importanza nazionale come Nat ‘King’ Cole, Cab Calloway, Louis Jordan, Buddy & Ella Johnson, Elmore James, Tiny Bradshaw. Sembrò così coprire il vuoto lasciato dal Crystal Palace, ma già a metà anni 1950 non aveva più concerti di quel tipo. Arthur Lehmann, il proprietario, vendette il teatro nel 1957. L’Alamo continuò fino agli anni 1960 a ospitare gare di talenti al mercoledì sera trasmesse in diretta sull’emittente WOKJ, con gli esordienti sempre supportati da house band del territorio, ad esempio Sam Myers con i King Mose’s Royal Rockers. Myers era stato anche un concorrente, come Mel Brown, Tommy Tate e tanti altri artisti della zona.
La nativa Dorothy Moore all’epoca delle scuole medie fu frequente vincitrice di questi contesti, e in seguito la cantante ha riconosciuto la permanenza all’Alamo come la sua maggior scuola artistica. Ho parlato di lei anche alla fine di questo articolo, quando era parte di un gruppo vocale pop, The Poppies appunto. Dopo aver fatto background vocale a diversi artisti firmò un contratto da solista con Malaco Records dove registrò Misty Blue nel 1973, uscita solo due anni più tardi ma destinata ai vertici della classifica, dando a lei successo internazionale e a Malaco notevole rilievo come etichetta di soul/blues moderno.
L’Alamo ha chiuso negli anni 1980; restaurato nel 1996 con fondi comunali e di varie associazioni ha riaperto nel 1997; la facciata e l’insegna sono state preservate come in originale. Nel Cheseborough si legge che, dopo il restauro, gli spettacoli di musica jazz, blues, classica, o commedie teatrali che fossero, non hanno richiamato molta gente. Un altro jacksoniano, Eddie Cotton Jr, nel 2000 vi ha registrato il suo Live at the Alamo Theatre. L’idea di riportare le gare di talenti a quanto ne so è rimasta tale.
Un mattone sopra l’altro con l’unica accortezza di lasciar varchi per porte e finestre, 507/509 N Farish Street. Quest’altro cubo storico ospita il Big Apple Inn (trovato chiuso, ma dovrebbe esser ancora attivo), mentre al secondo piano ci visse Sonny Boy Williamson II prima che vi avessero sede gli uffici del NAACP.
Nel 1939 l’emigrante messicano Juan Mora, detto Big John, aprì il Big Apple Inn, e suo pronipote Geno Lee Jr oggi continua la tradizione per cui il posto, anche chiamato chiamato Big John’s dai locali, è noto: panini alle orecchie di maiale. I pig’s ear sandwiches a me personalmente non ispirano per niente, ma se volete un assaggio di autentica cucina afroamericana del sud (in questo caso, afro-latinoamericana) eccovi serviti; il punto del soul food è proprio la mancanza di raffinatezza. Le orecchie sono bollite e servite nel panino con insalata di cavolo o altre verdure, mostarda e salsa piccante, un’invenzione del Mora fondatore. (7)
Tra i musicisti clienti, oltre ai locali, B.B. King, Bobby Bland, Bobby Rush. Rush e Jesse Robinson hanno perfino dedicato dei jingle blues alle specialità (l’altra sono gli smokes) del Big Apple in questo filmato.
Sonny Boy e la moglie Mattie vissero nell’appartamento al piano superiore, al 507½ (probabilmente l’ingresso era la porta bianca), durante gli anni in cui registrava da Trumpet; anche Willie Love ed Elmore James abitarono qui. Geno Lee Sr, nipote di Juan Mora e padre dell’attuale proprietario del Big Apple Geno Lee Jr, andava a pesca con Sonny Boy:
Saltavamo sulle nostre bici fino al Pearl River, e le lasciavamo accanto ai binari. Usavamo sottili bastoni di canna, non abbiamo mai preso un pesce. Era rilassante per lui dopo aver suonato tutta la notte.
Più tardi lo stesso appartamento divenne quartier generale della sezione NAACP del Mississippi e il leader dei diritti civili Medgar Evers lavorò qui come delegato di zona (“zona” intesa come intero stato); fu assassinato nel 1963 a 36 anni.
