Lazy Lester – I Hear You Knockin’!
Mi ricordo ancora quel gelido giorno di gennaio del 1971, quando io e Lightnin’ Slim aspettammo alla stazione dei bus a Pontiac, Michigan, l’arrivo del suo vecchio partner, Lazy Lester. Il bus arrivò e andò, ma di Lester nessuna traccia. Mentre chiedevo informazioni presso lo sportello, un passeggero che era appena uscito dallo stesso bus mi sentì e disse che a bordo c’era un ragazzo nero, alto e magro, che sembrava addormentato. Doveva essere lui! La fermata successiva era Flint, circa una cinquantina di chilometri a nord.
Potete capire, eravamo attesi alla University of Chicago Folk Festival, dove era previsto che Lightnin’ e Lester suonassero insieme in un reunion concert. Arrivati alla stazione di Flint andai direttamente alla toilette, e indovinate chi ci trovai? Mr Lazy Lester! Si scusò, e finalmente potemmo andare a Chicago. Sono passati ventitré anni, ma lui è sempre il solito.
La citazione è dalle note di Fred Reif, amico e manager di Lester, in I HEAR YOU KNOCKIN’! (Avi/Excello, 1994), dischetto fondamentale contenente i suoi trenta titoli usciti per Excello di Nashville, ovvero lo swamp blues secondo Lazy Lester. L’altra raccolta, I’M A LOVER NOT A FIGHTER (Ace Records, 2009), ha un contenuto simile trattando la stessa epoca (i vari unissued si riferiscono a versioni alternative), ma manca di otto brani rispetto all’altra, sostituiti da due mancanti nella prima perché Excello non li pubblicò. Uno di questi è il noir Bloodstains on the Wall, impressionante episodio di Frank Patt. (1)
Le note dicono che risale al febbraio 1960 e che al piano c’è Merton Thibodeaux e al basso U.J. Meaux, mentre l’armonica con eco sopra il canto di Lester è inconfondibilmente sua, in overdub. Il testo si riferisce a un omicidio e l’armonica riverberata, lamentosa, e la ritmica ripetitiva, si adattano al macabro umore, atipico per Lazy Lester:
Sheets and pillows torn to pieces, bloodstains all over the wall I know there weren't any when I left this morning, I didn't leave the phone out in the hall Well, you gotta come clean baby, I soon will find it out Detectives will be hanging around my door, they want to know what it's all about So, tell me baby, what's those bloodstains on the wall
È un bel brano, inusuale nel suo repertorio ma, seppur Lester la reciti meno drammaticamente di Frank ‘Honeyboy’ Patt, non era roba per Excello. Fu rilasciato la prima volta nel 1976 da Flyright (d’ora in poi solo “FLY” quando inteso come disco fisico, associato al numero) in un’alternativa intitolata Bloodstains su They Call Me Lazy, (2) con il piano (da Bruce Bastin attribuito a Katie Webster) e la ritmica, ma senza armonica; all’inizio questa pare la base su cui poi potrebbe esser stata aggiunta l’armonica, però proseguendo ci sono differenze pianistiche, e ciò sarebbe in linea con l’ipotesi di un pianista diverso e quindi con la registrazione in un altro giorno. Il nastro da cui è tratto, dicono ancora le note del vinile, sembra di prova, sebbene fosse già su un nastro precedente, con Lester al canto e il produttore Jay D. Miller alla chitarra. Un’altra (a me sembra la stessa di questo disco Ace, dove però dicono essere inedita) è uscita nel 1985 su Baton Rouge Blues; (3) qui Bruce Bastin domanda se l’armonicista potrebbe essere Slim Harpo. Sempre Bastin, nelle note al vinile sopra detto (They Call Me Lazy), dice che c’è un’altra versione su nastro, anonima e senza titolo, con un’armonica che ipotizza essere di Sylvester Buckley.
L’altro dei due è il breve Sad City Blues, titolo pure questo già edito dall’inglese Flyright come Sad Sad City in un altro LP dedicato a Lazy Lester, Poor Boy Blues, (4) datato 1978, e in Baton Rouge Harmonica (5) del 1988. Su quest’ultimo è presente anche Courtroom Blues, stessa melodia con testo diverso.
La versione nel CD Ace è annotata come eseguita dal sempre caldo, morbido sax tenore di Lionel Torrence (Lionel Prevost), dalla bellissima chitarra, credo con effetto tremolo, di Leroy Washington, da Emile Joseph al basso e Warren Storm alla batteria, e da due pianiste, Carol Fran e Katie Webster; è una formazione possibile in una sessione dell’estate 1961, ma la faccenda delle due pianiste è strana oltre che non udibile. La spiego solo con la possibilità che, su richiesta di Miller, sia stato aggiunto da una un leggero lavoro riempitivo al già registrato dell’altra.
Qui si dice che è inedita, ma non sento particolari differenze con le due uscite sui vinili (se non l’audio), e quelle due le sento uguali tra loro; anche se fossero take diversi, i musicisti sembrano gli stessi dato che piano, chitarra, sax, batteria suonano allo stesso modo, cosa che, di conseguenza, porterebbe alla stessa sessione. Nelle note di Bastin al vinile Poor Boy Blues si dice che il brano apparve su tre nastri di Lester, e in quella versione attribuisce il piano a Katie Webster; pare inoltre che i demo non fossero per Excello, ma per Dot Records.
