Smiley Lewis Rocks
Trentasei tracce in un solo dischetto, tutte registrate negli studi di Cosimo Matassa a New Orleans dall’aprile 1950 al giugno 1958: la tedesca Bear Family non si smentisce pubblicando questa raccolta da tempo dovuta.
Overton Amos Lemons, nato il 5 luglio 1918 (1) a DeQuincy, Louisiana, 35 chilometri a nord di Lake Charles, è stato il più grande e sottovalutato shouter della Big Easy. In un mercato in cui è difficile sopravvivere se non si hanno grandi successi, Smiley Lewis non riuscì mai a sfondare veramente.
Per fortuna Matassa e Dave Bartholomew s’occupavano dei concittadini più talentuosi, così se un brano non vendeva abbastanza, lo stesso passava a un altro artista della scuderia che magari aveva successo, permettendo almeno al primo artista di rimanere sotto contratto. Questo destino capitò diverse volte a Lewis, anche con artisti estranei alla produzione di Bartholomew, che conferma:
Smiley, he was a very nice guy, and a beautiful, big, big voice. But Smiley, I don’t know, it looked like he was bad luck. Because other people would pick up his tunes after he recorded ‘em and made million-sellers out of ‘em. Smiley just could only get maybe 2 or 300.000 out of each record. So as a result, he was pretty big in certain parts of the country. He was very big in the South, and around New York he would sell some, you know. But he wasn’t a constant seller.
Parte della sua gioventù la trascorre a West Lake, dintorni di Lake Charles, divertendosi con i coetanei adolescenti a saltare sui merci passanti per la città (molto meglio che la playstation!) fino a che un giorno, come ha raccontato a Rick Coleman la sua seconda moglie, mentre gli altri dopo poco scendono Amos rimane a bordo fino a New Orleans, non tornando mai più indietro. Una famiglia bianca di nome Lewis lo adotta e forse il soprannome è coniato da loro perché sorride spesso (qualcun altro ha invece suggerito che fosse per la mancanza dei denti anteriori).
Negli anni 1930 la chitarra e la voce sono levigate al punto giusto per entrare nel gruppo del trombettista Thomas Jefferson, tra i cui membri c’è il pianista Isidore ‘Tuts’ Washington Jr, più vecchio di Lemons di almeno dieci anni e già rispettato in città.
Il gruppo suona i successi degli Ink Spots e di Bing Crosby nei locali alla moda, tipo The Gipsy Tea Room o The Court of Two Sisters, la voce di Smiley così potente da non necessitare di microfono. Dopo un paio d’anni nella band del clarinettista Kid Ernest, Tuts e Smiley decidono di fondare un trio con il batterista Herman Seals.
A quei tempi quando si era pronti per esibirsi nel locale di Frank G. Painia significava che si era in gamba: il Dew Drop Inn in LaSalle Street era il locale dei musicisti, il ritrovo afterhours alla fine degli ingaggi in altri locali, fucina di talenti locali e luogo molto influente per via dei grandi nomi provenienti da fuori che vi passavano. Nell’estate 1947, anno d’avvio del boom discografico del R&B di New Orleans, ‘Smiling’ Lewis vi movimenta le serate insieme all’orchestra di Dave Bartholomew, soprattutto con i brani di Big Joe Turner data l’affinità della sua voce con quella dell’immenso shouter di Kansas City.
È lì che i fratelli David e Jules Braun di Deluxe Records del New Jersey, i primi produttori indipendenti ad avventurarsi a New Orleans all’inizio del 1947, pescano i talenti da registrare nel J&M Music Shop di Matassa, da dove infatti escono i primi dischi Deluxe di successo, Since I Fell for You, di Annie Laurie accompagnata dal trio di Paul Gayten, e Good Rockin’ Tonight di Roy Brown. L’incursione seguente dei Braun è nel settembre dello stesso anno dove, oltre al primo disco di successo di Bartholomew (Country Boy), registrano quattro lati di ceralacca con la chitarra elettrica e la voce di Smiley Lewis, il pianoforte di Tuts e un contrabbasso, di cui solo due sono rilasciati: Here Comes Smiley e Turn on Your Volume Baby; un debutto in 78 giri che eleva la fama del cantante localmente.