Al 507 (a sinistra nella foto) non so cosa ci fosse: la pluridecorata facciata kitsch e decadente di Doris’ Beauty Black (forse un salone di bellezza) ha vari oggetti appesi, tra cui scarpe. L’usanza di appendere scarpe da ginnastica, in particolare in posti irraggiungibili, legate con i lacci fra loro e lanciate sui fili elettrici o sui cavi telefonici cittadini, non ha un motivo univoco, ma succedendo nei quartieri più poveri delle grandi città il gesto ha sicuramente a che fare con la vita da strada, da un semplice dispetto o scherzo alla perdita di una scommessa, dalla segnalazione di un luogo in cui si può trovare droga da acquistare alla demarcazione di un’area di una gang. Ho letto anche di casi in cui si volevano commemorare vittime di violenza armata. Il fenomeno ai nostri tempi ha avuto larga diffusione a Chicago, dove le autorità hanno tenuto il conto delle scarpe rimosse dagli addetti municipali: qualche migliaia nel giro di pochi anni.
538 N Farish Street, ulteriore parallelepipedo di mattoni ricco di storia. Al secondo piano vi aveva sede il Crystal Palace Ballroom costruito nel 1930 da Claude Hodge, afroamericano benestante. Originariamente sul davanti non era così squadrato e naturalmente non c’era quella cornice bianca. La parte superiore della facciata terminava in un frontone triangolare smussato da qualche gradino da entrambi i lati, e sopra gli ingressi c’era una tettoia per tutta la lunghezza. La sala da ballo, in stile art déco, con lampadario di cristallo e grandi specchi alle pareti (da qui il nome), era frequentata da una giovane ed elegante élite afroamericana.
Sul palcoscenico al lato sinistro del salone si esibirono grandi nomi del jazz e del rhythm and blues in tour tra la fine degli anni 1930 e i primi anni 1940, come Duke Ellington, Cab Calloway, Louis Armstrong, ‘Papa’ Celestin, Lil’ Green e l’orchestra di Tiny Bradshaw, Jimmie Lunceford, Andy Kirk, Fletcher Henderson, Count Basie, Fats Waller, Lena Horne, Sammy Davis Jr. Secondo Scott Barretta, H.C. Speir tenne una sessione qui nel 1935 con i musicisti di Memphis Robert Wilkins, Will Shade e Minnie Wallace.
Nel 1942 la sala da ballo fu convertita in un USO service club per soldati afroamericani (dal progetto di Franklin D. Roosevelt per fornire spazi e servizi ricreativi al personale militare), chiuso alla fine della II guerra. In seguito il secondo piano ospitò varie attività intellettuali, sociali e civiche, tra cui un negozio di musica e libri, un’associazione, un’avvocatura, e l’ufficio del Mississippi Free Press, settimanale di Medgar Evers e di altri attivisti dei diritti civili stampato dal dicembre 1961 al 1973.
Il primo piano era diviso in due sezioni separate dalla scala che portava al secondo; da un parte un drugstore, dall’altra una sala da biliardo. Dal 1951 al 2003 fu occupato dall’Harmon’s Drug Store (poi spostato al 612 N Farish) del farmacista George Harmon, padre di Zac Harmon, noto produttore musicale e autore che, tra gli altri, ha collaborato con Dorothy Moore e Sam Myers. Prima dell’attuale Johnny t’s Bistro & Blues, ristorante e club al pianoterra, il secondo piano era stato di nuovo sala da ballo con il Birdland Café, per un po’ l’unica attività nel palazzo (come credo sia ora per Johnny t’s). Con la nuova gestione il vecchio nome è stato rinnovato sul muro lato sud, e sono state messe immagini di alcuni dei musicisti sopra citati, oltre a quella dell’attore Redd Foxx.
Mentre siamo qui arriva questa Oldsmobile Cutlass anni 1970. Tra le persone riflesse sulla carrozzeria anche il proprietario del Johnny t’s, John Tierre Miller, uno dei pochi che ultimamente s’è adoperato per ridar vita a Farish Street, pur venendo da tutt’altro mondo. È molto lontano dallo stereotipo dell’afroamericano nel sud: non solo proviene dal Nebraska, ma è arrivato a Jackson come componente di una squadra universitaria di tennis. (8) Per quanto riguarda la musica, nonostante il nome non credo il blues sia di casa qui. Gli interni sono stati completamente rinnovati e presentano i tratti di un ristorante alla moda.
Subito a fianco della costruzione bianca abbandonata che si nota nella foto c’era il fu Stevens Kitchen, 604 N Farish Street, con ancora la bella insegna originaria (in condizioni pessime), ristorante di Sarah Stevens che negli anni 1950/1960 ebbe un ruolo nel movimento dei diritti civili in quanto luogo d’incontro di avvocati, di innumerevoli attivisti bianchi e neri, e di diverse personalità politiche, tra cui il senatore Robert Kennedy e il reverendo Martin Luther King.
Altre visuali di Farish Street. La via è intitolata a Walter Farish, schiavo affrancato che (negli anni 1880 ca) risiedeva all’altezza di quello che ora è l’angolo nord-est tra le vie Davis e Farish; Farish Street fu proprio costruita dai e per i discendenti degli schiavi.
