New Orleans 2010 – pt 1
Si prevedeva di finire a New Orleans sulla stessa autostrada che ci ha portato fino a Baton Rouge, la comoda I-10 che accompagna in città seguendo il Mississippi. Dalla cartina però m’accorgo che salendo su un breve tratto a est, I-12, s’arriva giusto all’imboccatura del Pontchartrain Causeway, lunghissimo ponte attraversante il grande lago omonimo che sovrasta New Orleans. Anche se il percorso è un po’ più lungo la proposta della deviazione è accolta favorevolmente: è il modo più spettacolare per entrare nella Crescent City.
Il Pontchartrain Causeway è formato da due ponti, ognuno per senso di marcia, che si srotolano sul lago per quasi quaranta chilometri. Sembrano non finire mai e per un bel pezzo non si vede terra, solo acqua tutt’intorno. Nella foto sopra il tratto finale. In fondo si scorgono le sagome più alte di Metairie. Il profilo di New Orleans invece comincia a stagliarsi sulla sinistra, nella umida canicola estiva.
Pontchartrain Lake. Foto prese in corsa, il finestrino è filtro per la luce accecante. Il limite di velocità qui è di circa cento km/ora. Mi va bene non correre troppo perché sono in estasi: tempo sereno, dolci ore tardo-pomeridiane, acqua e silenzio, New Orleans sempre più vicina e musica jazz della stazione WWOZ nell’aria.
Water tower della Jefferson Parish. New Orleans è tutta un groviglio di cavi sospesi come questo; non certo un’eccezione comunque, ovunque negli USA ce ne sono di simili, motivo per cui quando ci sono forti temporali interi quartieri rimangono senza corrente.
Il ponte sbarca a Metairie, dov’è uno dei più spettacolari cimiteri della città, nella “contea” Jefferson, e ci si ricongiunge alla I-10 (Pontchartrain Expressway) scivolando verso Downtown, passando nei pressi della Tulane University e del quartiere Mid City dove ogni anno si tiene il Jazz and Heritage Festival sul terreno del luna park, sfiorando il Superdome, l’ex-quartiere Storyville, e arrivando nel Central Business District.
Avendo impostato l’indirizzo di un B&B di Algiers, quartiere al di là del fiume Mississippi, pensavo che il navigatore ci avrebbe condotto su un ponte. Invece senza aspettarcelo ci ritroviamo con l’auto sul traghetto, il Canal Street Ferry Boat, giusto alla fine di Canal Street, che parte subito. Qui sopra hanno girato una delle scene più tristi della serie Tremé della prima stagione.
«Scaraventammo la macchina sul ferry-boat di Algiers e ci ritrovammo ad attraversare col battello il Mississippi […] la fumosa New Orleans si allontanava da un lato; la vecchia, sonnolenta Algiers con i suoi contorti confini boscosi ci veniva incontro dall’altro. Alcuni negri lavoravano nell’ardente pomeriggio, attizzando le caldaie del ferry-boat che ardevano rosse e facevano puzzare le nostre gomme». (1)
Creole Queen e Natchez ormeggiate al Riverfront
The Mighty Mississippi e i ponti per Algiers
Algiers è bella soprattutto al tramonto quando da Algiers Point si può ammirare il sole scendere dietro il profilo di New Orleans.
Questo bed & breakfast (anche nella foto sopra, la casa rossa) mi ha attratto fin qui solo per il nome, si chiama infatti House of the Rising Sun (335 Pelican Ave).
La padrona ci sente arrivare ed esce ancora prima di fare in tempo a suonare, informandoci che è chiuso per restauro.
Meglio, forse non è la soluzione più adatta a una famiglia, neppure per praticità, al di là che di sera il posto può diventare un po’ pericoloso. La zona ha comunque un suo fascino e merita una visita.
Siamo nel distretto storico di Algiers Point, a due passi dal ferry boat e dall’Old Point Bar (545 Patterson Street), locale informale con musica dal vivo (in Mississippi si chiamerebbe juke joint) ad altri due passi dalla riva, da dove oltre il fiume si vedono i dirimpettai French Quarter e Faubourg Marigny. Sotto, casette storiche di Algiers.
Non ciò che s’intende per “vivere sotto un ponte”, ma certo non una sistemazione auspicabile, anche se questi sono i bellissimi ponti che caratterizzano New Orleans.
In bella vista l’immancabile cimitero all’europea. I cimiteri qui sono memoria storica e meta turistica. Le tombe non sono sottoterra, ma in cripte sopraelevate. La città è due metri sotto il livello del mare, e ai tempi dei primi coloni le bare messe a terra galleggiavano come barche perché le fosse si riempivano velocemente d’acqua. L’idea di bucare le bare per farle affondare non fu geniale, in quanto i cadaveri a volte erano risucchiati dall’acqua fuori dalle tombe e finivano nelle strade, soprattutto durante le notti tempestose. Sembra un noir al cinema, invece è solo uno degli aspetti reali che rendono New Orleans decadente e misteriosa. Oggi ci sono più di quaranta cimiteri, chiamati anche “città dei morti”; i più antichi e visitati sono quelli di St Louis 1 e 2, non lontano dal quartiere francese.