Come l’altro appena visto è tanto bello quanto inusuale, un blues lento e triste distillato da una chitarra acquosa, onirica, ripescato molti anni dopo in Texas per il riuscito CD Antone’s del 2001 Blues Stop Knockin’, il migliore della rinascita discografica di Lazy Lester.
È uno dei tanti accreditati a Miller (su I Hear You Knockin’ tutti lo sono, Lester appare coautore solo in alcuni) e fu provato anche da altri artisti, tra i quali è probabile che ‘Honey Boy Allen’ Pierre sia stato il primo e il coautore dato che i crediti sono attribuiti anche a lui. Senza nulla togliere ai meriti di Miller come autore, è probabile che la sua firma in qualche se non molti casi sugli “articoli” blues vi finisse solo per motivi di royalty: tra gli artisti blues di Miller solo Slim Harpo si ribellò con successo a questo modus operandi.
Nato Leslie Carswell Johnson il 20 giugno 1933 a Torras, Louisiana, a due passi dal confine con il Mississippi e dal fiume, una novantina di km a nord di Baton Rouge, quarto di nove figli, crebbe a Scotlandville (6) tanto con la musica country trasmessa via radio dal Grand Ole Opry quanto con i dischi blues della madre. Il fratello Robert aveva una chitarra su cui Leslie strimpellava le canzoni country preferite, soprattutto quelle di Jimmie Rodgers, mentre sua madre suonava l’armonica, ma solo durante l’adolescenza cominciò a interessarsi al blues, acquistando un’armonica e ascoltando per radio i noti al tempo, come Sonny Boy Williamson II.
Leslie iniziò a rincorrere concerti e blues jam, ad esempio quelli che si tenevano al White Eagle Club a Port Allen, dove incontrò l’armonicista Raful Neal, e in uno dei luoghi più ambiti, il Temple Roof Garden, club leggendario di Baton Rouge:
Era qualcosa di speciale. Si trovava al piano superiore, sopra un barbiere e un cinema. Non avevo l’età per poter entrare, così non facevo altro che aspettare l’arrivo dei musicisti, afferrare un tamburo, un amplificatore o una chitarra e portarli su dalle scale per loro. Sai, a loro questo piaceva, e così mi permettevano di rimanere ad ascoltare.
Nel periodo del suo massimo splendore il Temple Roof Garden ospitava grandi nomi come B.B. King, Jimmy Reed, Muddy Waters, Little Walter, le orchestre di Lucky Millinder, Lionel Hampton, Duke Ellington, Count Basie, Buddy Johnson. Spesso l’house band era diretta da Buddy Stewart, per trent’anni gestore del Buddy Stewart’s Rock Shop, ancora oggi al 1706 N Acadian Thruway West come uno dei rari negozi di dischi Mom & Pop (piccole attività a gestione familiare) sopravvissuti. Negli anni 1940/1960 Buddy Stewart condusse la sua orchestra nei club e nei locali più sofisticati lungo la costa del Golfo; gli artisti swamp blues erano tagliati fuori da questo circuito, la loro musica considerata troppo campagnola e rozza, provinciale.
E se per il downhome blues di Lightnin’ Slim, e agli altri della scuderia blues di Miller, l’accesso al Temple Roof era proibitivo, il più casalingo Tabby’s Blues Box and Heritage Hall (v. articolo su Baton Rouge), che si trovava su North Boulevard, aprì troppo tardi per Lightnin’, Harpo, e Lester avendo loro già preso tutti direzioni diverse; i primi due verso l’eternità. Il locale di Tabby Thomas fu nido per gente come Silas Hogan, Guitar Kelley, Henry Gray, Raful Neal, e tenne viva la scena blues di Baton Rouge, imboscata in una città piuttosto asettica, dalla fine degli anni Settanta fino agli anni Novanta.
Tornando a Leslie, a scuola nei tardi anni 1940 formò una band con il chitarrista John Jackson e una piccola sezione fiati, suonando alle feste e ai concerti locali, fondendosi poi con Jackson nei Rhythm Rockers con Eddie Hudson alla voce, Sonny Martin al piano, (7) Donald Bates alla batteria, Sammy Brown alla tromba, (8) Jack Charles King al trombone. A diciannove anni aveva una buona reputazione localmente come chitarrista e come armonicista ispirato dai successi di Little Walter (era il periodo di Juke) e di Jimmy Reed, il teorico dello swamp blues, ma sulla via di un suo stile personale.