Sonny Boy Williamson sul Walk of Fame di Farish Street
Non tutti i luoghi della storia musicale nera di Jackson sono in Farish Street. Il blues marker al 619 W Pearl Street sta davanti al lotto vuoto del Summers Hotel e del Subway Lounge. Il Summers Hotel, uno dei pochi alberghi a Jackson a ospitare i neri nell’epoca segregazionista degli anni 1940/1960 (un altro era l’Edward Lee Hotel in Church Street), fu aperto qui nel 1944 da W.J. Summers, uomo d’affari afroamericano che lo condusse insieme alla moglie Elma. L’hotel era popolare tra musicisti in tour come James Brown, Hank Ballard e Nat ‘King’ Cole. Nel 1966 Summers ricavò un club dal seminterrato dell’albergo e ingaggiò il cantante, bandleader e insegnante di scuola Jimmy King (da non confondere con Little Jimmy King) per la sua gestione. King lo chiamò Subway Lounge e fino agli anni 1970 fu soprattutto un jazz club, con i fratelli Kermit Jr, Bernard e Sherrill Holly, l’organista Levon Mitchell, e altri dell’area o di passaggio.
King lasciò il Subway nel 1969 per inaugurare il proprio locale, ma vi tornò nel 1986, quando lui e la moglie Helen lo resero molto popolare come blues club afterhours, dove i musicisti venivano a rilassarsi dopo i loro spettacoli. Non apriva prima di mezzanotte, e la musica dal vivo proseguiva almeno fino alle quattro di mattina (come succede oggi in altri locali di Jackson, l’F Jones Corner e il Queen of Hearts). Dopo la chiusura del bar si potevano comprare la birra e i blues dogs in una struttura adiacente. Jesse Robinson guidò la prima house band del locale, la Knee Deep Band, con il cantante Walter Lee ‘Big Daddy’ Hood, seguita dagli Houserockers con i cantanti Levon Lindsey e Abdul Rasheed, e la King Edward Blues Band. Altri artisti del Subway furono Eddie Cotton Jr, Bobby Rush, Patrice Moncell, Eddie Rasberry, Sam Myers, J.T. Watkins, Pat Brown, Dennis Fountain, Dwight Ross, Greg ‘Fingers’ Taylor, Thomas ‘Snake’ Johnson, Vasti Jackson, Bill Sampson e gli Juvenators.
Nell’aprile 2002 il regista Robert Mugge filmò alcune performance al Subway Lounge per il documentario Last of the Mississippi Jukes, uscito nel 2003 e concentrato sulla storia del club e sugli sforzi per salvare l’edificio dai gravi problemi strutturali. I tentativi fallirono (a causa dei danni provocati da un’alluvione e da controversie nel comitato che avrebbe dovuto salvarlo) e il Subway chiuse dopo un concerto finale nell’aprile 2003, la struttura demolita nel 2004. Voci sulla volontà di erigere un anfiteatro sul sito sono susseguite. Jimmy King continuò la tradizione in un luogo opposto, per quartiere e atmosfera, il ristorante Schimmel’s, 2615 North State St. (non c’è più), offrendo i Saturday Subway Blues Nights e i Friday Jazz Nights. Come il vecchio Subway iniziava tardi con la musica, e i tavoli erano spostati in lunghe file per ricrearne la disposizione. Di casa gli stessi Houserockers, dove ogni tanto King cantava. Al giovedì sera c’era il blues acustico di Ben Payton.
905 Ann Banks Street, indirizzo di Johnny Temple dopo esser tornato a Jackson alla fine degli anni 1950 (da Chicago, dove s’era trasferito negli anni 1930); qui visse fino alla sua morte nel 1968. La casa era stata precedentemente occupata dal patrigno di Temple, il chitarrista Lucien ‘Slim’ Duckett, che qui ospitò Skip James e Tommy Johnson (quest’ultimo abitò anche in un sobborgo a sud di Jackson chiamato Doodleville). Johnson nacque a Terry, 24 km a sud da qui, e da giovane imparò il blues del Delta direttamente dai musicisti di Drew e Dockery, tra cui Charlie Patton, continuando a spostarsi in quella regione durante la stagione del raccolto, ma Jackson e Crystal Springs furono sue basi per tutta la vita.
Altri che vi abitarono furono Joe e Charlie McCoy ed Elmore James (quest’ultimo era qui con Temple appena prima della sua scomparsa), mentre per altri, come Sonny Boy Williamson II, era un punto di ritrovo. L’abitazione è solo a un lotto di distanza dal Queen of Hearts, locale storico di cui dirò nel prossimo articolo.