Il ferry-boat parte ogni mezz’ora e se si è a piedi è gratuito. Bisogna fare attenzione perché l’ultima corsa parte a mezzanotte da Canal e non torna indietro fino al mattino seguente. Passare una notte al cimitero potrebbe essere suggestivo, ma non da tutti. Altrimenti se si ha l’auto si prende il bellissimo Greater New Orleans Bridge (sotto), come abbiamo fatto al ritorno.
La scenografica coppia (divisi per senso di marcia), nota anche come CCC, della US 90, collega a New Orleans Algiers e le altre frazioni a sud-est oltre il fiume Mississippi, come Gretna e Terrytown. Anche queste prese in corsa.
Il Warehouse District (sotto) è un quartiere con abitazioni recuperate da fabbriche in disuso. Qui ci sono diversi musei, tra cui il Contemporary Arts Center dove ho visto il concerto LA Fete Cultural, e il Lee Circle, rotonda in cui campeggia la statua del generale confederato Robert E. Lee (ma che secondo un personaggio di Treme si dovrebbe invece riferire a Lee Allen, caratteristico sassofonista del New Orleans R&B anni 1950).
Da lì passa Camp Street, dove troviamo alloggio; la zona è buona ed è vicino al quartiere francese, basta solo attraversare Canal Street. Non conviene dormire nel quartiere francese, gli alberghi sono piuttosto cari e quelli che non lo sono eccessivamente lo sono comunque in rapporto alla qualità.
Sotto, Canal Street, lunga via che divide il distretto commerciale dal quartiere francese. È piena di negozi, molti vendono cianfrusaglie per turisti, ma cambiano genere a seconda della zona. Qua l’ultimo giorno ho scoperto un negozio di dischi non male, Odissey, senza però paragone con L.M.F. (v. New Orleans, Pt 2). Gli schermi mandano registrazioni di concerti, il proprietario parla volentieri di musica e ha una discreta scelta.
“We’re Jazzed You’re Here!” è uno slogan di benvenuto e titolo di una campagna per il turismo. Qui passa una delle tre storiche linee di tram, chiamati streetcar, la Canal line. Le altre sono Riverfront line, lungo il fiume Mississippi, e la St Charles line, su St Charles Avenue.
Parte della loro celebrità la devono a Tennessee Williams (Un tram chiamato desiderio), e sono i più vecchi al mondo ancora in attività; il sistema tranviario risale a centocinquanta anni fa. Sono mantenuti, e speriamo lo siano a lungo, più perché sono un segno distintivo che per vera necessità; offrono infatti un servizio molto limitato, ma sono molto amati dai turisti e dai locali.
Su Decatur il luogo più noto e cartolina tipica di New Orleans: le carrozze trainate da muli, in attesa sotto un sole inflessibile o la pioggia scrosciante, davanti al cancello di Jackson Square, la scultura di Andrew Jackson, eroe della Battle of New Orleans, e sullo sfondo la St Louis Cathedral con a fianco il Cabildo e il Presbytere (vedremo meglio in un prossimo articolo).
Insegna di uno dei ristoranti Brennan’s, il Bourbon House, in Bourbon Street all’incrocio con Iberville. Il Brennan’s originale, cuore dell’impero di famiglia, ha più di cinquant’anni ed è al 417 Royal Street, nella vecchia Casa Faurie. La cucina è franco-creola ed è famoso per le sontuose colazioni. La Steakhouse invece si trova all’altro angolo dell’isolato, a pochi passi da qui.
Il French Quarter, o Vieux Carré, è l’area ove si concentrano i turisti. In realtà è più in stile spagnolo. Il quartiere francese originale, infatti, è stato in gran parte distrutto (ben 856 edifici) dal grosso incendio del 1788, e un altro incendio sei anni dopo ha portato via duecento nuove costruzioni. Fu il governatore Carondelet a ordinare che da quel momento tutte le costruzioni dovevano essere di mattoni, con tetti piastrellati di ardesia.
Ancora Bourbon, Galatoire’s, noto e vecchio ristorante creolo fondato nel 1905 da Jean Galatoire, e rimasto della stessa famiglia per generazioni; l’edificio risale al 1831. Altri ristoranti creoli storici sono Arnaud’s, 813 Bienville, risalente al 1918, Antoine’s, 713 Saint Louis, Broussard’s, 819 Conti, e il cajun K-Paul’s Louisiana Kitchen, 416 Chartres, del famoso chef Paul Prudhomme, il più recente tra questi, ma altrettanto rinomato. Questi sono i più famosi e non i più economici, ma a New Orleans si può mangiare bene anche spendendo meno. I terrazzi con le ringhiere decorate sono tra le più belle tipicità del French Quarter.
Gumbo Ya Ya vende di tutto, magliette, bamboline voodoo, e le famose praline. La tovaglietta a scacchi bianca e rossa nel sud degli USA equivale a “cajun”, in particolare riferimento alla cucina.
Ci sono cavi elettrici in vista ovunque, a cui spesso sono appese collane del Mardi Gras.