Quando John Jackson si trasferì a Rayne per lavorare nell’edilizia Leslie lo seguì, impiegandosi anch’egli in quella piccola città per destino così vicino a Crowley, e sulla stessa strada. A Rayne incontrò (o rivide) Guitar Gable, che suonava al Blue Gardenia e lo invitò a entrare nella sua band, ma l’incontro che gli cambiò la vita musicale fu con Lightnin’ Slim, a bordo di un autobus su quella strada un giorno d’estate del 1956. Al contrario di quest’ultimo, Leslie sapeva chi si trovava di fronte e (dal racconto dell’armonicista), aveva già suonato con il suo gruppo all’insaputa del titolare, quando dopo la sua performance s’era inserito nella band mentre Lightnin’ “se ne andava con una donna”. (9)
Decise quindi di rimanere sul bus fino a Crowley quando seppe che il chitarrista era diretto allo studio di J.D. Miller in North Parkerson Avenue, dove registrava come solista dal 1954. Slim era in programma per una sessione, ma il suo previsto accompagnatore, l’armonicista texano ‘Wild Bill’ Phillips, non si presentò (v. It’s Mighty Crazy), così Leslie, dopo aver contribuito a cercare Phillips per ore fino in Texas, alla fine si propose dicendo di conoscere la musica di Slim, e di sentirsi in grado di accompagnarlo.
Lester ha quindi raccontato di aver sostituito Phillips quel fatidico giorno, da cui si deduce che ha iniziato anche lui, come già Slim Harpo poco prima, a registrare presso Miller nelle veci di accompagnatore di Lightnin’, (10) ma ha aggiunto che nel chiedere di andare allo studio pensò dapprima alla possibilità di poter registrare come solista; naturalmente quel giorno potrebbe non essere andata così, oppure potrebbe aver fatto entrambe le cose: il fatto è che manca un dato certo su quando ha iniziato l’una e l’altra cosa. La data più vecchia sul dischetto Ace (I’m a Lover Not a Fighter) in corrispondenza a due suoi brani (cioè come solista) è “agosto 1956”, tuttavia non c’è niente di più ingannevole, quando ci sono, delle date assegnate alle registrazioni Miller. Fred Reif dice che Lester cominciò a registrare da solista “dopo pochi mesi” dal debutto con Lightnin’, cosa che sposterebbe indietro, rispetto ad agosto, la sua prima volta con Slim, eventualmente cozzando con la sovrapposizione di altri armonicisti, come Schoolboy Cleve e Slim Harpo, che hanno sicuramente preceduto Lester, dal vivo e in studio.
In ogni caso, da quell’incontro cominciò non solo l’amicizia e la collaborazione con Lightnin’ Slim, l’apripista dello swamp blues della Louisiana, (11) ma anche il rapporto con il produttore Jay D. Miller e la carriera solista di Lazy Lester. Dai ricordi di Miller:
Un giorno Lightnin’ Slim arrivò in studio per fare una sessione accompagnato da un giovane sconosciuto, alto, snello e presentatomi come Leslie Johnson […] Mi fu detto che Lightnin’ aveva incontrato Leslie su un autobus, ma che non l’aveva sentito cantare o suonare. Avendo cinque minuti prima della sessione, accompagnai Leslie in studio e noialtri andammo nella stanza controllo a sentire. Dopo aver acceso l’apparecchiatura e avergli segnalato di iniziare, rimasi stupito da quello che sentii. Era molto più di quello che m’aspettavo. Mi convinsi immediatamente che era un artista dal grande potenziale.
Lester divenne uno dei musicisti più presenti nello studio, solcando decine di nastri come solista e in supporto ad altri (oltre Lightnin’ Slim, Lonesome Sundown, Slim Harpo, Silas Hogan, Henry Gray, Tabby Thomas, Katie Webster, Nathan Abshire, Johnny Jano), all’armonica, alla chitarra, al washboard e altre percussioni. Sebbene non abbia avuto un hit nazionale, le vendite costanti e la sua presenza in studio come braccio destro di Miller gli hanno permesso un’attività discografica continua per circa dieci anni, con quindici singoli Excello pubblicati a suo nome tra il 1956-1957 e il 1967.
Il dischetto Excello (I Hear You Knockin’!) offre i singoli in ordine cronologico, e il primo da titolare (Excello 2095) uscì forse già nel 1956 con I’m Gonna Leave You Baby, accreditato a Leslie Johnson e Jerry West, pseudonimo che Jay Miller usava per firmare la produzione artistica con gli afroamericani. È un medio-lento che evidenzia il tessuto imputabile allo studio Miller: slapping su carta o cartone a inumidire il drumming sordo e regolare proveniente da una cabina (come si vede nelle foto dell’articolo sulla visita a Crowley), lavoro di chitarra e basso a intorbidire il movimento mentre Lester all’armonica commenta le sue frasi vocali ed esegue un solo.
Non avendo niente per il retro, lui e la ben assortita band di Guitar Gable, con il fratello tredicenne di quest’ultimo, John Clinton Perrodin, detto ‘Yank’ o ‘Fats’, al basso, e Clarence ‘Jockey’ Etienne alla batteria, improvvisarono lo shuffle strumentale Lester’s Stomp che, in qualsiasi versione lo si ascolti (nella bella alternativa sul FLY 526 c’è ancora lo slap e si odono voci di incitamento), rimane un favoloso uptempo boogie di due minuti (e uno dei pochi casi in cui il batterista usa i cimbali) mostrante la confidenza di Lester all’armonica, strumento di cui ha piena padronanza a differenza della voce, impostata sullo stile di Jimmy Reed ma non sufficientemente dinamica e potente, forse motivo per cui non riuscì a sfondare come solista in un mondo e in un genere così ricco di grandi e/o caratteristiche voci. Questo primo disco presentò già il soprannome datogli da Miller:
Disse che non avevo mai fretta […], che mi muovevo lentamente e avevo questo accento pigro, così decise di chiamarmi Lazy Lester. Non mi diede per niente fastidio […] Effettivamente, ammetto di non aver mai fretta, che si tratti di suonare il blues, di parlare, pescare, amare, qualsiasi cosa io faccia prendo tutto il tempo necessario per fare le cose come vanno fatte.