Poindexter Park Inn, 803 Deer Park Street. Speravo fosse ancora aperto questo B&B di Marcia Weaver, ex consigliera comunale appassionata di blues (all’interno offriva una piccola biblioteca di libri sull’argomento), e manager della cantante Dorothy Moore, ma è ormai chiuso. Mi sarebbe piaciuto incontrarla essendo Weaver familiare con la storia e lo stato corrente del blues in città.
547 South Roach Street, blues marker per i pianisti Otis Spann e Little Johnnie Jones (nato Johnnie McPherson o McFearson) davanti al blocco in cui visse la famiglia Spann. I due sono stati accoppiati per consanguineità (erano primi cugini) e per esser cresciuti come fratelli a Jackson fino agli anni 1940, prima di emigrare (non insieme) a Chicago, dove furono parte della magistrale evoluzione elettrica tra gli anni 1940 e 1950 sancita da bluesman mississippiani nella Windy City. Entrambi crebbero tra musica sacra e barrelhouse blues, suonando in chiesa e come protégé di Little Brother Montgomery, poi fortemente influenzati da Big Maceo Merriweather. Ho scritto tre articoli su Spann (Is the Blues & Walking the Blues, Sessioni soliste 1963-1966, Sessioni soliste 1967-1970), e qui non mi dilungo.
A Chicago il brillante e giovane Johnnie Jones (1924-1964) suonò e registrò per qualche anno con Tampa Red (al posto dell’infartuato Merriweather), e con Muddy Waters, Albert King, Jimmy Rogers, Jimmy Reed, Howlin’ Wolf, Magic Sam, Junior Wells, Billy Boy Arnold e altri, ma soprattutto fu un “broomduster” di Elmore James negli anni 1950, e fece qualche facciata come solista, tra cui Big Town Playboy (Aristocrat, 1949, accompagnato da Muddy, Leroy Foster ed Elga Edmonds) è diventato un classico grazie alla versione di Eddie Taylor qualche anno dopo.
Non credo fosse poi molto diverso qui quando ci viveva Spann
Blues marker per Ace Records di Johnny Vincent in West Capitol Street, vicino al King Edward Hotel. Per molti anni la sede di Ace fu in questo blocco in un palazzo di nove piani acquistato con i primi incassi dell’etichetta, forse questo palazzo. Precedentemente Vincent lavorò per Specialty Records di Art Rupe come A&R man, promotore, distributore e talent scout per il profondo sud dall’ufficio di New Orleans aperto nel 1953. Nel 1955 fondò la sua etichetta Ace concentrandosi sul rhythm and blues di New Orleans essendosi portato via qualche talento cittadino con cui aveva già lavorato per Specialty, come Earl King e Huey Smith, ed effettuando molte sessioni nello studio di Cosimo Matassa con le eccellenti band del produttore della Crescent City, come lui d’origine siciliana. Il successo arrivò con Earl King e la sua Those Lonely, Lonely Nights, registrata nello studio Diamond di Lillian McMurry:
“Il piano era leggermente scordato”, ha detto King della sessione di Lonely Nights, “invece la chitarra lo era decisamente, ma abbiamo avuto versioni migliori così rispetto a quando era accordata”. Anche la versione di ‘Johnny Guitar’ Watson sulla costa occidentale per Modern ebbe successo. Un altro colpo lo mise a segno con Huey ‘Piano’ Smith & The Clowns quando Rockin’ Pneumonia and the Boogie Woogie Flu entrò nella classifica pop nel 1957, ma soprattutto con Don’t You Just Know It l’anno dopo. Ulteriori hit li ebbe con gli artisti swamp pop bianchi Jimmy Clanton (di Baton Rouge), di cui il più clamoroso, ma non l’unico, Just A Dream, e l’italo-americano della Louisiana Frankie Ford con la sua versione di Sea Cruise (di Huey Smith).
Registrarono per Vincent, a New Orleans o a Jackson, anche Joe Tex, James Booker, Lee Dorsey, Dr John, Bobby Marchan, Alvin ‘Red’ Tyler, Lightnin’ Hopkins e il cugino Frankie Lee Sims, Eddie Bo, Sugar Boy Crawford, Charles Brown, Johnny Littlejohn, Lightnin’ Slim (mentre era sotto contratto con Jay D. Miller), Sam Myers, Joe Dyson, King Edward, (9) anche sulle sussidiarie Vin e Teem. L’avanzata di Minit e le produzioni di Allen Toussaint virarono il grezzo rock ‘n’ roll / rhythm and blues di New Orleans verso sonorità più moderne e sofisticate, e il fossilizzarsi di Vincent su formule acquisite mandò Ace in crisi, così nel 1962 il produttore stipulò un accordo di distribuzione con Vee-Jay Records di Chicago, ma la bancarotta di V-J cominciata pochi mesi dopo la portò alla fine nel 1965, tirando giù anche Ace.