Ogni sera in Bourbon Street si svolge il festival della bevuta. È la via licenziosa per eccellenza, un po’ fautrice e un po’ vittima della sua fama, e in generale tutto il Vieux Carré, dato il grande afflusso di turisti che s’aspettano divertimento notturno sfrenato, ha assunto carattere un po’ pompato e consumistico, ma è pur sempre il luogo in cui la città è nata e cresciuta, il fulcro della sua storia, la culla del jazz, con un’attrattiva estetica unica.
I pezzi di ricambio (per varie finiture come maniglie, serrature, ferramenta varia, e altro materiale) sono forniti da aziende specializzate nel far sembrare antichi prodotti odierni.
Al mattino il quartiere ha un aspetto molto diverso dalla sera, e pare interessare pochi turisti; c’è magari ancora qualche ubriaco che arranca verso un letto, ma soprattutto gente diretta al lavoro, furgoni che portano merci e commercianti che lavano i marciapiedi con getti d’acqua.
Statue di Fats Domino, Al Hirt e Pete Fountain nel Musical Legends Park, sede di una fondazione e di un locale, Café Beignet, con jazz tradizionale dal vivo nella piazzetta. I beignet sono paste da colazione (niente a che fare con i nostri bigné) ricoperte da zucchero a velo, una specie di frittelle tipo i nostri dolci di carnevale.
Nouvelle Orleans è stata fondata nel 1718 dall’esploratore franco-canadese Jean Baptiste LeMoyne de Bienville, la cui statua è in North Peters / Decatur Street. Già il generale La Salle nel 1682 aveva preso possesso delle terre attorno al fiume per Luigi XIV, ma c’era bisogno di una capitale sul Mississippi per proteggere la Francia dalla competizione con gli inglesi e gli spagnoli nella conquista del Nuovo Mondo.
La nuova città crebbe nonostante le epidemie, gli uragani, le frequenti inondazioni, i conflitti e la corruzione all’interno della colonia. I residenti erano uno strano miscuglio: aristocratici europei, soldati, professionisti della speculazione, e indesiderati mandati per liberare le galere di Parigi arrivati qui su navi stipate.
Sotto, Ursuline Convent, 1110-2 Chartres Street. Il convento, esempio dell’architettura francese tipica delle colonie, è un pezzo di storia notevole, non solo per New Orleans ma per gli interi States: risale al 1745, ed è l’unico edificio rimasto dopo il grande incendio.
Le suore Orsoline arrivarono nella colonia nel 1727 per prendersi cura della comunità. Fondarono le prima scuole e orfanotrofi, e s’impegnarono a ospitare e selezionare mogli per i residenti, dietro richiesta di Bienville. Erano ragazze povere ben educate e adattate al ruolo, soprannominate casket girls perché arrivavano con tutto ciò che avevano, un baule di vestiario fornito dal governo francese per il lungo viaggio. Rintracciare nel proprio lignaggio la discendenza da una casket girl è da sempre motivo di prestigio. La posizione era strategica: il fiume è solo a due isolati.
La chiesa del convento, naturalmente cattolica, Saint Mary’s.
Famous Door, uno dei locali più noti e antichi su Bourbon, fondato nel 1934 e, sotto, il terrazzino del Bourbon Street Blues Company. I locali del quartiere francese sono sempre vivaci e affollati, ma non sono necessariamente quelli dove ascoltare la musica migliore.
Gli allevatori tedeschi avevano difficoltà nel bonificare e coltivare le terre intorno alla città, così quando nel 1755 arrivarono nella colonia gli acadiani espulsi dal Canada (gli antenati dei cajun di oggi), per tradizione cacciatori e pescatori, a questi vennero concesse molte terre. Gli acadiani si tennero lontano dalla vita cittadina, trovando nelle campagne paludose uno stile di vita simpatetico al precedente. A dare un altro contributo alla cultura mista del nuovo insediamento i continui arrivi di schiavi almeno per un secolo ancora, dall’Africa e dalle West Indies, gli attuali Caraibi; non tutti schiavi, alcuni erano liberi. Durante gli anni 1790 gli esuli da Santo Domingo, educati e di lingua francese, portarono qui la loro musica, il teatro, i metodi educativi e il loro carattere molto energico. E poi altri esploratori, esuli, patrioti, pirati, regine del Voodoo e re del Mardi Gras.
Nel 1762 Re Luigi XV diede la Louisiana a suo cugino, Charles III di Spagna. Abbandonati dalla Francia e non interessati a diventare spagnoli, i coloni cominciarono a discutere la formazione di una repubblica. L’ideale romantico di indipendenza dei primi ufficiali spagnoli finì bruscamente con l’arrivo di tremila soldati guidati da Alexander O’Reilly, a conquistare la colonia per la Spagna. Data la sanguinaria propensione di Alexander nel condannare a morte i patrioti francesi, egli divenne noto come Bloody O’Reilly.
