Memphis, Tennessee – pt 2
Partito come mostra itinerante, dal 2000 aveva trovato casa nell’impianto della Gibson, mentre ora il Rock ‘n’ Soul Museum è in questo nuovo edificio, tra la Gibson Factory e il Fed-Ex Forum, a due passi dal termine della Beale Street pedonale. Da qui si possono anche prendere navette gratuite per Graceland e il Sun Studio.
Davanti all’entrata blues marker dedicato ai mississippiani che nel corso del Novecento sono giunti a Memphis per vivere di musica, finendo per renderla il maggior polo musicale del sud.
Sviluppato dal Smithsonian Institution, il suo obiettivo è raccontare la storia musicale di Memphis. Vale la pena prendersi il tempo necessario per leggere e ascoltare il più possibile. Inizia con una serie di installazioni illustranti la vita lavorativa e il tempo libero nel sud rurale.
Dopo un video introduttivo, la visita è self-guided con audio guida (no italiano) da cui si possono selezionare esempi della musica gravitante attorno a Memphis, dal country e country blues acustico alla musica religiosa, dal rhythm ‘n’ blues, rock ‘n’ roll e rockabilly al soul.
Cucina tipica di una famiglia contadina nei primi decenni del Novecento. La vita dei bianchi poveri era simile a quella dei mezzadri neri, e le rispettive tradizioni musicali si influenzarono a vicenda.
Anche gli oggetti sul tavolo erano comuni a entrambe le razze, ma qui è un trionfo di rappresentazione blues: la famosa farina King Biscuit, scatole di sigari e di fiammiferi (Ohio Blue Tip Matches), boccetta di un qualche medicinale “prodigioso”, lattina di tabacco Prince Albert del tipo che T-Bone Walker ha dichiarato d’aver usato come primo strumento, semplici attrezzi da cucina, bottiglia di Dr Pepper, armonica Hohner in sol. La radio a batteria era invece più ambita e preziosa, come questa Silvertone del 1930 circa; la maggior parte delle case dei mezzadri non aveva corrente elettrica, quindi era l’unica via per connettersi a un mondo più vasto, ma il costo delle batterie ne limitava l’uso.
Giradischi a manovella del 1930
Abiti d’epoca
Inizio delle registrazioni di musica country, nel 1922 (ai tempi non ancora definita così; era conosciuta come hillbilly music, e commercializzata come old time music); in rappresentanza, il disco OKeh di Fiddlin’ John Carson, Old and In the Way, del 1924 (Carson aveva già registrato nel 1923, sempre per OKeh). Il brano è proposto nella sezione rurale della guida, insieme a Roy Acuff, Jimmie Rodgers, i fratelli Monroe, la Carter Family, Patsy Montana, Bob Wills, Robert Johnson, Charlie Patton, una rarità come Elder Curry, Furry Lewis, Tommy Johnson, Roosevelt Sykes, e altri.
Ai primi Novecento il violino era ancora lo strumento principale della musica popolare, la musica da ballo. Probabilmente è stato l’andamento dell’industria discografica a dare l’impressione che i neri non suonassero musica country, ma in realtà prima che si chiamasse blues era country, cioè musica rurale, old time music, o dance music. Violini e banjo erano suonati dagli schiavi, e i loro discendenti agli inizi del Novecento furono coinvolti nello sviluppo della musica country (esempio illustre è Lead Belly). L’esclusione dei neri dal mercato della country music, con l’affermarsi dell’industria di Nashville, è diventata sempre più solo una questione di colore della pelle.
Parte del trasmettitore originale del Grand Ole Opry, del 1932 circa. In quegli anni la stazione radio del famoso e longevo programma musicale tempio della country music, WSM, acquisì un segnale da cinquantamila watt di massima potenza e chiarezza, permettendo agli ascoltatori di tutto il sud di sintonizzarsi al sabato sera sulle frequenze del Grand Ole Opry, trasmissione la cui incalcolabile influenza ricadde per forza anche su musicisti neri (v. Ray Charles). Il pezzo proviene dalla collezione di Sam Phillips.
Jukebox Seeburg Selectophone del 1934. Ogni selezione costava un nichelino, tra dieci 78 giri impilati sul perno verticale; tutti giravano all’unisono, era il braccio a posarsi sul brano scelto.