Durante il secondo Petrillo Ban, lo sciopero del sindacato musicisti indetto per tutto l’anno 1948, il trio rimane occupato con le esibizioni dal vivo, esibizioni che ‘Doctor Daddy-O’ Winslow, il primo deejay afroamericano di New Orleans, manda in onda nel suo popolare programma radiofonico settimanale. Dato l’interessamento del dj alla canzone di Smiley Tee Nah Nah, (2) lamento di un prigioniero di Angola, il cantante decide di fare un demo e passarlo a Daddy-O per la trasmissione.
Il tema arriva alle orecchie di Bartholomew, trombettista in procinto di diventare direttore d’orchestra, talent scout e Artist & Repertoire man per Imperial Records di Los Angeles. Nella primavera 1950 Bartholomew porta Lewis nel primo studio di Matassa in North Rampart a rifare la canzone e registrarne altre tre, con la band del cantante maggiorata dai sassofoni.
La selezione di questa raccolta parte con la sessione successiva dell’aprile 1950, una doppietta swing su acetato: l’incalzante Dirty People con massiccia sezione fiati (Joe Harris, Bartholomew, e Lee Allen o Clarence Hall) spinta dall’energica batteria di Herman ‘Baby Seals’ Seals e il contrabbasso di Frank Fields, mentre Tuts saltella sui tasti in stile barrelhouse e copiosi walkin’ bass, e l’orchestrale Where Were You (ripresa dai T-Birds nel Live del 2000) con lo stile spavaldo e impetuoso di Joe Turner. Entrambe portano la firma di Smiley Lewis e sanno piacevolmente ancora di anni Quaranta; la chitarra si sente poco, potrebbe essere Ernest McLean o lo stesso Lewis.
I riferimenti alle date e al personale sono approssimativi a causa dell’abitudine di Imperial a non prendere nota, e in presenza di date queste a volte possono riferirsi non alle sessioni ma a quando l’etichetta di Los Angeles ricevette i master. Essendo queste tutte prodotte da Dave Bartholomew è la sua studio band a esser impiegata principalmente, e i brani sono quasi tutti accreditati a lui quindi specificherò l’autore solo quando diverso.
Il roboante tenore tornò nel piccolo studio solo l’anno dopo, aprile 1951, con tre suoi jump-swing blues: il tempo andante di Sad Life, uscita su sussidiaria Colony, con limpido solo di chitarra à la T Bone (Ernest McLean) e uno breve di sassofono (alto credo, forse Joe Harris), Bee’s Boogie, con il contrabbasso di Frank Fields ben udibile, plus Waldren ‘Frog’ Joseph in un tanto inusuale quanto gradito doppio chorus di trombone, e il boogie My Baby Was Right, qui nella versione più serrata tra le due che furono fatte. (3) Alla bella chitarra potrebbe esserci Lewis o McLean, all’assolo di caldissimo sax tenore Clarence Hall o Herb Hardesty, alla batteria da questo momento ci sarà spesso Earl Palmer, garanzia dello studio di Cosimo, mentre al piano c’è di nuovo la classe di Tuts Washington. Tutte queste si rifanno ancora al suono occidentale, poco prima d’esser spiazzato dal rock and roll: jump blues swing texano-californiano e big band di Kansas City.
Il tipico, splendido tempo medio New Orleans flavoured The Bells Are Ringing fu il suo primo hit nazionale, nato il 3 giugno 1952; entrambi i brani di questa sessione sono una collaborazione tra Lewis e Bartholomew, con verosimilmente la stessa formazione senza trombone. Piano tintinnante, vocalità favolosa, e Herbert Hardesty attaccante il sax tenore con un registro sorprendentemente alto, non gradito a Bartholomew almeno fino a quando il brano non arrivò al decimo posto della classifica Billboard di quell’autunno.
L’altro è Lillie Mae, sunto delle esperienze fino a quel punto: blues, R&B, jump, swing su veloce base ritmica, in sintesi rock ‘n’ roll in fasce con coretto e battito di mani, e Smiley che mima con vocetta stridula la sua ragazza; ebbe successo solo regionalmente (Snooks Eaglin ha inserito una sua versione nel disco del 1992 Teasin’ You). Lillie Mae in realtà era il nome della madre scomparsa quando Lewis era piccolo, e fu chiamato così anche il furgone per i tour, al quale teneva così tanto da non permettere a nessuno di fumare o mangiarvi dentro.