Sotto, caratteristici anche i lucernari sui tetti, e i lampioni. Questo locale con musica dal vivo si chiama Old Opera House perché di fronte stava il vecchio teatro d’opera francese. Sul muro c’è una placca di piastrelle, comune nel quartiere francese (e nella Spagna odierna) con i vecchi nomi delle vie durante la dominazione spagnola. In questa in Toulouse Street (Rue Toulouse, ci sono sempre anche i nomi francesi nel campo bianco nella parte superiore del cartello) c’è scritto: When New Orleans was the Capital of the Spanish Province of Luisiana, 1762-1803, this street bore the name Calle D Tolosa.
I coloni ridimensionarono velocemente la dominazione spagnola e i matrimoni tra spagnoli e francesi divennero comuni, dando origine a una nuova etnia. Le persone nate da queste unioni furono chiamate “creole”, termine che s’allargò anche alla cucina e in generale alla cultura che si sviluppò in questa comunità. Nel 1803 la Louisiana fu di nuovo trasferita dalla Spagna alla Francia, e poi venduta da Napoleone agli Stati Uniti. Gli abitanti si sentirono traditi per esser stati venduti ai “barbari” (per molti di loro, gli unici americani mai visti erano gli uomini rozzi e incolti nei battelli sul fiume), e non accolsero bene i nuovi arrivati. Southern Comfort in giro per i rifornimenti.
Gli anglosassoni, per la maggior parte puritani, trovarono la società creola cattolica impenetrabile e disapprovandone lo stile di vita cominciarono a costruire fuori dal quartiere francese, dall’altra parte di Canal Street. Anche se i due fronti si unirono durante la Battle of New Orleans (1815), per la maggior parte il Vieux Carré rimase la zona creola di lingua francese, mentre una nuova città di lingua inglese stava sorgendo fuori. Nacque così l’area oggi chiamata Garden District, ora un quartiere periferico di lusso (oltre i ponti della US 90, sotto Uptown), allora una città a parte (Lafayette) in stile vittoriano.
Grazie alle piantagioni di canna da zucchero l’industria dello zucchero acquisì sempre più importanza, e con l’introduzione dei nuovi battelli a vapore (1812) per New Orleans cominciò la Golden Age diventando il perno commerciale di tutta la valle del Mississippi e un porto internazionale. Gli anni tra il 1830 e l’inizio della Guerra Civile furono i più floridi in assoluto. Gli americani costruirono grandi dimore lungo Coliseum Square, facendo fortuna negli affari di mediazione, finanziari e commerciali, mentre il benessere dei creoli era strettamente legato alle piantagioni di zucchero. Nel Vieux Carré i creoli proprietari di piantagioni edificarono belle case di città accanto a quelle di ricchi mercanti, banchieri e avvocati.
Il Garden District si sviluppò fino al 1900, compreso tra St Charles Ave a nord e Magazine Street a sud. È un distretto storico d’importanza nazionale; come il quartiere francese è preservato da abusi edilizi, ed è in assoluto uno dei meglio conservati agglomerati di architettura vittoriana.
Sotto, negozio di sigari gestito da cubani.
Terrazzo con ringhiera in ghisa merlettata, rappresentante la ghianda e la foglia di quercia. Queste galleries (nome francese) appartengono a LaBranche House, 700 Royal St.; girato l’angolo proseguono più a lungo, ma non ho potuto far meglio dalla carrozza in movimento di Cosimo, mulattiere tra quelli che sostano alla cattedrale di St Louis in attesa di caricare turisti. La casa apparteneva a Monsieur LaBranche, che in realtà era tedesco, costretto a cambiare nome dalle autorità francesi. Era una pratica comune con i tedeschi, e avendo tolto ogni traccia anagrafica oggi sembra che non ci siano discendenti a New Orleans, ma non è così. Anche i soldati spagnoli presero l’abitudine di adottare i cognomi delle mogli francesi. Royal Street (Rue Royale, Calle Real) una volta era la strada principale del Vieux Carré, forse per questo mostra più ornamenti delle altre.
Il quartiere francese ha diverse belle facciate e begli angoli grazie a questi terrazzi con ringhiere decorate che ampliano e ammorbidiscono l’edificio, e questo della LaBranche House è uno dei più vistosi. Quando venni una delle prime volte qui c’era il Royal Café, dove si pranzava sul terrazzo con vista sul quartiere. Altri esempi di terrazzi merlettati in Royal Street sono in New Orleans, 1987.
I galleries sono più tipici e spaziosi dei balconies, hanno il supporto di pilastri a terra, e proteggono meglio i marciapiedi (banquettes) dal sole e dalla pioggia, entrambi frequenti. I balconies sono come i nostri balconi, più stretti e senza pilastri. Ai tempi in cui non c’erano l’aria condizionata e la televisione, i balconi e le gallerie erano più che un decoro: sotto servivano a proteggere dal sole e sopra offrivano lo spettacolo del viavai.