Stupenda immagine di Furry Lewis, con la chitarra che sembra più grande di lui. Non abbiamo trovato il suo cimitero, Hollywood Cemetery, 2012 Hernando Road: il navigatore ci ha mandato a un altro cimitero vicino, il Mt Carmel Cemetery, che probabilmente ha la stessa gestione (Mt Carmel/Hollywood Cemeteries), ma è più piccolo ed è stato abbandonato dai proprietari, mantenuto quindi da un gruppo di volontari. (È destino che io abbia problemi con i cimiteri che si chiamano Hollywood; è successo anche a Orange, Texas). Comunque il provvidenziale Mark Slim mi ha inviato una foto del cimitero e una della tomba di Lewis:
Le lapidi sono due, con data di nascita discordante. Quella piatta, la cui iscrizione si limita a un semplice “Walter ‘Furry’ Lewis – Bues Man”, riferisce l’8 marzo (1893), quella verticale riporta il 6 marzo e l’incisione When I Lay My Burden Down.
Orange Mound è una zona a sud-est di Memphis (non lontana dall’aeroporto) ricca di storia. È il primo quartiere degli Stati Uniti costruito direttamente dagli afroamericani, sul terreno di una grande (circa 20 km2) piantagione dismessa, e il secondo più esteso dopo Harlem.
La piantagione nacque nei primi decenni dell’Ottocento, e nel 1871 il proprietario Deaderick cominciò a sviluppare Melrose Station, piccolo nucleo residenziale di bianchi poi decimato dall’epidemia di febbre gialla e abbandonato. Il terreno fu venduto a prezzo modico, e da lì cominciò a svilupparsi nel 1890 Orange Mound con un gruppo di shotgun house abitate dagli afroamericani sopravvissuti, e altri della contea rimasti a Memphis in numero superiore rispetto alla popolazione bianca. Fu la prima comunità del sud in cui gli afroamericani poterono possedere proprie case, e nuove, non abbandonate da precedenti proprietari bianchi. Completamente autonoma, visse vibrante di attività fino agli anni 1970, quando cominciò l’abbandono e la decadenza; durante il ventennio 1980/1990 era un luogo degradato, con le famiglie e l’intera comunità disgregate dalla droga e dalla violenza. La rinascita, tramite sforzi collettivi di preservazione, rieducazione e pulizia, è stata perseguita e realizzata negli anni Duemila.
Sezione “Coming to Memphis”, illustrante i vari linguaggi musicali che cominciarono a fondersi lungo le strade e i locali della River City nei primi decenni del Novecento. A Memphis vigeva la segregazione, ma negli anni 1930/1950 Beale Street era un’isola in cui gli afroamericani di giorno operavano e trovavano i servizi necessari, di notte si lasciavano andare al divertimento attraverso una musica che univa bianchi e neri. Sopra, l’orchestra di Jimmie Lunceford, spesso formata da studenti della Douglass High School, dove Lunceford insegnava. Negli anni 1940 anche il jazz era ampiamente suonato in Beale Street; oltre a quella di Lunceford erano note le orchestre di Al Jackson Sr (padre del grande batterista Al Jackson Jr) e di Richard ‘Tuff’ Green, dalle quali uscì Willie Mitchell.
Locandina originale del Club Ebony (forse quello di Indianola), dalla grafica accurata. Sotto, wash tub bass.
Selezioni in cuffia: Cannon’s Jug Stompers, Memphis Jug Band, Memphis Minnie, W.C. Handy, Arthur Crudup, Sister Rosetta Tharpe, The Spirit of Memphis, Blackwood Brothers, Louvin Brothers, Delmore Brothers, Bill Monroe, Ernest Tubb, Hank Williams, Swift Jewel Cowboys, e altri.
Radiolina degli anni 1950 a forma di microfono, a scopo promozionale; ricevevano solo la stazione oggetto della promozione, in questo caso WHER.
Pannello dedicato a WDIA, prima radio con programmazione interamente indirizzata ad afroamericani, largamente influente anche sui giovani bianchi (come Elvis Presley), che l’ascoltassero apertamente o di nascosto. Nat D. Williams, il primo dj afroamericano di Memphis, la sua figura principale.