Il secondo e il terzo singolo uscirono nel 1957, ma per quanto riguarda le date e i musicisti delle sessioni si va quasi sempre per approssimazione. Potrebbero appartenere ancora al 1956 e alla band di Gable Go Ahead e They Call Me Lazy (Excello 2107), entrambi medio-lenti paludosi, intensi e imponderabili, il primo con suadenti accenti ritmici i quali, insieme al suo canto, costituiscono quel nucleo che già evidenzia la cifra stilistica di Lester più vicina al rock ‘n’ roll, qui sormontato da una bellissima armonica blues, il secondo (They call me Lazy, God he knows I’m only tired) un ballabile quasi country, armonica melodiosa con bel solo in finale, basso profondo e pianoforte in sottofondo. La versione sul FLY LP 526 mi sembra esattamente la stessa, nonostante le sue note (Bruce Bastin) dicano non solo che è leggermente più veloce di quella pubblicata, (12) ma addirittura che si tratta di una versione registrata molti anni dopo in base a una lettera di Miller (del 1967!) indirizzata all’etichetta, acclusa al nastro, dove il produttore parla di una “nuova registrazione” e la ripropone per l’uscita; se fosse così sarebbe ben diversa, naturalmente (non è l’unica incongruenza che trovo nelle note di Bastin, e in generale nelle note sul materiale Miller redatto dai pionieri inglesi, comunque eroici e volenterosi). La sola cosa che ad orecchio può combaciare è che in effetti Miller abbia leggermente accelerato il vecchio nastro, riportando il brano su uno nuovo.
I Told My Litte Woman (Excello 2129) inizia con un colpo sul crash e prosegue a passi marcati con l’armonica in un registro alto. Nel disco Ace la fanno risalire all’ottobre 1957 con le due chitarre attribuite a Lester e a Gable, e la batteria a Jockey Etienne, (13) presentandone un’alternativa inedita, tuttavia mi sembrano identiche.
Il retro era la favolosa, minimale seppur dotata di gran suono in eco Tell Me Pretty Baby, con aggiunta percussiva (washboard?) e Lester convincente su tutti i fronti, compresi tempo e intonazione. Il libretto del disco Ace, con la stessa versione, dice che è dell’agosto 1956 (in tal caso sarebbe dalla prima sessione) e che c’è Guitar Gable alla chitarra, ma se ne sente una seconda, mentre al basso dovrebbe esserci ‘Yank’ Perrodin e alla batteria Etienne. Il FLY 526 ne contiene una veloce, più rockabilly e con aggiunta di sax tenore, verosimilmente Lionel Torrence o Boo Boo Guidry (a orecchio sembra in overdub), e un’altra simile si trova sul FLY 614, stessa velocità e fattura, ma altra registrazione, entrambe inferiori a quella pubblicata.
Lester ha descritto così la collaborazione con Miller nelle veci di autore:
Miller era un grande autore di canzoni […] Ci sedevamo da qualche parte nello studio e parlavamo. Afferrava la sua chitarra e se ne usciva con qualcosa, allora prendeva un foglio, girava la chitarra sotto sopra e buttava giù le parole. Suonava ancora qualcosa e poi io aggiungevo la musica.
Il disco successivo (Excello 2143) uscì nel 1958 con un certo successo e data la suggestione di entrambi i lati non poteva esser altrimenti; oggi sono degli autentici classici immediatamente riconducibili a Lester. Da una parte l’originale, splendida I’m a Lover Not a Fighter, con ritmiche rockabilly persuasive, forse Guitar Gable, Al Foreman, Bobby McBride. Percussiva simil washboard o maracas, e dietro le pelli probabilmente ancora l’inossidabile ‘Jockey’ Etienne.
La versione sul disco Ace in teoria dovrebbe essere la stessa dato che ne indicano l’uscita come da sopra, ma è un po’ diversa nella ritmica di chitarra e non solo, in definitiva più elastica, asciutta e rockabilly; nonostante nasca appunto il dubbio su quale andò sul singolo originale, per la loro compiutezza e l’effetto che esercitano entrambe erano all’altezza. Il FLY 526 ne presenta un’altra ancora, minore, con un misterioso suono basso simile a una tuba, non attribuibile a uno strumento con tastiera. Dopo qualche ricerca ho trovato che si tratta di una voce basso (per la verità non intonatissima) del gruppo vocale Henry Clement’s Gaynotes, che pure incise per Miller. Fu registrata su due tracce con il basso vocale in una, per poterlo poi aumentare in fase di missaggio, come credo Miller abbia fatto.