Gallerie in St Peter Street. Durante la sua golden age New Orleans era la città più ricca degli Stati Uniti, da non credere oggi. Il “bel mondo” era concentrato qui. Balli eleganti, intrattenimenti stravaganti, arredamenti sontuosi, arrivo di forniture alla moda dall’Europa, teatri dell’opera affollati, corse di cavalli, e mentre i signori si impratichivano nella scherma i loro figli erano mandati a scuola in Europa. Stili di vita contrapposti convivevano: da una parte rigidi codici cavallereschi, forte religiosità, ossessione per l’onore e le tradizioni di famiglia, dall’altra edonismo sfrenato, superstizione e vizi. Il gioco d’azzardo metteva d’accordo tutti, sia gli aristocratici che la gente del porto vi si dedicava, ma i suicidi dovuti alla perdita di fortune familiari o di intere piantagioni non erano rari. Scommesse anche per i combattimenti di galli e di altri animali, e combattimenti tra persone per difendere l’orgoglio o l’onore del clan. Nonostante i duelli fossero illegali, c’erano almeno una decina di “tenzoni” ogni domenica mattina, tra sconosciuti come tra conoscenti.
Casette storiche in Bourbon Street. La bandiera è quella adottata da alcuni tifosi dei Saints, l’amata squadra di football della città. Nel campo blu ci sono tanti piccoli fleur de lis. Il giglio, sovente di colore giallo, è il simbolo della città e si trova stampato ovunque.
Il voodoo arrivò nella colonia durante il 1700, con gli schiavi provenienti dalle West Indies. Nonostante i creoli fossero cattolici legati alla Chiesa Romana, e gli americani devoti al loro Cristianesimo, il voodoo diventò pratica comune, un potere in grado di aggiungere influenza a ogni questione, come conferma anche Dr John nella splendida Marie Laveau, dedicata alla Voodoo Queen per eccellenza:
To the voodoo lady they all would go
The rich, the educated, the ignorant and the poor
Sotto, Napoleon House (altro angolo conquistato dalla carrozza), 500 Chartres St., edificio del Settecento inserito nel registro nazionale dei luoghi storici, in origine acquistato dalla famiglia Girod. Si chiama così perché colui che fu sindaco di New Orleans dal 1812 al 1815, Nicholas Girod, offrì questa sua residenza per accogliere Napoleone Bonaparte qualora si fosse concretizzato un complotto ordito per liberarlo dall’esilio nel 1821, ma com’è noto il generale morì il 5 maggio, pare tre giorni prima della presunta attuazione del progetto. Il palazzo nel 1920 fu rilevato da Joseph Impastato, che aggiunse una taverna all’emporio che già vi aveva aperto nel 1914, deliziando i clienti con musica d’opera sul suo grammofono Victrola. Negli anni l’attività passò al fratello e poi al figlio di questi. (2)
Attorno al termine “creolo” nel tempo s’è generata confusione. Come detto, all’inizio significava persona nata all’interno della colonia con genitori misti francesi e spagnoli, in seguito fu applicata a ogni persona bianca nata a New Orleans, e alla cultura sviluppata in quel contesto. Inoltre, si autodefinivano di etnia creola le persone di colore libere perché spesso erano di discendenza mista (tipo i quadroon, con un quarto di negritudine), i cui discendenti ancora oggi si definiscono tali. Un altro motivo di confusione attorno a creole è dovuto al fatto che, durante i primi due secoli dell’epoca schiavista, ci si riferiva così al dialetto parlato dagli schiavi sotto la dominazione francese. Oggi il termine si usa soprattutto per definire il tipo di cucina.
Royal Street e sullo sfondo i palazzi di Canal e del Central Business District. Sulla sinistra, The Court of Two Sisters, ristorante storico di medio prezzo, dentro un vicolo. Il posto è delizioso e ampio, c’è un cortile ombreggiato e un jazz brunch giornaliero dalle 9 alle 15. Fanno cucina creola, dalla jambalaya all’andouille gumbo, e sono disposti a far vedere i piatti prima di ordinare. L’andouille è l’equivalente della ‘nduja, salame tipico del nostro meridione.
Ingresso alla Preservation Hall, 726 St Peter (v. anche New Orleans 1987). Di giorno è chiuso trattandosi solo di una saletta in cui tutte le sere, in più turni, si svolge il concertino di jazz tradizionale per turisti; consuetudine che dura da decenni. L’aspetto vissuto è, naturalmente, mantenuto di proposito. Impossibile elencare qui tutti i locali in cui si suona, da tanti sono. Comunque, a parte la stazione radio WWOZ che giornalmente elenca la maggior parte dei concerti serali, per la lista del momento si può recuperare una copia di Offbeat, mensile musicale gratuito.
Casette tipiche del sud in St Peter; New Orleans ha molte double shotgun house come queste.
Altrimenti, sempre per i locali e la musica, il Times-Picayune del venerdì. È lo storico quotidiano simbolo di New Orleans in cui lavorò William Faulkner, e ancora oggi è ai vertici del giornalismo americano. Non ho avuto abbastanza tempo né coraggio per visitare la redazione, ho solo visto la torretta con il nome passandoci accanto sul Pontchartrain Expway (I-10), non lontano dal Superdome. Altra fonte di informazioni sugli spettacoli è il settimanale Gambit. Dal sito di WWOZ si può inoltre stampare con largo anticipo la scaletta dei concerti.