Ascesa del rock ‘n’ roll. Sam Phillips, camicia di Jerry Lee Lewis, divisa militare di Elvis, e modello di chitarra Scotty Moore (più sotto si vede meglio).
Benvenuto alla Elvis Week sotto il neon di Poplar Tunes, storico negozio di dischi co-fondato da Joe Cuoghi (il socio era John Novarese) nel 1946, purtroppo chiuso nel 2009. Una foto del 1956 ritraente Elvis con il dj Dewey Phillips e Joe Cuoghi nel negozio è appesa al muro del Sun Studio Cafe (v. articolo precedente). Data l’epoca coperta, è stato frequentato verosimilmente da ogni musicista del dopoguerra residente a Memphis. Cuoghi supportò concretamente gli artisti che ammirava, come Elvis e B.B. King, e fu co-fondatore di Hi Records.
Gibson B.B. King Lucille firmata. Dal 1948 B.B. ha suonato versioni differenti di Lucille. La semi-hollow body senza fori è stata disegnata per lui da altri precedenti modelli Gibson usati, inclusi ES 335, 345 e 355.
Reperti Stax Records: sassofono di ‘Packy’ Axton e abbigliamento appartenuto a Estelle Axton
Vetrina dedicata a diverse personalità Stax: Sam & Dave, Isaac Hayes, Deanie Parker, Carla Thomas, Otis Redding, Rufus Thomas, Booker T. & the MG’s.
Hammond L-111 e (sotto) Fender Jazzmaster usati da Mark James per comporre Suspicious Mind, da lui incisa nel 1968. Poco dopo, su stesso suggerimento di James, Elvis la registrò e sarà uno dei suoi più grandi successi. C’è anche il manoscritto.
Sotto, mixer proveniente dagli Ardent Studios, ancora attivi in Madison Avenue. Cominciati nel 1966 dal quindicenne John Fry (adolescente di quei tempi là, oggi un quindicenne è ancora un bambino quasi) nel garage di famiglia, continuarono in uno spazio in comune con una libreria su National Street, fino all’attuale sede in Madison Ave dal 1971. La fortuna dello studio si realizzò con le eccedenze mandate da Stax, e tutti gli artisti soul del periodo prima o poi ne varcarono la soglia (Isaac Hayes, Booker T. & the MG’s, Bar-Kays, Johnnie Taylor, Rufus Thomas, Albert King, Staple Singers, Al Green, ma non solo), e a loro volta inviarono colleghi. Fu terreno di produzione per tecnici del suono e musicisti come Jim Dickinson e Terry Manning.
Naturalmente, come tutti i pochi studi storici ancora attivi, in tempi più recenti ha attirato musicisti di ogni genere in cerca di “quel certo suono del sud”. Alcuni sono i Fabulous Thunderbirds, Jimmie e Stevie Ray Vaughan, Leon Russell, ZZ Top, REM, Bob Dylan, Allmann Brothers, Lynyrd Skynyrd, James Taylor, John Hiatt, North Mississippi Allstars, Waylon Jennings, Steve Earle (tra la lista parziale degli artisti elencati nella tabella, ahimè, anche Zucchero, mentre hanno tralasciato Professor Longhair). Questa console è stata usata dal 1972 al 1986.
Sassofono appartenuto negli anni 1960 a Ben Branch, nome che conduce a Martin Luther King perché è a lui che il reverendo si rivolse nei suoi ultimi istanti. Parlò a Branch dal balcone della sua stanza al Lorraine Motel quando lo vide arrivare nel parcheggio di sotto, raccomandandogli di eseguire Precious Lord, Take My Hand “(…) like you’ve never played before. Play it for me. Play it real pretty”, riferendosi alla funzione della Southern Christian Leadership Conference in programma quella sera. Furono tra le sue ultime parole perché dopo poco cadde a terra colpito dal proiettile sparato dall’edificio di fronte.
Branch fu musicista influente e bandleader nella Memphis degli anni 1940/1950, suonando regolarmente al Club Tropicana, in Beale Street e nei club di West Memphis. Isaac Hayes cantò con la sua orchestra, e ‘Packy’ Axton, come molti, fu influenzato dal suo suono. Negli anni 1960 visse a Chicago collaborando alle lotte di Jesse Jackson e di Martin Luther King, e il 4 aprile 1968 era a Memphis per gli stessi motivi di Jackson e King, in supporto allo sciopero dei lavoratori della nettezza urbana.
