Roots & Blues Food Festival, Zibello (PR) 17.7.2009

Lynwood Slim / The Whiskers Blues Band

Dopo le selezioni IBC sale The Whiskers Blues Band, composta da sei ragazzi veneti con due chitarristi a dividersi le parti vocali.
Manuel Bonino e Dirty Lorenz, chitarra e voce, Guido Perlini, armonica e voce, Alex Lobosco, tastiere, Lorenzo Boscolo, basso, Davide Zago, batteria, suonano il blues (non è così scontato, dopo una band del concorso dedita al funk inglese) e lo fanno con dedizione. Bene dunque per la freschezza, l’unità, l’aderenza, le discrete capacità d’insieme e la mancanza di protagonismo fine a se stesso.
Peccato però per il repertorio, quasi tutto Chicago blues scontato e uguale a quello di tante altre formazioni, o comunque che abbiamo sentito e risentito anche in originale, tra l’altro dante l’impressione di voler stare sul sicuro (come esecutori) con materiale magari già suonato tante volte, e per non deludere il pubblico di bocca buona bisognoso d’identificare il blues nelle solite cose.
È un’usanza diffusa dovuta alla mancanza di ricerca nel vastissimo mondo musicale che il blues ci ha lasciato; un vuoto che sarebbe colmabile sforzandosi di scoprire brani “secondari” d’altrettanta bellezza. Ecco la scaletta dei brani proposti, per rendere conto di quanto detto: Chicken Shack, All Your Love, Caldonia, Help Me, Rock Me Baby, Messin’ with the Kid, Baby Please Don’t Go, Got My Mojo Working, The Thrill Is Gone, Ain’t Got You, Mannish Boy, Woke up this Morning.

Per fortuna Lynwood Slim era in tour europeo, altrimenti non sarebbe stato chiamato visto l’andamento del programma 2009 del Rootsway. Lo incontro nella grande piazza di Zibello (la stessa in cui l’anno prima ho assistito all’esposizione dello strolghino più lungo del mondo) prima del concerto, a tavola con i musicisti italiani che l’accompagnano nel giro. Si mostra disponibile, affabile, molto grato per i complimenti e felice d’autografare con un “grazi!” il suo ultimo CD, Last Call (Delta Groove), acquistato poco prima a un banchetto in piazza (e che per fortuna ho scartato subito proprio per la firma, perché all’interno mancava il disco!).
Nato Richard Duran nel 1953 a Los Angeles, sulla scena già da un po’ nei primi anni 1970 (cominciò a esibirsi da teenager), è tra i più ricercati ma allo stesso tempo semplici e diretti interpreti del suono californiano, cioè una mistura di swing jazzistico applicato al blues di Chicago e al rhythm and blues dell’ovest. Fu influenzato dalla musica del suo territorio, ma anche dal padre cultore di jazz e dalla permanenza a Minneapolis, città del profondo nord che negli anni 1970 vide una fioritura musicale grazie al trasferimento di alcuni bluesman da Chicago. Tra questi personaggi gli insegnamenti più importanti, dal fraseggio al tono, gli vennero da Big Walter Horton e Baby Doo Caston, quest’ultimo pianista che, come altri, doveva tanto a Leroy Carr.
Le influenze e gli insegnamenti non dovrebbero arrivare unicamente da chi suona lo stesso strumento, con il rischio di appiattimento nello stile e nella ripetizione di frasi fatte, e nel miglior rhythm and blues questo continuo scambio, diretto e indiretto, tra sassofonisti, chitarristi, pianisti, organisti, armonicisti, ha fatto sì che s’evitasse un’eccessiva reiterazione di fraseggi e di riff. Note sono le importanti influenze dei sassofonisti bop sugli armonicisti blues degli anni 1950, che favorirono le innovazioni di Little Walter, così come su certi chitarristi, e a questi ultimi è capitato di prendere ispirazione per il solismo e la ritmica anche dagli organisti jazz, stimolati dalla somiglianza tra i due strumenti per quanto riguarda il suono e l’autonomia sugli elementi fondamentali.