Dall’altro lato si trovava l’incalzante Sugar Coated Love, di nuovo accreditata a Jay Miller e ancora con vena rockabilly, battito di mani e armonica con gran eco, proveniente da una sessione con (forse) Pee Wee Trahan e Guitar Gable alle chitarre, e l’allora “sbaffato” Warren Storm al rullante e grancassa; sostanzialmente la stessa quella sul CD Ace, che inizia proprio con queste due. Sul FLY 544 se ne sente una accelerata, dove la batteria è attribuita a Etienne.
Nel 1959 esce I Hear You Knockin’ (Excello 2155) con un ritmo marciante al rullante nello stile di Sugar Coated, evidentemente dello stesso batterista (quindi se là è Warren Storm, anche qui lo è); la chitarra è attribuita a Tony Perreau e il basso a sei corde a Emile Joseph. Non c’entra con quella di Smiley Lewis, ma è possibile che ne sia stata ispirata. Sul FLY 544 c’è un’alternativa più lenta, più blues, che potrebbe essere una prima versione, la cui andatura è in contrasto con un veloce e marcato slapping su base sorda. In genere queste percussioni erano ottenute muovendo le spazzole o un giornale arrotolato su uno scatolone di cartone (gli imballi dei dischi), oppure battendo un giornale appoggiato sulle gambe in posizione seduta, ma qui è talmente veloce (se non accellerata, o doppiata, da Miller) da far pensare più a qualcosa di rigido come le bacchette, su una base comunque cartacea.
Sul retro c’era un altro blues march andante e allo stesso tempo pigro, ancora con battito di mani, Through the Goodness of My Heart, sul disco Ace fatto risalire al maggio 1958, che in teoria dovrebbe essere l’indicazione della sessione, mentre in pratica potrebbe essere la data di ricezione dei master da parte di Excello. Qua Lester non suona l’armonica, ma sul finale l’effetto eco marchio di fabbrica del blues di palude prodotto a Crowley si propaga attraverso il suo canto indolente. Sono assegnati Pee Wee Trahan e (forse) Tony Perreau alle chitarre, Bobby McBride al basso e Henry Clement alla batteria.
Nel tempo, Lester ha aggiunto molte informazioni sul personale presente nelle sessioni poco o per niente annotate di Miller. Nomi come Pee Wee Trahan, Isaiah Chatman, Emile Joseph, Sammy Hogan (figlio di Silas), Hank Redlich, Tony Perreau, U.J. Meaux e Merton Thibodeaux sono stati tutti menzionati da lui quando la loro presenza non era mai stata documentata prima.
I Love You, I Need You (Excello 2166) è una breve ballata blues proveniente dal luglio 1959, con rispettivamente chitarra, basso e batteria di Al Foreman, Rufus Thibodeaux, e Henry Clement.
Il suo retro Late, Late in the Evening ha uno shuffle uptempo, mentre l’alternativa inedita nel disco Ace ha un diverso effetto perché rallentata. Su quest’ultima le note dicono che ci sono ben tre chitarre: Lester, Pee Wee Trahan e Al Foreman; Sammy Drake è alla scatola di cartone, più udibile però in un’altra bella versione sul FLY LP 526, nella quale spicca appunto il battito cartaceo con un esito molto più downhome anche per come suona l’armonica.
Bye Bye Baby (Gonna Call It Gone) (Excello 2182) non è proprio ben riuscito perché Lester arranca nel canto faticando a tenere il passo, e sembra sul punto di cadere rovinosamente da un momento all’altro, ma il brano è portato fino alla fine, sfumato comunque prima dei due minuti e venti. Strana la decisione di farlo uscire, anche se questa versione è certamente meglio dei tentativi intitolati I’m Leavin’ udibili sul FLY 526 forse grazie al compromesso di rallentare un po’ il tempo.
Sul Flyright infatti si assiste al retroscena comico di questo atto nato male fin dall’inizio con i musicisti che, su un classico e regolare blues shuffle, non possono far granché per smussare le irregolarità del solista dopo che questi comincia a cantare. Il collasso avviene dopo il minuto e mezzo con Lester che va fuori tempo, ma continua cercando di recuperare: il suo commento cantato (“mother!”) all’1:46 sembra di fatto un’imprecazione più che parte del brano. A questo punto qualcuno forse gli fa cenno, perché a 1:57 inserisce la sua negazione, sempre cantando: “No, I didn’t cut no meter” e prosegue come niente fosse, ma dopo qualche secondo d’inerzia naturalmente la band interrompe.
Segue il vociare, con Lester a difendersi ripetutamente (“No I’m good, man”) prima di ammettere, ridendo, che potrebbe aver “cut a little time”; a queste parole la band riparte subito per un altro take. Il risultato è ancora sconnesso ma Miller lascia finire, e probabilmente non fu ripresa in nessuna sessione seguente: quella pubblicata sembra figlia dello stesso giorno.
Siamo nel 1960, e dietro c’era la soffice ballata romantica A Real Combination for Love, esempio di swamp pop in cui Lester canta ispirato. Nel disco Ace c’è un’alternativa inedita con sfondo d’organo chiesastico attribuito a Katie Webster. Gli altri sono Rufus Thibodeaux, Al Foreman e Warren Storm, i quali insieme a Webster, se mi si passa la parafrasi, sono il real combo per il genere.