Dulcimer donato a Elvis Presley da June Carter Cash nel 1974 circa
Chitarra Sears Silvertone, valigetta delle armoniche e disco Sun Trouble Bound di Billy Lee Riley.
Isana del 1958 acquistata da Elvis, sua unica chitarra durante la permanenza in Germania per il servizio militare.
Primo pianoforte di Ike Turner, che imparò a suonare da Joe Willie ‘Pinetop’ Perkins. Fu usato nel periodo di Rocket 88 e in qualche prima registrazione con Jackie Brenston, Howlin’ Wolf e altri da lui prodotti per conto di Modern Records.
Abito di scena di Johnny Cash, 1980 circa. Il man in black in quanto ad abbigliamento era tra i più sobri, tranne naturalmente quando indossava un Nudie suit (ma anche in quel caso con sfondo rigorosamente nero).
Gibson Signature Model ES-295, Scotty Moore Edition #001. Presentata a Moore nel 1999 dal presidente di Gibson Henry Juszkiewitz in riconoscimento del suo contributo allo sviluppo del rock ‘n’ roll e per aver invogliato gente come Keith Richards, Mark Knopfler, George Harrison a prendere in mano una chitarra.
Registratore portatile a nastro del 1950 circa usato da Sam Phillips per registrazioni sul campo, nelle zone rurali e nei juke joint.
Baule Stax per l’attrezzatura di scena di Isaac Hayes
Radio Truetone
Jukebox anni Cinquanta con dischi di Charlie Feathers, Billy Lee Riley, Booker T. & the MG’s, William Bell, Albert King, B.B. King, Howlin’ Wolf, Jackie Brenston, Johnny Ace, Bobby Bland, Junior Parker, Phineas Newborn, Beale Street Sheiks, Sleepy John Estes, Big Mama Thornton, Rufus Thomas, Ike Turner, Bill Harvey (per Harvey, v. anche l’articolo su Bobby Bland), Elvis, Carl Perkins, Sonny Burgess, Johnny Cash, J.L. Lewis, e altri. Alcuni di questi si possono ascoltare con l’audio guida.
Jukebox Wurlitzer con Charlie Rich, Ivory Joe Hunter, Harold Dorman, The Mar-Keys, Otis Redding, Willie Mitchell, Ace Cannon, Don Bryant, Sam & Dave, Wilson Pickett, Bill Black Combo, O.V. Wright, Otis Clay, Ann Peebles, Al Green, e altri. Nella primavera 2015 è stato inaugurato un altro museo, il Memphis Music Hall of Fame. Si può considerare un completamento del Rock ‘n’ Soul incentrandosi in particolare sui personaggi della musica di Memphis: è a soli due blocchi da qua, angolo tra Second e Beale, vicino all’Hard Rock Cafe e al negozio di Lansky. Per concludere, un personaggio che non c’entra con la musica, ma troppo pittoresco per ignorarlo.
Sputnik’s Breakfast Special: una colazione da campioni a 1 dollaro e 35. ‘Sputnik’ Monroe negli anni 1950 era uno dei wrestler più noti a Memphis. Nato Rosco Monroe Merrick, acquisì il nomignolo dopo che una donna a Mobile, Alabama, disturbata per averlo visto abbracciare un uomo di colore, per insultarlo gli disse: “You’re nothing but a damned Sputnik”. (1) In testa aveva una riga centrale di capelli bianchi, diversi tatuaggi sul corpo (al tempo non una moda come oggi), e spesso sfilava in Beale Street vestito Lansky. Ammirato dagli afroamericani, era contrario alla segregazione e non la rispettava incoraggiando a fare altrettanto; fu determinante nel superare la divisione tra pubblico nero e bianco nei luoghi di intrattenimento di Memphis.
All’altro lato del Rock ‘n’ Soul Museum c’è la Gibson Guitar Factory
Si è accolti da un’enorme Lucille
Parte dell’esposizione/negozio. Si può fare la visita guidata per vedere l’assemblaggio, il montaggio, la verniciatura, la smerigliatura, la messa a punto e altri processi coinvolti nella creazione delle chitarre.