Lynwood Slim non si è sottratto a questo scambio. Non è tipo che s’identifica totalmente con questo o quell’altro armonicista, e non per niente suona anche il flauto, strumento certo non comune nel blues. Si nota poi come il suo smooth, non solo vocale, provenga anche da Billie Holiday (omaggiata nel disco), oltre che da un muro portante del rhythm and blues dell’ovest, il sassofonista e cantante Eddie Vinson, e dall’organista Jack McDuff, ispiratore, tra l’altro, come Jimmy McGriff, di chitarristi come Albert Collins e Otis Rush (basta sbirciare nei loro repertori), in cui a volte par di sentire la folgorazione del profondo e solido solco sonoro scavato dall’Hammond.
Un artista maturo e completo, Lynwood, che deve molto a tanti, ma soprattutto a se stesso per una carriera che ha lasciato valide tracce attraversando discreto, in più di quarant’anni d’attività, il futuro del blues stando ai piedi della tradizione. È tra i primi musicisti bianchi a essersi mescolato con i papà neri, imparando direttamente da loro ma rimanendo fedele a ciò che era, e con le stesse problematiche sull’incertezza del vivere.
Elenca solo cinque dischi a suo nome, ma numerose collaborazioni, con Kid Ramos, R.L. Burnside, Junior Watson, Kirk Fletcher, Nick Moss, Alex Schultz, Dave Specter, Candye Kane, ha prodotto sconosciuti di talento come Junior Valentine, e partecipa in un gruppo allstar, The Big Rhythm Combo, con Fred Kaplan, Kid Ramos, Tyler Pedersen, Richard Innes e Jeff Turmes.
Qui è stato accompagnato da Maurizio Pugno, chitarra, Marco Meucci, tastiera, Lucio Villani, contrabbasso elettrico e Gio Rossi, batteria, fornitori di un discreto sostegno, anche se non particolarmente brillante e sciolto, al mellow sound (sottotitolo del disco) di Richard Duran.

Un set morbido, a base di swing e jump blues, intendendo swing anche come attitudine, in cui il leader ha tenuto le redini, poco per sé (non tanta armonica), concedendo ripetuti spazi soprattutto al chitarrista umbro, ma anche agli altri chiedendo brevi interventi con qualche spunto originale, a rafforzamento delle sue concise e perfette frasi alle armoniche, al flauto traverso, e al suo canto quieto e pastoso, intinto nell’attitudine di cui sopra. Niente arrangiamenti allunga-brani, peraltro purtroppo solo una dozzina, con armonia di forme, volumi e durata dei singoli episodi, uno dopo l’altro senza troppo respiro eppure con rilassatezza; la durata complessiva però è stata breve per non sforare oltre l’una di notte nella pubblica piazza.
Dalla swingante Well Alright, O.K. You Win, con assolo di chitarra e di cromatica, all’incalzante ma non troppo, quasi pigro mid-tempo chicagoano I Believe, dal groove di Lonesome Train, esempio di come le corde della chitarra e del basso possano rendere lo swing organistico, allo squisito strumentale Tough Duff, preso da ‘Brother’ Jack McDuff appunto, da Slim eseguito al flauto forse proprio per avvicinarsi alle sonorità dell’organo, e con piccoli solo a turno della sezione ritmica.
In It’s Obdacious sono compatti sul ritmo jump swing. Era nel repertorio dell’Orchestra di Buddy Johnson, negli anni 1940 grande attrazione lungo la costa est e negli stati del sud; si pensi solo che Johnson riusciva a stipendiare ben diciassette elementi: era ancora l’epoca d’oro delle big band.