Ulteriore evoluzione della singola shotgun house, che da doppia diventa “quadrupla” con un secondo piano (come l’ultima casa in cui visse Prof Longhair, v. New Orleans pt 2), in Dauphine Street, ancora French Quarter ma in zona meno centrale. L’area della città vecchia è un rettangolo chiuso a nord da Rampart, a ovest da Canal, a est da Esplanade, e a sud dal fiume Mississippi (vie Decatur e North Peters).
La golden age di New Orleans fu interrotta bruscamente dalla Guerra Civile. Le truppe dell’Unione occuparono la città in quindici anni di corruzione, accuse, condanne, scontri e battaglie per strada.
Per i molti schiavi fu un periodo di speranza per l’entrata nella vita sociale, economica e politica. La fine della guerra marcò una svolta totale rispetto a pochi anni prima, anche perché terminò l’era dei grossi commerci via mare cominciando quella dei trasporti su rotaia, e tra i creoli bianchi e gli americani non ci fu più una divisione netta. Con la fine degli anni della Ricostruzione, però, l’iniziale crescita individuale degli ex-schiavi si trasformò in segregazione, soprattutto dopo l’abbandono delle truppe del Nord.
Sopra, altre shotgun house in St Peter. Sotto, North Rampart Street all’incrocio con Canal; a sinistra il fianco del Saenger Theatre, dove suonava un’orchestra con Louis Prima. Il lato opposto del Saenger dà su un’altra via storica entrata nel jazz, Basin Street.
La post-Ricostruzione vide anche aumento della corruzione, del gioco d’azzardo, della prostituzione, del crimine: erano gli anni 1880. Nel 1897 un assessore, Sidney Story, promulgò una legge il cui scopo voleva essere quello di contenere le attività illegali, facendo in modo che fossero meglio controllabili all’interno di due distretti dedicati: nacque così Storyville, noto anche come The Red Light District, o anche solo The District. Storyville era un quadrato tra Iberville a ovest, Basin a sud, St Louis a est (dove sono i cimiteri St Louis 1 e 2), al confine con il quartiere Tremé, e N Robertson a nord. Sotto, tra Canal e Basin.
Storyville divenne spettacolo a cielo aperto di vizio legalizzato e maggior attrazione cittadina, attirando uomini in cerca di sporting life e bordelli. Il distretto prosperò fino alla sua chiusura, nel 1917. Difficile affermare con sicurezza che il jazz sia nato proprio là come leggenda vuole, ma certo a Storyville i musicisti fecero scuola suonando ininterrottamente nelle sale gioco; nel jazz tradizionale sono citate vie come Basin, St Louis e Rampart. Quando il distretto fu chiuso qualche jazzista si trasferì al nord, seminando il verbo in città come Chicago, ma molti rimasero continuando a sviluppare questa forma artistica dal principio basata sull’improvvisazione.
Il programma di House of Blues, 225 Decatur Street, non è chiarissimo ma è un’opera d’arte.
Howl at the Moon, nato come luogo di duelli tra pianisti, ma oggi non credo: passando non ho mai sentito pianoforti. Può essere anche divertente per qualcuno, ma la musica è pompata al massimo; del resto è una catena e si trova su Bourbon Street. Come tutti i locali nel quartiere francese, alla sera ha le porte spalancate per invogliare a entrare.
Fu durante il XIX e l’inizio del XX secolo che arrivarono tanti immigrati dall’Irlanda e poi dalla Sicilia, mischiando ulteriormente la già complessa e pittoresca cultura sociale. Forse il retaggio culinario più italiano di tutti è la siciliana muffuletta, pronunciata “maff-oh-lot-tah”, o semplicemente muff. È un pane di forma rotonda al sesamo e per estensione il nome del gigantesco sandwich di formaggio, insalata e affettati “italiani”. Uno dei posti migliori per i sandwich dagli anni 1940 è Liuzza’s, 3636 Bienville Street, Mid City, dove però il pane è di tipo francese, diventando quindi frenchuletta. Insieme ai po’ boys, sono di diritto i panini di New Orleans.
Ad ancora prima risale il piccolo ma importante impero di Angelo Brocato, Brocato Ice Cream, 214 North Carrollton Ave, sempre a Mid City. Il tema è la gelateria e pasticceria italiana e il posto è noto come Brocato’s. I siciliani portarono buone cose nella cucina e nella musica di New Orleans (Nick LaRocca, Louis Prima, Cosimo Matassa, e tanti altri), ma anche la mafia trovò terreno fertile.
Sotto, negozi del Vieux Carré, variopinte trappole per turisti.
Pezzi di swamp, piume e collane del Mardi Gras di tutte le forme, colori e dimensioni, magliette, scatole con ingredienti misteriosi, oggetti voodoo, organizzazione di funerali jazz, bancomat, souvenir d’ogni tipo. Qualcosa che molti hanno in comune è la bellissima musica trasmessa dagli altoparlanti, motivo che mi ha sempre spinto a entrare. Sembra che abbiano tutti lo stesso “bobinone” di eccellente R&B e funk d’annata nel particolare e riconoscibile stile di New Orleans.