Ain’t Gonna Do It è l’unica qui di una sessione dell’ottobre 1952, con l’usuale backup band dello studio, Tuts con bell’assolo di piano boogie, Fields e Palmer alla sezione ritmica, e tre fiati compreso Bartholomew, il primo a inciderla per Imperial nel 1950. Nei crediti appare anche il nome di Pearl King, moglie del trombettista, il quale per ragioni editoriali cominciò a usarlo su molte composizioni per Imperial. È un fascinoso jump blues nato durante uno spettacolo in Texas, e sia Roy Brown che Fats Domino ne fecero una versione, fino alla più recente di Kim Wilson nel meraviglioso Smokin’ Joint. È evidente l’influenza di Smiley Lewis sullo stile vocale di Wilson, soprattutto in seno alla Blues Revue e a partire da My Blues, disco che ha segnato l’apice e la maturità del frontman californiano d’adozione.
A partire dalla sessione seguente, febbraio 1953, Tuts Washington non appare più, dopo l’ennesimo disaccordo con Lewis. Al suo posto Edward Frank, conosciuto durante un concerto a Biloxi e anch’egli pianista della Big Easy. Caldonia’s Party è un tempo medio New Orleans style su una festa popolata da personaggi femminili immaginari presi da altre canzoni (icone del rock and roll come Sweet Lorraine, Mary Jo, Caldonia, ecc.). Quasi certo Lee Allen al bel sax tenore, mentre Frank passò a pieni voti e fu integrato nella studio band.
Nello stesso mese furono incise almeno altre due chicche. Una è Big Mamou, originalmente un valzer cajun di gran successo nel Bayou Country prodotto da Don Law di Columbia. È accreditata al violinista/sassofonista Link Davis, ma Davis l’imparò dal leggendario collega Leo Soileau (La Gran Mamou) durante il periodo passato a suonare insieme negli anni Quaranta su un barcone da fiume a Orange, tra Texas e Louisiana. (4) Earl Palmer apre sul rullante, Frank in sottofondo ritmico, armonie e battito di mani dei Toppers, giovane gruppo vocale formato da Lloyd Bellaire, Frank Bocage, Joseph Butler e il leader Bobby Mitchell, al debutto su Imperial, mentre Lee Allen fa sponda al cantante.
Il retro del disco era Play Girl, altro ballabile dai fiati spingenti ritmicamente maggiorato dal battito di mani, Frank al piano, Smiley con voce vigorosa e Allen in un solo a due chorus.
Bartholomew difficilmente dava arrangiamenti scritti e tutto era deciso in studio, il cosiddetto head arrangement; da una sua dichiarazione s’evince che dapprima suonava il brano da solo lavorando alle introduzioni, e quando andava in studio aveva già in mente come doveva essere l’accompagnamento: That’s the way we got together, and it worked.
Il 14 dicembre 1953 Fats Domino registra un paio di lati suoi e poi rimane anche per la sessione di Smiley, dalla quale esce un disco (n. 5268). Da un lato, il torrido up-tempo boogie Down the Road accreditato a Smiley e Bartholomew, ma parente stretto, anche nel fraseggio del cantante, del Low Down Dog di Big Joe Turner, da lui inciso diverse volte e presente anche in un soundie del 1944 con il pianista Meade Lux Lewis. L’escursione del sax, Allen o Hardesty (ancora in breve passaggio a registro altissimo), riassume il tipico honking sax del rock ‘n’ roll.
Dall’altro, la versione originale della suprema Blue Monday, una delle più belle espressioni uscite dalla Crescent City. La voce vibrante e tonante di Smiley Lewis è perfetta anche per questo gioiello, emanante flussi di Big Easy da ogni nota. Fiati incisivi, ritmi calibrati, intro di piano che dondolante e lieve introduce al “lunedì triste” (si riconosce Domino), linea e breve solo di chitarra ritmica esemplari, una leggera e tremante tensione spalmata su meno di tre minuti. Il grandioso canto coinvolge fino al vibrato conclusivo sulla parola “mess”.