Il disco con Patrol Blues e You Got Me Where You Want Me (Excello 2197) uscì nel 1961. Il primo è un blues lento sulla prigione, anche nel disco Ace come alternativo inedito simile, mentre il secondo è caratterizzato dal cambiamento di andatura, e quello su Ace sembra lo stesso. Entrambi sono molto simili nel FLY 544.
I’m so Glad (Excello 2206) è un blues più urbano e arrangiato del solito con la presenza del bel sax di Lionel Torrence, oltre a Tony Perreau (chitarra), Katie Webster e Jockey Etienne, con Lester anche alla chitarra. Quello Ace è lo stesso, mentre c’è un’alternativa sul FLY 544 con diversa sonorità, mancando il sax e il piano, risultando più “pungente” e downhome, se non fosse per l’eco massiccio. I colpi sembrano su uno scatolone, un tappeto ritmico è steso da percussioni tipo washboard, e l’armonica è spiegata in pieno riverbero, con tutta probabilità ottenuto entrando nell’echo-chamber (qui spiego di cosa si tratta), ma anche gli altri suoni sono in eco.
L’altro lato era la coinvolgente Whoa Now, nello stesso stile (tra Chicago e West Coast), e direi che il sax è ancora quello di Torrence/Prevost, idem per il sottofondo di piano e quindi entrambe potrebbero risalire alla stessa sessione, probabilmente fatta nell’anno di uscita, 1961. Sono invece diverse da questa e tra loro le due versioni uscite sul disco Ace e sul FLY 526, registrate molto prima: per quella sull’album Flyright il nastro riportava la data della sessione, il 24 luglio 1957 secondo i dati forniti da Bastin, e in questo caso forse ci si può fidare. Quella su Ace è bella quanto, se non di più, quella pubblicata, nonostante la (o grazie alla) strumentazione più povera: Lester con il suo canto “lazy” e gli interventi d’armonica, una bella chitarra ipnotica di ‘Blue Charlie’ Morris (ma le chitarre sembrano due, forse l’altra è l’acustica di Lester) e percussioni sul cartone di Sammy Drake; le note dicono ottobre 1957, ma come sempre non è chiaro a cosa si riferisca. Ancora più tirata all’osso quella sul Flyright, forse la prima di queste registrazioni, con una chitarra che suona diversa. È esemplare la laconicità di Lester nella versione Excello, con due strofe (quella in mezzo è il chorus) che aggiustano il testo in maniera più efficace rispetto alle altre versioni:
I say like the little red rooster Said to the little grey hen You used to lay your eggs in another yard But you can't do that again Whoa now, stop your runnin' around on me Well you're thinkin' crazy baby If you think that's how it's gonna be Well you say that was your brother I saw you with last night I've never seen a brother Kiss and squeeze his sister tight
Niente di più che piacevole invece il veloce If You Think I’ve Lost You (Excello 2219), dal maggio 1962 con Bobby McBride qui alla chitarra, Rufus Thibodeaux al basso a sei corde e Henry Clement alla batteria; sul FLY 544 si trova con il titolo Ain’t Nothing in This World. È vivace anche I’m so Tired, ma il pianoforte sullo sfondo, verosimilmente aggiunto in separata sede, accellera un ritmo che di base è più lento; è qualcosa che ho sentito spesso nelle registrazioni di Miller con il piano “posticcio”, non solo in quelle di Lester: è abbastanza straniante. Quella nell’edizione Ace sembra uguale, ma dicono trattarsi di una versione non pubblicata, dalla stessa occasione di Patrol Blues; lenta invece, senza piano, quella rintracciabile sul FLY 526.
Lonesome Highway Blues e I Made up My Mind (Excello 2230) sembrano provenire dalla stessa sessione del 1963 perché il personale è identico. Il primo è un blues lento in chiave minore con il canto di Lester su un fondo evanescente e luttuoso, il secondo è un tempo medio di quel tipo “disteso” a cui Lester ci ha abituati. A entrambi è stato assegnato Sylvester Buckley all’armonica mentre il nostro figura alla sei corde, Isaiah Chatman all’altra chitarra e Sammy Hogan alla batteria. Si sente inoltre un washboard, distinguibile soprattutto nel primo brano.
Fantastico l’umore e l’andamento di You’re Gonna Ruin Me Baby (Excello 2235), risalente al 1963; semplice e carico di coolness. La versione Ace sembra uguale, ma è targata come inedita. In ogni caso il personale è lo stesso: dicono (sempre dal libretto Ace) si tratti di Al Foreman e Bobby McBride alle chitarre e Sammy Hogan alla batteria; tuttavia il basso è ben udibile e caratterizzante, quindi forse McBride stava lì.
Il retro Strange Things Happen è un altro felice episodio, poi ripreso benissimo sul CD Antone’s All Over You del 1999. Sul disco Ace non c’è, quindi è difficile risalire alla data e al personale, ma è evidente che è dello stesso periodo. Quello su FLY 526 è molto simile, e la chitarra potrebbe essere Al Foreman.