All’inizio del Ventesimo secolo molti creoli avevano perso le loro fortune, oppure s’erano spostati lungo Esplanade Avenue. Le loro eleganti dimore del Vieux Carré si trasformarono in caseggiati popolari per i nuovi immigrati, con i fili del bucato tesi tra gli ornamenti dei caratteristici terrazzi, e alcune divennero fatiscenti per incuria.
Fu la comunità degli artisti bohémienne negli anni 1920 a riscoprire e valorizzare l’antico quartiere, recuperando molti vecchi palazzi come studio/abitazione, mentre altri furono venduti ai ristoratori.
La Vieux Carré Commission, fondata nel 1936, bloccò i tentativi di modernizzare, alterare o distruggere le architetture storiche. Anche molte antiche magioni del Garden District sono state conservate, mentre alcune in St Charles e Esplanade sono andate perse.
Sono stati preservati gli edifici in cui abitarono Tennessee Williams (nel 1938-39), 720 Toulouse, allora una casa con camere ammobiliate, e William Faulkner, al 624 del caratteristico Pirates’ Alley, un piccolo appartamento in affitto dove scrisse il suo primo romanzo, La paga del soldato, nel 1925.
Diverso destino hanno avuto la maggior parte delle case dei musicisti afroamericani più geniali del secolo scorso, nati o vissuti qui, a partire da Louis Armstrong (ne parlerò in un prossimo articolo).
Il modesto appartamento in cui Lafcadio Hearn scrisse le sue storie su New Orleans si trova al 516 Bourbon, in una palazzina a due piani con mattoni a vista.
Arrivò nel 1877 e fu figura assai nota nel quartiere francese, dove rimase per dieci anni. Ammiratore di Marie Laveau, povero in canna, mezzo cieco, scrisse soprattutto per i giornali affascinato dalla cultura, dai costumi, dall’architettura e dalla mescolanza di lingue della sua città adottiva. Gli è stato fatto tributo in “Treme” in uno degli ultimi episodi della prima serie, in cui sono lette alcune sue righe sulla situazione della città ai tempi, rimarcando che poco è cambiato da allora riguardo al lassismo e alla corruzione.
Il Voodoo fu introdotto dagli schiavi provenienti dalle West Indies. Erano africani portati nei Caraibi dagli schiavisti in attesa di essere smistati: uno stazionamento in cui venivano valutati e istruiti per il lavoro al quale erano destinati, in particolare come servitù, e nel frattempo erano anche convertiti al Cristianesimo. Sotto i britannici gli africani furono catechizzati al cristianesimo protestante, con gli spagnoli e i francesi al cattolicesimo; nelle isole francesi gli schiavi mischiarono i loro rituali e convinzioni religiose con il cattolicesimo. Fu così che si formò un nuovo culto, il Voodoo. Arrivando gli schiavi di New Orleans per la maggior parte dalle isole francesi, fu importato il loro particolare bagaglio di credenze.
Altare dei desideri rivolto a Marie Laveau, nel negozio Voodoo Authentica, 612 Rue Dumaine, dedicato a tutto ciò che riguarda la pratica voodoo e centro culturale che organizza eventi. Vi si possono trovare gris-gris bags per ogni campo in cui si desidera fortuna (meglio prenderne per tutti, già che ci siete), bamboline voodoo, pozioni, olii, polveri colorate atte a qualsiasi scopo (sempre benefico) opportunamente compresse dentro boccettine, inoltre ci si può impratichire riguardo i rituali e farsi leggere il futuro. Naturalmente prevale l’aspetto commerciale, ma conviene lasciarsi un po’ andare. Alcune bamboline sono graziose; ce n’è di tutti i tipi, e le big lips doll sono da portare a casa anche se non volete infilzarle di spilloni. Molti tra questi oggetti sono fatti a mano, quindi nei negozi artigianali se ne possono trovare di tipi e fatture uniche. Ci sono anche i juju guardian, statuine di legno e stoffa con maschera sul viso e piume sul capo, protettori dalla negatività e dal male.
Bisogna scrivere il proprio desiderio su un foglio di pergamena, avvolgerlo attorno a un’offerta (dalla bottiglietta alla sigaretta, dall’elastico per capelli alle monetine) e metterla nel contenitore. Suggeriscono inoltre di mettersi sull’inginocchiatoio per un po’, focalizzando il desiderio. Che la benedizione di Great Mam’zelle Marie Laveau possa essere sempre con te, conclude. Nell’altro foglio c’è la sua storia. Forse nata nel 1794, a New Orleans o Santo Domingo, e morta nel 1881, era una free woman of color di tipo quadroon (africana, indiana, francese e spagnola), cioè mulatta, e diventò la più famosa Voodoo Queen, conosciuta anche come “the Pope of Voodoo”.