Il disco ebbe successo ma fu quello del 1955 di Fats Domino a sfondare nazionalmente, benché non abbia niente di meglio (la chitarra è sostituita dal baritono di Hardesty). Con Domino arrivò ai vertici delle classifiche R&B e pop, aiutata dal film del 1956 The Girl Can’t Help It, in cui il pianista fa il labiale alla canzone. Bartholomew ha dichiarato d’averla scritta a Kansas City in un quarto d’ora:
On Mondays in Kansas City they used to have all matinees. And they would have at least 15 or 20 bands on Vine Street. And we were in town, Fats and I were in town with his band, and we were off that Monday. Everybody said: “Where you going? You should go to the Blue Monday things!” So that’s how I got the idea. Everybody was having a good time on Monday. But I just reversed it, and I made it, “I hate to do certain things on Sunday, because I have to get up on Monday”.
Can’t Stop Loving You è un vorticoso call and response con la band, appartenente a una sessione del giugno 1954 con la solita imbattibile sezione ritmica, Edward Frank piano, Ernest McLean chitarra, Frank Fields basso, Earl Palmer batteria.
Torna nello studio J&M in settembre per la gioiosa e tipicamente luisiana Ooh La La (Kim Wilson potrebbe riprendere anche questa, perché è proprio in quello stile), in cui si nota un cambio alla chitarra con Justin Adams. In novembre nascono invece Jailbird e Real Gone Lover, forse con il piano di Joe Robichaux.
La prima è introdotta e sostenuta da una marcetta ed è una commedia a tema giudiziario, in cui Smiley è davanti a un giudice dopo che la sua ragazza l’ha preso a bastonate con una mazza da baseball; il fatto che ci sia solo lui fa intuire com’è andata a finire.
La seconda è un elastico boogie blues pianistico con solo di sax, in cui lo shouter cerca di far colpo su una donna affermando d’essere un tipo hip and in the know prima di confessare bruscamente: I’m a nervous fellow, so don’t make me wait all night!. Anche questa delizia è stata ripresa da Kim Wilson, sia con lo stesso titolo che come Nervous Fella, e nei crediti accanto a Bartholomew ci sono i nomi di Ruth Durand e Joe Robichaux.
Il disco uscito dalla sessione seguente del 23 maggio 1955 (n. 5356) fu uno dei migliori, e Huey ‘Piano’ Smith figura tra gli accompagnatori. Da un lato l’irresistibile bounce di Bumpity Bump, up-tempo con nucleo rovente di fiati e ritmica trascinante, dall’altro il motivo tra i suoi che vendette più di tutti, il superlativo I Hear You Knocking. Favolosi intro e solo di piano, quest’ultimo tanto breve quanto suggestivo, andamento blues mid-tempo, testo e ritornello di facile presa (ispirati da una commedia teatrale di quel periodo il cui slogan era: I hear you knockin’, but you can’t come in!), e canto sincero, appassionato, sempre vibrante e con leggera inflessione lamentosa e allo stesso tempo perentoria.
Arrivò al n. 2 della classifica R&B e fu il suo primo grande successo in tre anni, ma non lo fece sfondare in campo rock and roll / pop come speravano, come invece fece Ain’t That a Shame per Fats Domino. Domino aveva un canto più adatto alle giovani generazioni e il suo accento creolo affascinava ancor più chi non era di quelle parti, e poi la versione di I Hear You Knocking di Gale Storm, pressoché inconsistente (soprattutto se paragonata a questa), allegra e superficiale, arrivò al secondo posto della classifica pop.
Va da sé quindi che mai Smiley Lewis avrebbe potuto accedere alla stessa classifica se si comparano le due voci e i due stili, quello di un elegante, innocuo usignolo bianco ben diverso dal potente e invasivo shoutin’ nero. Comunque alla fine del 1955, sull’onda del successo della canzone, Smiley viaggiò più lontano di quanto non fosse mai andato e in novembre fu co-titolare con Charles Brown del cartellone serale del Gleason’s Musical Bar a Cleveland, Ohio.