L’interesse degli storici per l’etichetta indusse Vincent a riprovarci nel 1971 con qualche nuovo disco e ristampe, anche inedite, e autorizzando la Ace Records inglese e altre etichette all’uso dei master; nel periodo 1970/1980 operò sempre da Capitol Street, ma in altre sedi. Negli anni 1990 Vincent non stava bene di salute, ma continuò tenacemente a tener viva Ace da un buco in una zona industriale di Jackson, producendo soul-blues contemporaneo su compact disc con una scuderia che includeva i mississippiani Cicero Blake, Robert ‘The Duke’ Tillman, J.T. Watkins, Pat Brown e Willie Clayton. Nel 1997 vendette all’inglese Music Collection International, che aprì Westside Records allo scopo di ripubblicare il repertorio dell’etichetta su compact, come fecero fino al 2000, mentre lui inaugurò a Pearl, sobborgo di Jackson (135 Fairmont Plaza), una nuova firma, Avant, registrando pop-soul. Un’altra proprietà di Vincent in Northside Drive divenne il primo ufficio dell’etichetta Malaco, i cui fondatori Wolf Stephenson e Tommy Couch furono “allievi” di Vincent, ma questa è un’altra storia (che ho raccontato in “Jackson, Mississippi, pt 2”). Johnny Vincent è morto il 4 febbraio 2000 a 74 anni.
Costruito nel 1923 come Edwards Hotel e rinominato King Edward Hotel nel 1954, ospitò le registrazioni di H.C. Speir per OKeh Records nel 1930 e per ARC nel 1935, entrando così nella storia del blues come il Peabody Hotel a Memphis e altri grandi alberghi del sud che funsero da temporanei studi di registrazione per le grandi compagnie discografiche, negli anni 1920/1930 tutte localizzate al nord. Precedentemente qui sorgeva l’hotel Confederate House, costruito nel 1861, distrutto dalle truppe del Gen. Sherman nel 1863 e ricostruito nel 1867 come Edwards House, a tre piani.
Speir aveva già scoperto Charlie Patton e Tommy Johnson e li aveva mandati a registrare in altre città; qui invece insieme a Polk Brockman di OKeh organizzò la prima sessione in Mississippi allestendo uno studio in una camera per cinque giorni nel dicembre 1930. Parteciparono vari artisti, tra i quali la già citata string band Mississippi Sheiks – i cui vari e alternanti membri, come i chitarristi Bo Carter (Chatmon) e Walter Jacobs (Vinson), e il mandolinista Charlie McCoy (aka Mississippi Mud Steppers) registrarono anche come solisti – il duo gospel ‘Slim’ Duckett e ‘Pig’ Norwood, (10) Elder Curry, Elder Charlie Beck (entrambi con sermoni), The Campbell College Quartet, Caldwell Bracey e la moglie Virginia (da Bolton, lo stesso paese dei fratelli Chatmon), che lasciarono sia gospel che blues come “Mississippi Bracy” (sic).
Le sessioni compresero anche band mississippiane bianche, come i Newton County Hill Billies e la Freeny’s Barn Dance Band, e un pioniere della country music, il banjoista Uncle Dave Macon dal Tennessee. All’Edwards Hotel i Mississippi Sheiks s’esibirono anche, e Houston Stackhouse ha ricordato d’avervi suonato insieme a Robert Nighthawk e Jimmie Rodgers.
Nell’autunno 1935 Speir fece una seconda serie di sessioni all’hotel per ARC, con Robert Wilkins (nativo di Hernando, registrò anche come Tim Wilkins), Harry Chatmon (della stirpe Chatmon), e altri nomi più oscuri ma pittoreschi come Sarah and Her Milk Bull, Kid Stormy Weather (non così oscuro, almeno come nome, evocato da Prof. Longhair e Allen Toussaint tra i più influenti pianisti nella New Orleans anteguerra), Delta Twins (i due brani, The Lonesome Road e When The Sun Goes Down, non furono pubblicati), Blind Mack, e Mississippi Moaner, cioè Isaiah Nettles, nativo della Copiah County il cui unico disco, Mississippi Moan / It’s Cold in China, è un classico del primo Mississippi blues. Decenni più tardi Paul Oliver colse la testimonianza di Bo Carter, indigente e ormai cieco nella sua stanza in affitto a Memphis, a riguardo della sua sessione del 1930 al King Edward Hotel:
Tell ya, we was the Mississippi Sheiks and when we went to make the records in Jackson, Mississippi, the feller (11) wanted to show us how to stop and start the records. Try to tell us when we got to begin and how we got to end. And you know, I started not to make ‘em! I started not to make ‘em ‘cause he wasn’t no musicianer, so how could he tell me how to stop and start the song? We was the Sheiks, the Mississippi Sheiks, and you know we was famous.