112 Union Street, seconda sede della stazione radio WDIA, dal 1981 al 2004; ora pare ci sia una banca, ma l’insegna della radio c’è ancora. La prima sede, dal 1947, era 2267 Central Ave; l’ho cercata e non c’è più. In quello che potrebbe essere il 2267 c’è un parcheggio. L’indirizzo attuale dal 2004 è 2650 Thousand Oaks Boulevard suite 4100, dentro un complesso moderno, un business center che alla vista non m’ha invogliato a visitarla. Per sentirla ci si sintonizza sulla frequenza 1070 AM.
La stazione s’è meritata il marker storico dello Stato (però è Dwight Moore, non “More”): grazie a Nat D. Williams divenne una delle radio più note e influenti di tutto il sud. Si può dire che la carriera di B.B. King sia partita dalla WDIA. Vi arrivò dopo che la proprietaria di un club a West Memphis (Sixteenth Street Grill) gli disse che se voleva suonarvi sei sere alla settimana doveva avere, come il precedente musicista fisso del locale Sonny Boy Williamson, un programma radio in cui pubblicizzare le serate nel suo bar.
È noto che volò da WDIA e là improvvisò un jingle accattivante per il “medicinale” da banco Peptikon e il posto fu suo, rimanendovi fino al successo nazionale di Three O’Clock, nel 1952. Il precedente Peptikon Boy era il Be-bop Boy Joe Hill Louis, e il successivo fu Rufus Thomas. Goodwill è un fondo nato nel 1954, anche grazie agli sforzi di un dj della radio (A.C. Williams), per fornire trasporto scolastico a bambini afroamericani disabili, e nel tempo ha allargato i suoi obiettivi in campo sociale. Hanno anche raccolto fondi per la conservazione del Lorraine Motel e per fondare il National Civil Rights Museum, nello stesso sito.
Alla ricerca dell’ultima residenza di Memphis Minnie in Adelaide Street, che Cheseborough dà al n. 1355. Quel numero non esiste più, probabilmente era tra la casa tutta a destra e quella in mezzo. Visse qui con il suo ultimo marito e collega Ernest ‘Little Son Joe’ Lawlers dal 1960 circa fino alla fine (1973), insieme alla sorella di Minnie, Daisy. Minnie finì su una sedia a rotelle, asmatica e sofferente di cuore, Lawlers morì nel 1961. La residenza definitiva dei due è nel cimitero di Walls, Mississippi.
Da qualche parte in McLemore Ave, la stessa lunga arteria su cui sorgevano gli studi Stax Records (oggi Stax Museum of American Soul Music al 926 East).
Incrocio tra McLemore Ave e Willie Mitchell Boulevard
Miss Shirley’s Soul Food, dine-in or carry-out, su Mississippi Boulevard.
Wild Bill’s Lounge, 1580 Vollintine Ave. Juke joint storico di ‘Wild’ Bill Storey con cucina soul food, ancora attivo nonostante la scomparsa del titolare nel 2007 a 88 anni. È il classico locale afroamericano con pareti piene di foto e luci di Natale, ma adesso la sua clientela non arriva più solo dal vicinato. A volte c’è musica dal vivo (come quasi ovunque al venerdì e al sabato).
South Main Street. Al solito pochi pedoni, sarà anche il caldo. Memphis non è diversa da molte altre città americane: vanno tutti in macchina.
Non c’è molto da fare qui, a parte godersela perché è zona pedonale, è ombreggiata, c’è il trolley, e il Center for Southern Folklore (più sotto). In questo punto incrocia Gayoso Street (che finisce nel parcheggio del Peabody Hotel), oggi una via come altre, un tempo via dei bordelli più costosi e del jazz, tipo Storyville a New Orleans.
Sempre su South Main ma più a sud, fuori dalla zona pedonale e a due passi dal National Civil Rights Museum, c’è la Blues Foundation / Blues Hall of Fame. Sono rimasta fregata da quell’auto parcheggiata che copriva la vista e dall’ora tarda (venivamo proprio dal N.C.R.M.), e quindi non mi sono nemmeno avvicinata tanto era chiuso, non notando così che davanti c’è una bella statua realistica di Little Milton seduto su una panchina: l’ho scoperto solo a casa vedendo la foto in grande. Peccato, due chiacchiere con Milton sulla panchina le avrei fatte volentieri! La statua è stata posata qui nel 2015, e direi che s’ispira alla copertina del suo disco Think of Me (Telarc), sul Riverside con lo sfondo del Memphis-Arkansas Bridge (casualmente più o meno lo stesso punto della terzultima foto di questo articolo, anzi forse la panchina è proprio quella).