Il 25 ottobre 1955, altri tre titoli. Il robusto mid-tempo Come On è una copia di I Hear You Knocking, nella comune strategia delle etichette dei tempi tendente a riproporre il brano di successo dopo poco, come una seconda parte atta a battere il ferro finché caldo, ma non funzionò (non funzionò quasi mai per nessuno).
Queen of Hearts è una cavalcata boogie con scioltissimo solo di Frank, mentre la bellissima One Night è una ballata suggestiva con eccezionali sassofoni tenori (Lee Allen e Clarence Hall); il cantante è così contrito che è difficile non simpatizzare con lui, anche se non specifica cos’ha fatto (I’ve got myself to blame) o visto, tanto da “far fermare la terra”. Sale al n. 11 della classifica R&B nella primavera 1956, e un paio d’anni dopo Elvis la manda al n. 4 di quella pop, purgando un verso per non turbare il suo pubblico.
I due brani della sessione seguente sono su nastro nel marzo 1956, quando Matassa è già nel nuovo studio del quartiere francese in Gov. Nicholls, ed è probabile che il pianista ora sia Salvador Doucette.
Nothing but the Blues è pubblicato solo anni dopo in un LP antologico. È un allegro e ballabile rock-swing inneggiante alla vitalità del genere e con una frase il cui senso è chiaro anche se non afferro una parola:
The kids are all crazy by the rhythm
The kids are all crazy by the blues
When you put the two together
You got the [...] rhythm & blues!
Sopra c’è una chitarra swingante, Lee Allen in doppio chorus, ed è una delle poche volte in cui si sente bene la tromba di Bartholomew.
La salutare She’s Got Me Hook, Line & Sinker invece esce e Billboard la recensisce molto favorevolmente, più inspiegabile quindi il mancato successo nazionale. È un altro irresistibile, orecchiabile rock ‘n’ roll, di nuovo ben rifatto da Kim Wilson (in Lookin’ for Trouble. Precedentemente, Wilson di Smiley ha ripreso anche Gumbo Blues).
Pochi giorni dopo fu la volta di Rootin’ and Tootin’, sfrenato boogie con altri riferimenti alle eroine dello swing e del rock (Lawdy Miss Clawdy, Maybellene, Suzie Q), con piano martellante attribuito a Doucette, e Please Listen to Me, ballatina rock da ballroom studentesco, retro di She’s Got Me Hook, Line & Sinker.
Nella sessione del 4 agosto 1956 sembra apparire di nuovo Huey Smith. Il brano più particolare è Down Yonder We Go Ballin’, dove Lewis canta allegramente di vita contadina tra polli e mais, sopra un perfetto battito di mani.
Nel libretto si parla di “una chitarra suonata come un banjo”, e si mette in dubbio se sia Justin Adams o Ernest McLean. A me sembra un banjo vero e proprio, ed è probabile sia McLean data la sua versatilità sulle corde; lo ricordo al mandolino in Gris Gris di Dr John. Nominare il Dottore proprio qui è casuale ma curioso, perché nel brano c’è un verso che dice We go ballin’ with Dr John. A quei tempi Mac Rebennack alias Dr John era adolescente, e stava cominciando a frequentare lo studio Matassa.
Il riferimento potrebbe essere un nome qualsiasi (“John” è molto diffuso ed è usato per designare il tal dei tali come da noi si fa con “Mario”), oppure il vero Dr John, voodoo man della New Orleans ottocentesca, lo stesso a cui s’è ispirato Mac Rebennack. Bartholomew diede la canzone anche a Snooks Eaglin nell’ultima sessione Imperial, nel 1963.
Gli stili hillbilly e rockabilly furono adottati nell’errebì di New Orleans per stare sull’onda del nuovo suono generato a Memphis e dintorni, e si ritrovano in brani come Country Boy Rock di Lloyd Price, Bo Weevil di Fats Domino e anomali cover confezionati da Bartholomew per Roy Brown, come Party Doll e I’m Sticking with You, dei texani Buddy Knox e Jimmy Bowen.