Ai tempi della guida di Cheseborough l’hotel era abbandonato da quarant’anni, rifugio di senzatetto e luogo di baracca per studenti, ma nel frattempo è stato recuperato e oggi conta appartamenti, ristorante, bar e centro fitness.
Blues marker e (sotto) tomba di Ishmon Bracey. L’indirizzo del marker sul depliant del Blues Trail è errato, in realtà è 2198 Coach Fred Harris St., e il cimitero, Willow Park Cemetery, si trova su tutta l’estensione del blocco a lato, al quale si accede da Hattiesburg Street da due ingressi. Per trovare facilmente la sua tomba bisogna entrare dall’accesso più a nord, dal lato est di Hattiesburg St., e la si vede circa a metà della parte posteriore, nel mezzo di una fila, riconoscibile con la lapide a forma di croce.
Nato a Byram, sedici km a sud di Jackson, nel gennaio 1899 secondo il censimento, nel gennaio 1901 secondo la lapide, Bracey imparò la chitarra dai locali Louis Cooper e Lee Jones, trasferendosi a Jackson nei tardi anni 1920 dopo aver incontrato Tommy Johnson a Crystal Springs. Diventò uno dei più popolari musicisti della città, sulla cui scena c’erano appunto Johnson e i suoi fratelli LeDell, Mager e Clarence, e altri che in parte ho già citato, come R.D. ‘Peg Leg Sam’ Norwood, Rubin Lacy, Shirley Griffith, John Henry ‘Bubba’ Brown, ‘Son’ Spand, i fratelli Luther e Percy Huff, i fratelli Joe e Charlie McCoy, Johnnie Temple, Lucien ‘Slim’ Duckett, Walter Vinson, Caldwell ‘Mississippi’ Bracy, e i fratelli Chatmon, tutti provenienti da piccoli centri limitrofi.
Questi suonavano spesso anche alle feste dei bianchi con walzer e ragtime, o si esibivano in serenate per i passanti nelle vie centrali di Jackson. Bracey aveva uno stile semplice e schietto, e fu uno dei primi bluesman del Mississippi a registrare. H.C. Speir lo incontrò all’opera in Mill Street nel 1927 (“I thought he was the law”, ricordò Bracey dell’incontro), e in seguito organizzò il debutto discografico suo e di Tommy Johnson con una sessione Victor a Memphis nel febbraio 1928; in quella e un’altra sessione Victor più tardi quell’anno, Bracey fu accompagnato alla chitarra e al mandolino da Charlie McCoy.
Aspetto distintivo in qualche suo lascito è la presenza di un piano e di un clarinetto (ad es., in Farish Street Rag), che accoppiati alla chitarra era una strumentazione insolita per il blues del Mississippi degli anni 1920, e infatti possiamo parlare di jazz; Bracey registrò di più in questa modalità tra la fine del 1929 e l’inizio del 1930 per Paramount, sostenuto dai New Orleans Nehi Boys (Charlie Taylor al piano e ‘Kid’ Ernest Moliere al clarinetto). Nel censimento del 1930, la sua occupazione risulta “musicista nell’orchestra di un hotel”.
Ho strappato un po’ d’erba che copriva l’iscrizione e ho sistemato i fiori caduti. Verso la metà degli anni 1930 molti musicisti della cerchia di Bracey abbandonarono l’area, e la sua collaborazione con Tommy Johnson finì. Nel 1951 diventò ministro della chiesa battista e lasciò il blues, tuttavia parlò sempre volentieri con gli intervistatori di quel periodo e di Johnson, come quando Gayle Dean Wardlow lo incontrò a Jackson nel 1963. Siamo abituati a vedere lapidi moderne sulle tombe dei bluesman perché tantissimi sono rimasti senza per molto tempo prima che fossero offerte da appassionati e/o da compagnie discografiche, questa invece è vecchia perché risale all’epoca della sua morte essendo stata messa dalla famiglia, e recita:
Rest In Peace
Rev. Ishmon Bracey
Born Jan. 9th, 1901
Died Feb. 12, 1970
Tra il grigio delle vie cittadine e del cielo piovoso s’intromette questa colorata locomotiva Union Pacific, avanzante lenta su un tratto sopraelevato.