Riprende il flauto per Why I Chose to Sing the Blues, R&B con ritmica leggermente funky-soul poi, con armonica, Just Your Fool, classico degli armonicisti perché Little Walter ne ha fatto una famosa versione, ma il brano è ancora di Buddy Johnson.
Walter la fece sua, con accompagnamento mid-tempo, atteggiamento sottilmente minaccioso e gli usuali mirabili fraseggi. Lynwood, pur da armonicista, si rivolge invece all’originale di Johnson, concedendo una lenta e dolce ballata after-hours, con chitarra sommessa e atmosfera intimista in tenue crescendo. Da una parte, avendo un testo amaro, segue un’impostazione umorale, con cadenza lenta, canto da crooner che via via accumula tensione, armonica leggera e vibrante, ma dall’altra questa dolcezza forma un interessante contrasto quando arriva a dire comprerò una pistola, e ti sparerò. È uno di quei blues impeccabili perché qualora fosse scarnificato e messo a nudo, tipo solo narrato e battuto dal piede, rivelerebbe comunque la sua potenza, con un costrutto così autonomo da rimanere integro. La sorella di Buddy, Ella, lo interpretava melliflua e armoniosa, una sorta di Billie Holiday più serena, o una Dinah Washington minore.
Questi brani (It’s Obdacious e Just Your Fool) si possono trovare nel vinile Rock ‘n’ Roll with Buddy Johnson and His Orchestra (Mercury), di cui c’è una riedizione del 1988 di The Official Record Company, avente in copertina Buddy Johnson e Purvis Henson, con Buddy che scherzosamente si tappa le orecchie al suono del sax tenore di Henson. Johnson con la sua orchestra fu di grande influenza non solo su Little Walter, ma anche posteriormente sulle formazioni R&B bianche che negli anni 1980 viaggiavano nel circuito della costa est (tipo Roomful of Blues), con i musicisti che si passavano il suddetto disco in cassetta come prezioso materiale ludico-didattico.

Lynwood Slim, Last Call, CD back cover with Lynwood signature

Tornando a Lynwood, lascia che sia Pugno a creare un tenue sviluppo su un break in partenza a basso volume (fin troppo, il più basso che io abbia mai sentito dal vivo, tanto che il pubblico s’è ammutolito per poterlo udire), con spunti jazzy, per poi crescere senza arrivare a volume e intensità troppo alti. Pugno è adatto ad accompagnare quello stile (meno come solista), ma per i miei gusti è un po’ lezioso e inconsistente; vorrei sentir chitarristi italiani (e non) più ispirati, altrimenti è solo una fila (quando va bene, altrimenti si tratta di “pila”) di note con poco significato.
Durante Across the Sea, tempo medio nello stile di Jimmy Reed (scritto e suonato con Kid Ramos nell’ultimo disco), Slim chiama l’armonicista della band precedente, seduto tra il pubblico e apprezzabilmente reticente, che poi naturalmente cede dietro l’insistenza.
Mi sovviene di colpo il bellissimo set di Omar Kent Dykes inquinato dall’armonicista norvegese del Notodden, o quello di Guy Davis da un altro soffiatore incontenibile, italiano. Va bene invece, perché quello che è il più “datato” della suddetta band, sufficientemente “vecchio” per conoscere i suoi limiti e abbastanza saggio per sapere come ci si comporta in una situazione del genere, fa bella figura prima di salutare e scendere.

Vanno avanti con Fine Frame, con la cromatica se ben ricordo, più veloce rispetto all’originale (in World Wide Wood), con chitarra swing, decisi accenti di contrabbasso e inserti pianistici ragtime. Qui l’esecuzione è agile e c’è simbiosi negli scambi tra batteria e tasti; c’è più d’una scintilla e suonano con agiatezza, bravi il pianista, rilassato e sorridente, e il bassista, mentre Gio Rossi è un affidabile batterista mancino.
Da uno dei dischi con Kid Ramos (Two Hands One Heart), e dal repertorio dell’ispiratore Eddie Vinson, c’è il lento voluttuoso If You Don’t Think I’m Sinking, da gustare, tanto per stare in tema, fino all’ultima goccia.
Finiscono con un velocissimo swing cantato (alla Louis Jordan o Joe Turner), dei tempi gloriosi; la sua armonica, a tratti, ricorda Big Walter Horton. Così pensavo mentre finiva senza che me n’accorgessi. Ci sono rimasta male quando l’ho visto andare via: niente bis, solo un saluto e tanti “grazi!”. Per niente ruffiano, antidivo e apparentemente freddo, se lo si avvicina è gentilissimo: questo è Lynwood Slim.

Aggiornamento: Lynwood Slim è deceduto il 4 agosto 2014. Dal 2011 necessitava di trapianto di fegato. Il 17 luglio 2014 ha subito un ictus pesantemente invalidante e senza speranza, e s’è rifiutato di proseguire con trattamenti medici aggressivi.

Scritto da Sugarbluz // 12 Giugno 2010
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