Prima di diventare sacerdotessa aveva fatto la parrucchiera nelle dimore delle signore benestanti, imparando a raccoglier confidenze e affinandosi nella tecnica di ascolto/conforto. Dimostrò altruismo da crocerossina prestando servizio come infermiera durante l’epidemia di febbre gialla. Dato che era una devota cattolica, si guadagnò il rispetto (o forse il timore) dei sacerdoti, ed ebbe il permesso di eseguire i suoi rituali voodoo addirittura alla St Louis Cathedral, dove la gente accorreva numerosa. Fu molto amata, rispettata, temuta, ed ebbe quindici figli, una dei quali, Marie Philomene Laveau, diventò anche lei sacerdotessa. Le due figure nel tempo sono state un po’ confuse tra loro, perciò alcune delle notizie tramandate non si sa di certo a chi si riferiscono. La sua tomba al St Louis #1 Cemetery è molto frequentata e piena di offerte, anche se (naturalmente) non è sicuro che i suoi resti siano proprio lì.
Negozio di stregoneria varia. Appesi ai lati della finestra due elenchi che mostrano le materie e le pratiche religiose di competenza, come voodoo, rituali magici, cabala, santeria, sciamanismo, astrologia, alchimia, teosofia, e gli oggetti che si possono trovare all’interno. Incantesimi, olii essenziali, libri dell’occulto, pozioni, incensi, candele, talismani, mojos, gris gris, tarocchi, erbe, statuine, radici, e così via. Notare le scope, perno delle credenze afroamericane, strumenti in grado di spazzare via le cattive influenze che, come il blues insegna, s’annidano nella propria casa, attorno al letto o fuori dalla porta; sono anche simbolo di salute e fertilità.
Un altro negozio particolare è quello di Jamie Hayes, galleria di dipinti e artigianato locale, 617 Chartres Street. Jamie, che ha lo studio accanto, è un artista che racconta di New Orleans attraverso i suoi coloratissimi disegni e nei manifesti per eventi e festival musicali, tra cui annualmente quelli per il Mardi Gras; nel suo negozio si trovano anche voodoo dolls originali.
Insegna di un negozio cajun con il tipico motto in Decatur Street, lungo il Mississippi, e sotto il ristorante-negozio Bubba Gump Shrimp Co., sfruttante il marchio fittizio nato nel bellissimo film Forrest Gump. Oggettistica e vestiario in vendita e materiali del film in esposizione, come la divisa da sergente di Forrest.
Mentre passiamo per Decatur incrociamo una registrazione televisiva con James Carville, commentatore politico (e altro) residente a New Orleans, noto a livello nazionale.
Chiudo la prima parte con un gossip di Cosimo, il quale ci ha rivelato che l’edificio bianco qui sotto preso al volo dalla sua carrozza appartiene a Brad Pitt e Angelina Jolie (521 Governor Nicholls), aggiungendo rivolto a me che proprio in quei giorni era in città solo, come se avesse potuto interessarmi. Piuttosto mi avrebbe interessato di più sapere sul momento che anche quello, il civico 521, come il 523 e il 525, era parte del secondo studio di registrazione dell’altro sopracitato e più noto Cosimo, Matassa, mentre sapevo solo del 525, cioè l’edificio successivo, di color rosa, ma quando sono andata a cercarlo (v. il Cosimo’s Studio nell’articolo seguente) non ero sicura fosse quello non essendo segnato, come quelli vicini. Là i numeri a volte, oltre a mancare, fanno strani salti; l’edificio precedente è addirittura 511. Alla fine questa foto del tutto fortuita (grazie a Pitt e a Cosimo!) è stata utile.
Pitt ha girato a New Orleans un bel film, Il curioso caso di Benjamin Button, tratto da un racconto di Francis S. Fitzgerald, ed è probabile che sia stato allora che ha deciso di comprarvi casa. I grandi portoni ad arco utili per il passaggio delle carrozze e i giardini interni per proteggersi dalla calura sono tipicamente spagnoli.
La caratteristica casa di riposo in cui Benjamin “cresce” è il lussuoso albergo Lanaux Mansion, 547 Esplanade Ave, del 1879; tutta la via è di gran interesse. È nell’ultimo giorno di permanenza che abbiamo ceduto alla tentazione turistica del giro in carrozza, solo perché non l’avevamo mai fatto (come il giro sul battello Natchez), nonostante stesse ancora piovigginando dopo un violento acquazzone. Cosimo, di lontana origine siciliana, simpatico e con modi molto gentili, accompagna fornendo notizie sulla città con dizione chiarissima. Ci ha anche mostrato dov’è cresciuto e ancora risiede, e alla fine ha riso di gusto alla mia del tutto evitabile battuta rubata al blues, al momento dei saluti: We leave you with a mule to ride!
(Fonte per la storia di New Orleans: Todd e April Fell, New Orleans, a City Named Desire, Gris Gris Publication, 2004).
- Jack Kerouac, Sulla strada, Mondadori Editore, MI, 1959, pag. 188.[↩]
- Aggiornamento: Oggi è un ristorante molto suggestivo che ha conservato i suoi interni ricchi di storia, in amministrazione a Ralph Brennan dal 2015, come detto sopra membro di un’altra storica famiglia di ristoratori cittadini.[↩]
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articolo molto bello e storico ma manca di ritualistica woodoo.comunque complimenti.
Non era nelle intenzioni parlare di ritualistica voodoo. Comunque grazie!