Il Memphis-Arkansas Bridge sul Mississippi lo prendiamo per andare a West Memphis a trovare Albert King.
Completato nel 1949, per due decenni ha regnato come unico ponte per l’Arkansas prima che fosse costruito il più elegante De Soto Bridge.
Più che i cartelli sono gli acquedotti, visibili da lontano, a segnalare il luogo. West Memphis, Arkansas, sembra molto più povera venendo da Memphis, ma ho avuto la stessa impressione perfino arrivandoci dal Mississippi.
Tomba di Albert King e monumento a Martin Luther King, in questo caso non è stato difficile trovare né il cimitero né la tomba. Il cimitero è lungo un rettilineo (Highway 147) in mezzo alla campagna e si chiama Paradise Gardens, 400 Minnis Dr, Edmondson, Arkansas. È enorme, e viaggiando per poche miglia su questa direttiva desolata fuori West Memphis, a Edmondson, è difficile non vederlo. Anche dalla strada si nota la tomba posta di fronte, anzi si vede prima il monumento a MLK (King è sepolto ad Atlanta), e in quel lotto ci sono solo loro due.
I’ll play the blues for you. Qualche plettro, niente fiori. La lapide era piena d’erba tagliata, l’ho pulita un po’ con le mani. La sua Flying V è giustamente orientata per un mancino. “Born under a bad sign…”
Free at last, thank God Almighty, I’m free at last
Di nuovo a Memphis, 119 e 123 South Main, al Center for Southern Folklore, associazione culturale senza scopo di lucro. Il cartello recita: Reasons to come inside: > Local / Regional art / Music > Tasty southern comfort / Food / Cold drinks > You’re DEFINITELY gonna want to hear about our MUSIC FEST! > IT’S COOLER IN HERE THAN WHERE YOU’RE STANDING!
Galleria d’arte, negozio, libreria, club, caffè, musica dal vivo e altri eventi.
Corridoio per il cafe/club, grandi spazi e molte belle fotografie d’epoca.
Siamo stati intercettati dalla gentile direttrice, Judy Peiser.
Il pianista Mose Vinson è stato di casa qui fino alla sua scomparsa, nel 2002. Suonava e dava lezioni a chiunque mostrasse interesse, che fosse un visitatore qualsiasi, un bambino, o un personaggio famoso tra quelli che sono passati a trovarlo, come Marcia Ball, la coppia di autori Leiber & Stoller, l’attrice Cybill Shepherd.
Il piano che ha usato per anni, messo a disposizione dalla pianista Di Anne Price nel 1996. Nel negozio del centro si può acquistare il suo CD “Mose Vinson, Piano Man” registrato al Sam Phillips Recording Service del figlio di Sam, Knox, da quest’ultimo prodotto insieme a Jim Dickinson e Judy Peiser.
(Hernando) De Soto Bridge
Finito nel 1972, si trova più a nord rispetto all’altro ponte ed è diventato rappresentativo della città, dalla forma a M come Memphis.
De Soto Bridge e Memphis Pyramid. Quest’ultima rammenta le origini egiziane del nome greco-latino (Memphis) della città sulle rive del Mississippi, dall’antica città di Menfi sul Nilo. Partita come arena sportiva, ora è sede di un grande Bass Pro Shop, un hotel, un ristorante, negozi, con un osservatorio in cima.
Passeggiata sul Riverside, con il Memphis-Arkansas Bridge.
Oltre alla bella vista è un posto tranquillo e piacevole
Old Mighty Mississippi
Giochi di ragazzi sul fiume al tramonto
(Fonti: Steve Cheseborough, Blues Traveling, The Holy Sites of Delta Blues, University Press of Mississippi, Jackson, 2009, III ed.)
- Il satellite russo lanciato nello spazio nell’ottobre 1957: in USA a quei tempi ogni riferimento al comunismo era un’offesa.[↩]
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