Una volta era George Street Grocery, 416 George Street, ora Ole Tavern, con una tradizione di musica dal vivo che perseguita. Si mangia bene, porta bandiera irlandese, è dirimpetto alla Suprema Corte e a due passi dal Campidoglio (Mississippi State Capitol). Il settimanale Clarion-Ledger del giovedì offre la panoramica dei concerti della settimana in questo e altri locali.
Qui è dove i texani Anson Funderburgh & The Rockets stavano suonando nel 1982 quando Sam Myers s’unì a loro la prima volta, diventando poi una collaborazione fissa, e Myers lasciò Jackson per Dallas. Girarono il mondo e pubblicarono dischi insieme fino alla malattia dell’armonicista, scomparso nel 2006.
Mississippi State Capitol vista nord
Supreme Court of Mississippi vista nord
E vista sud. Non abbiamo fatto in tempo a visitare l’Old Capitol Museum, 100 South State Street, in cui lo spazio dedicato al blues è ridotto, ma unico trattandosi di reperti Trumpet Records, vale a dire una fresa per tagliare dischi, la macchina per stampare le etichette e un microfono del tipo usato negli studi. C’è anche qualche copia di dischi Trumpet di successo, come il 78 giri di Elmore James Dust My Broom e il 45 giri di Willie Love and His Three Aces Nelson Street Blues. D’interesse più generale un modello della prima raccoglitrice di cotone meccanica con un articolo del New York Times del 1936 che spiega come questa invenzione, dei fratelli texani John e Mack Rust, avrebbe tolto il lavoro a nove milioni di persone, ma i fratelli avevano intenzione di donare i profitti al sussidio di coloro che sarebbero rimasti senza occupazione. C’è inoltre un pezzo originale della ferrovia Yazoo & Mississippi Valley, la così chiamata Yellow Dog.
Antichità in mezzo a edifici moderni, la gotica St Andrew’s Episcopal Cathedral sotto la pioggia.
La pioggia fitta ha condizionato l’ultimo giorno utile per visitare la città, come succederà anche nell’ultimo giorno a Memphis; il clima subtropicale del Mississippi a fine estate regala acquazzoni scroscianti.
La seconda parte.
(Fonti: Steve Cheseborough, Blues Traveling, The Holy Sites of Delta Blues, University Press of Mississippi, Jackson, 2009, III ed.; Ted Gioia, Delta Blues, The Life and Times of the Mississippi Masters Who Revolutionized American Music, W.W. Norton & Company, nov. 2009; Stephen Calt, I’d Rather Be the Devil, Skip James and the Blues, Chicago Review Press, apr. 2008; Gayle Dean Wardlow, Chasin’ The Devil’s Music, Searching For the Blues, Miller Freeman Books, 1998; Grace Sweet, Benjamin Bradley, Church Street, The Sugar Hill of Jackson, Mississippi, Arcadia Publishing, 2013; Mississippi Historical Markers.)
- Sam Chatmon, in Steve Cheseborough, Blues Traveling, The Holy Sites of Delta Blues, University Press of Mississippi, Jackson, 2009, III ed.[↩]
- When you come to East Jackson, man, and don’t find me there / You can bet your bottom dollar that I’m walking the road somewhere[↩]
- AKA ‘One-Legged Sam’ Norwood o ‘Pig’ Norwood, chitarrista locale di supporto che registrò quattro disadorni e potenti duetti di musica sacra con ‘Slim’ Duckett in una sessione OKeh supervisionata da H.C. Speir. Duckett e Norwood in quegli anni erano attivi a Jackson e suonarono spesso con Tommy Johnson. Fu Norwood a convincere un reticente Skip James a fare l’audizione dal noto talent scout, allora al 111 Farish St., e James vi andò in compagnia di Johnnie Temple e del suo amico (non musicista) Horse Luckett.[↩]
- La sessione del 1952 di ‘Tiny’ Kennedy con quattro titoli per Trumpet fu registrata nello studio Sun di Sam Phillips a Memphis. La McMurry assistette, ma i musicisti li fece scegliere a Phillips. Nella band, nomi leggendari come il chitarrista Calvin Newborn, il batterista Houston Stokes, il pianista Ford Nelson e il sassofonista Richard Sanders. Sull’etichetta dello slow blues Early in the Morning, Baby, oltre al nome di Kennedy si legge “Elmer the Disc Jockey Rooster”, e infatti il brano è introdotto da un verso di gallo. L’episodio ebbe notorietà regionale andando nello show del mattino di WFOR (Hattiesburg), e Lillian in una foto pubblicitaria di Tiny (che non era affatto “tiny”) fece sovrapporre l’immagine di un gallo sulla mano tesa del cantante. Chissà che non sia stato d’ispirazione per Rosco Gordon e il suo successivo successo Sun The Chicken.[↩]