Il 45 giri con A Word about Women e The Same Thing Could Happen to You (Excello 2243) uscì nel 1964. Originariamente erano sullo stesso nastro ed è quindi verosimile che i sessionman siano gli stessi: Al Foreman e Hank Redlich alle chitarre, Rufus Thibodeaux al basso e il mai sentito Elton Thibodeaux alla batteria (o Elgin Thibodeaux?), inoltre l’accompagnamento ritmico è simile. Il primo, mid-tempo tipico “con moto”, ma sempre efficacemente “molle”, appare sul FLY 544 come A Woman.
Il secondo ha una ritmica elastica tipo rockabilly e una struttura, come spesso accade nel suo repertorio, lontana dal blues, in cui dal carcere ammonisce chi ascolta nel porre attenzione a non tornarci, e a non capitarci chi non v’è ancora mai entrato; poteva dir la sua giacché fu più volte galeotto. Siccome lo propone ancora oggi credo sia tra i preferiti di Lester; stessa versione sul CD Ace, e bella anche quella sul FLY 544 (dove però dichiarano la presenza di Bobby McBride), leggermente velocizzata. In tutti e tre i casi il titolo è come riportato sopra, ma sull’etichetta del singolo appariva invece solo Could Happen to You.
Country o, meglio, swamp pop, la romantica ballata Take Me in Your Arms (Excello 2274) con l’organo di U.J. Meaux; per il resto accreditano la collaudata sezione ritmica Al Foreman, Rufus Thibodeaux e Warren Storm: tutti visi pallidi. Now It’s Time è la versione alternativa nel FLY 544: rimane un delicato e melodico ballabile, con l’armonica (forse) di Sylvester Buckley a integrarsi con l’accompagnamento.
Stessa formazione per l’uptempo You Better Listen (to What I Said), dove la presenza dell’organo mostra ancora quanto i tempi siano cambiati; il disco uscì forse tardi, nel 1966. La versione su Ace è inedita, e quella simile sul FLY 544 è intitolata You Gonna Lose Your Head.
Anche Because She’s Gone e Pondarosa Stomp (Excello 2277) furono pubblicati nel 1966, mancanti nel CD Ace. Il primo è un bel blues lento e malinconico che evidenzia il lirismo di Lester su un tappeto d’organo, il secondo è un uptempo strumentale per armonica e organo: quando necessita scaltrezza e velocità lui c’è (come canta in I’m a Lover Not a Fighter: Well, people say I’m lazy but there’s a lot they don’t know / When I’m in the mood I can go, cat, go!), specie per quanto riguarda l’armonica. Pondarosa è il nome in gergo del noto penitenziario della Louisiana, Angola, e il titolo del brano oggi è usato da una fondazione che organizza un festival annuale a New Orleans e altri eventi.
Fu il suo ultimo singolo Excello, e anche la collaborazione con Miller s’interruppe nello stesso anno, con la motivazione che l’artista era diventato troppo inaffidabile, forse tanto quanto lo stesso aveva perso fiducia nel music business.
Questi trenta brani sono piccole perle, ma non dicono tutto dei nove anni trascorsi a Crowley. Si potrebbe pensare che arrivasse da Baton Rouge, facesse la sua sessione e poi se ne andasse in attesa di ricevere i proventi del disco; invece non era così, e di denaro ne vedeva poco. L’impegno nello studio fu talmente costante che dovette trasferirsi, e solo analizzando il suo lavoro nel complesso, ad esempio mediante la serie Flyright e i dischi in cui è stato supporto ad altri artisti di Miller, si può meglio inquadrare il suo contributo.
La serie inglese aggiunge poco di nuovo musicalmente, ma mostra lo scenario del prodotto in studio, il retrobottega, l’atmosfera, la varietà di personaggi, il blues, il rock ‘n’ roll, il cajun, lo zydeco, il country.
J.D. Miller aveva una vasta scuderia, sia come artisti solisti che di supporto, qui nominati in parte. «Tutti quei ragazzi erano bravissimi musicisti. Eravamo sempre nei pressi dello studio con tante idee nella testa. Nove volte su dieci ero io l’unico ragazzo nero nello studio», ha ricordato Lester, che doveva organizzare le sessioni: «Mi prendevo cura degli artisti, sistemavo lo studio. Prendevo inoltre molti accidenti da alcuni musicisti, quando arrivavano e Miller non c’era». Il padre di J.D. di solito era davanti al suo negozio, e diceva loro che il figlio aveva lasciato Lester a curare la faccenda. «Molti di quei ragazzi non gradivano perché non ero bianco, ma gli dicevo: “Miller mi ha dato questo incarico perché ne so più di voi, e se voi volete fare quello che lui vuole che facciate, dovete fare quello che io vi dico di fare”. Molti di loro erano giovani, verdi di rabbia! Gente come T.K. Hulin e Rod Bernard».
Nel 1966, nella decisione di ritirarsi dalla musica c’era la sua stanchezza generale per quel modo di guadagnarsi da vivere, dalla scarsezza degli accrediti (in realtà buoni di per sé, ma a volte decurtati per ripagare i danni causati dal suo alcolismo) alla discriminazione nei locali in cui si esibiva. Aveva comunque sempre dovuto svolgere lavori occasionali come operaio edile e stradale, taglialegna, camionista: «Semplicemente, all’improvviso non volli più farlo».