- In questa sede fu scattata una nota foto che ritrae lui, un altro uomo e una donna in piedi all’interno del negozio. Tra coloro che fecero un’audizione a quel civico c’è Robert Johnson nel 1936, dove registrò solo Kind Hearted Woman perché poi Speir lo passò a Ernie Oertle, rappresentante di ARC Records che lo condusse a San Antonio per la sua prima sessione.[↩]
- Jimmie Rodgers passò molto tempo dalle parti di Jackson nel periodo in cui Tommy Johnson era una celebrità locale. Barry Mazor, in Meeting Jimmie Rodgers: How America’s Original Roots Music Hero Changed the Pop Sounds of a Century, ipotizza, o riporta una sensazione comune ad altri ricercatori, una diretta connessione musicale tra i due mediante l’evidenza di un brano che TJ registrò per Paramount nel 1929, non pubblicato ai tempi e scoperto nel 2001 da un rivenditore di antichità vicino alla sede della compagnia a Grafton, Wisconsin. Si tratta di un test pressing, cioè di una versione in poche copie fatta per un controllo qualità. Pubblicato finalmente nel 2002, I Want Someone to Love Me è “una ballata in pieno stile Jimmie Rodgers dai toni sentimentali del 1890”, e con il falsetto di Johnson più somigliante a uno yodel. Certamente i musicisti blues apprezzavano e suonavano molto più country di quanto si evinca dalla discografia, ed è ovvio che Rodgers era influenzato dal blues; i due magari si sono pure incontrati. E sì, qui Johnson più che un bluesman perseguitato dai demoni sembra un cowboy triste con chitarra davanti a un fuoco, ma non mi sembra da sola evidenza di una connessione diretta.[↩]
- Con un’orecchia ci fanno tre panini, pensate quindi a quante orecchie di quanti maiali, dato che in un solo giorno sfornano panini in quantità industriale. M’impressiona il pensiero di tutte queste orecchie che se ne vanno in giro. Ho immaginato centinaia di grandi orecchie in volo verso il Big Apple atterrare attraverso un buco sul tetto una sopra l’altra in cucina, se non direttamente in pentola. OK, arriveranno da qualche macello, ma mi chiedo: sono sufficienti al fabbisogno le orecchie di maiali già destinati al sacrificio e dei quali, come si ripete dalle mie parti, non si butta via niente? Non ammazzeranno mica dei maiali apposta? Basando l’offerta e la sopravvivenza di questo ristorante sulle orecchie (la gente va lì per quello), non si possono permettere di rimanere senza. Il Big Apple necessita di una scatola di orecchie da tredici kg al giorno! Non so quanto pesa l’orecchio di un maiale, ma mettiamo che pesi un etto. Significa che più o meno in una scatola ci sono centotrenta orecchie, vale a dire sessantacinque maiali al giorno solo per il piccolo Big Apple Inn.[↩]
- Devo ricordare che le squadre sportive universitarie americane, per mezzi, attrezzature e livello agonistico, sono il gradino immediatamente prima di un’eventuale carriera professionistica.[↩]
- King Edward è sulla scena blues di Jackson dal 1976, quando arrivò da Chicago (dove fu partner di Billy Boy Arnold, Fenton Robinson, Junior Wells, Hound Dog Taylor) con il cantante soul McKinley Mitchell. Non so se è ancora vivo, ma nel 2016 aveva 79 anni e continuava a esibirsi regolarmente, spesso alla serata Blue Monday di Hal and Mal’s. Suonava con Sam Myers, e al Subway Lounge. Nato Edward Memphis Antoine a Rayne, non distante da Lafayette, e quindi cresciuto nella comunità cajun della Louisiana, da ragazzo fu la chitarra ritmica di Clifton Chenier, suo cugino. Uno dei suoi fratelli, Fulton, fu con Chenier al basso, anche in studio in Louisiana Blues & Zydeco di Arhoolie.[↩]
- Lucien ‘Slim’ Duckett e ‘One Leg Sam’ Norwood erano residenti a Jackson ai tempi di questa sessione all’Edwards Hotel. Norwood aveva registrato precedentemente con l’armonicista Jaybird Coleman nel luglio 1927 a Birmingham, AL, per Gennett, ma nessuno di quei brani (tutti blues) fu pubblicato. Il suo nome di battesimo continua a essermi sconosciuto: nella discografia Gennett è segnalato come R.D. Norwood.[↩]
- Sta per fellow, in questo caso la persona incaricata di registrarli.[↩]
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