Per fortuna dopo tanti anni qualcuno s’è ricordato di lui, e a Lazy Lester, cambiati i tempi, è tornata la voglia di rimettersi a suonare riportando a galla intatta la passione musicale, proiettandola nel terzo millennio per tutti coloro che per motivi anagrafici non hanno potuto assistere alla prima del film.
Seconda parte, seconda carriera.
Altri link utili: Lazy Lester al Lucerne Blues Festival 2016 e Lazy Lester al Circuito dei Club a Terni nel 2007
Triste aggiornamento (2018): Lazy Lester se n’è andato in pace il 22 agosto 2018 a casa sua, Paradise, California.
(Fonti: Note di Fred Reif a I Hear You Knockin’!, Excello Records/AVI CD 3003, 1994 e a I’m a Lover Not a Fighter, Ace Records Ltd. CDCHD 518, 2009; Note di Bruce Bastin al FLY LP 526 They Call Me Lazy vol. 7 della serie The Legendary Jay Miller Sessions, Flyright Records, 1976, al FLY LP 544 Poor Boy Blues vol. 16, stessa serie, Flyright Records, 1978 e al FLY LP 607 Baton Rouge Blues vol. 42, stessa serie, Flyright Records, 1985; Note di John Broven al FLY LP 614 Baton Rouge Harmonica vol. 49, stessa serie, Flyright Records, 1988; John Broven, South to Louisiana: The Music of the Cajun Bayous, Pelican Publishing, 1983, pagg. 137 e 138).
- Frank Patt (aka ‘Honeyboy’), cantante e in seguito anche chitarrista, nato nel 1928 a Fostoria (vicino a Selma), Alabama, si trasferì a Los Angeles nel 1952, dove incontrò Art Rupe e registrò nel 1953 per la sua Specialty Records. L’etichetta gli pubblicò un solo singolo: Bloodstains on the Wall / My Time Ain’t Long. L’incredibile chitarra di Bloodstains era Jimmy Liggins, il piano Gus Jenkins, quest’ultimo amico di Patt fin dall’infanzia e suo partner anche in seguito.[↩]
- Vol. 7, serie The Legendary Jay Miller Sessions, FLY LP 526.[↩]
- Vol. 42, serie The Legendary Jay Miller Sessions, FLY LP 607.[↩]
- Vol. 16, serie The Legendary Jay Miller Sessions, FLY LP 544.[↩]
- Vol. 49, serie The Legendary Jay Miller Sessions, FLY LP 614.[↩]
- Scotlandville, vasta comunità sopra Baton Rouge, fu casa per diversi bluesman. Altri quartieri neri erano presenti su Highland Road e North Acadian Thruway.[↩]
- Sarà uno dei pianisti nelle sessioni di Miller.[↩]
- Non credo sia il Sammy K. Brown che fu batterista nella band di Slim Harpo.[↩]
- Dalle note di Fred Reif nel libretto del CD All over You, Antone’s Records, 1998.[↩]
- Harpo, a differenza di Lester, aveva già suonato con Otis Hicks (Lightnin’ Slim) dal vivo sulla scena cittadina, e da quest’ultimo fu portato intenzionalmente a Crowley.[↩]
- Lester (in rif. a Lightnin’ Slim): «È stato uno dei miei migliori amici. Facevamo il diavolo a quattro tra noi, ma insieme ne abbiamo combinate delle belle». Nelle note di All over You, Fred Reif aggiunge che, nonostante dopo aver caricato Lazy Lester alla stazione degli autobus di Flint questi discusse con Slim per tutto il viaggio verso Chicago, il loro rapporto era dettato da una solida amicizia. Leslie entrò nella band di Lightnin’; suonavano nelle scuole cattoliche, negli auditorium e nei club attraverso la Louisiana, ma grazie al successo di Slim perfino in Arkansas, Mississippi, Alabama e, occasionalmente, a Cleveland, Ohio, continuando Lester a esibirsi anche con i Rhythm Rockers nei club attorno a Baton Rouge e Crowley, nel periodo in cui cominciò a fare dischi a suo nome. Leslie aveva un carattere tranquillo e per questo Miller gli diede il nome d’arte Lazy Lester, ma al confronto con il laconico Slim, di vent’anni esatti più grande, pareva uno scatenato e insieme li immagino come cane e gatto: il gatto è Lazy, ovviamente. Il primo pensiero che ho scritto su di lui, due giorni dopo averlo conosciuto nel 2007, è stato proprio il paragone col felino domestico.[↩]
- A dire il vero sul CD in esame, I Hear You Knockin’, non c’è niente che dica chiaramente che sono le versioni originariamente uscite sui dischi, ma il marchio e l’operazione in sé, oltre alla lista dei brani in ordine di pubblicazione (nella giusta sequenza pure rispetto ai lati A e B), lasciano intendere così.[↩]
- Nel 1976 viveva a Lafayette, registrando ancora regolarmente per Jay Miller con Marcel Dugas’ Entertainers, entrambi udibili sul FLY LP 539, Zydeco Blues.[↩]
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“Mi chiamano Lazy, pigro, ma Dio solo sa che sono stanco…”
– da “LA MUSICA DEL DIAVOLO” di Giles Oakley ed. italiana Gabriele Mazzotta editore, 1978
Grande articolo. Grazie
http://www.blackbluefestival.com/
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