Due tracce registrate lo stesso giorno sono accantonate. Una è No Letter Today di Frankie Brown, ancora connessa con il country sebbene sia un mid-tempo R&B e di sapore country ci sia solo un delizioso break di chitarra. Fu un successo C&W del 1944 interpretato da Ted Daffan, e apparve sul secondo volume di Modern Sounds in Country and Western Music di Ray Charles del 1962. Fu anche di Hank Williams Jr, Gene Autry, Anita Carter, Les Paul, Hank Snow, Ernest Tubb, e molti altri.
L’altra è la vivace Mama Don’t Like, dedicata al disprezzo per la musica del momento da parte della generazione precedente. We young folks don’t care what mama don’t like, dice Smiley, nonostante andasse verso i quarant’anni; il concetto è lo stesso del tradizionale Mama Don’t Allow.
L’episodio più scatenato e tra i più identificabili con Smiley Lewis proviene da fuori. La gloriosa Shame, Shame, Shame, registrata l’11 agosto 1956, fu scritta da Ruby Fisher e Kenyon Hopkins, quest’ultimo direttore musicale per il film hollywoodiano Baby Doll di Elia Kazan, come sottofondo per una scena con Eli Wallach e Carroll Baker. Un paio di minuti incendiari, con la tromba di Bartholomew urlante in sostegno alle accuse di Smiley, sezione ritmica incisiva e intenso solo di sax, forse di Allen, il quale dichiarò:
I used to like to work sessions with Smiley Lewis. He was such a dynamic blues singer, that you enjoyed working with him. He had a big, powerful voice, something like an opera voice.
La seconda versione di Shame che chiude questo disco è specificatamente per la colonna sonora, ma tra l’eco sulla voce e qualche modifica per adattarla all’azione sullo schermo, non ebbe lo stesso effetto sul vinile.
Il 20 maggio 1957 fu prodotto il bel disco (n. 5450) con Go on Fool, portante la firma associata di Dorothy Ester, in seguito la seconda moglie di Smiley, e Goin’ to Jump and Shout. Con il primo siamo in pieno New Orleans vibe: perfetto ritmo sul rullante, fiati da second-line, leggera base di pianoforte (Smith) e squisito solo melodico di sax tenore un po’ “yakety”, probabilmente di Hardesty, che con il suo suono ha caratterizzato tante incisioni Imperial di Domino. Il secondo è introdotto da Huey Smith ed è un divertente jump a infallibile stop-time, fiati come calabroni danzanti e ritmo come al solito travolgente.
Anche Bad Luck Blues ha la firma associata di Dorothy Ester, testo triste e ritmo energico, ancora in stile campagnolo ma non troppo. Ci sono Charles ‘Hungry’ Williams, batterista dello studio dopo l’abbandono di Earl Palmer (trasferitosi a Los Angeles), e Justin Adams alla chitarra ritmica, in un arrangiamento senza fiati né piano, il che fa sembrare il brano asciutto rispetto alle generose colate armoniche della Crescent City.
Sul retro di questo disco (n. 5478), il cantante è di nuovo pseudo-teenager in School Days Are Back Again. Anche questo solo con la sezione ritmica (il basso potrebbe essere sempre Frank Fields), ha piccolo assolo alla texana di Adams e un secondo sulla dissolvenza. Anzi, più che dissolvenza si tratta di interruzione netta purtroppo; tutti i brani sono inferiori ai tre minuti, qualcuno anche ai due.
È un classico di New Orleans Lil’ Liza Jane, (5) inciso prima da Huey Smith nel 1956 per Ace Records (Lee Allen al sax). Questa versione è del 4 giugno 1958, un’altra la fece Domino in novembre. Sax alla Boots Randolph, forse Hardesty, e forse Frank al piano. In aggiunta, handclapping e coro in cui appare Gerri Hall, cantante nei Clowns di Huey Smith.
L’ultima sessione di Smiley per Imperial è nel dicembre 1960, mentre i suoni a New Orleans stanno cambiando di nuovo dopo l’impatto esterno del rock ‘n’ roll e quello interno delle nuove produzioni di Allen Toussaint per Minit e di Harold Batiste per AFO. Smiley viene dimenticato perfino nella sua città, e non può permettersi una band fissa. Continua a esibirsi, spesso aprendo per artisti più giovani, e ha un’altra opportunità con OKeh nel 1961 prodotto da Sol Rabinowitz, sempre da Cosimo.
William ‘Hoss’ Allen (dj WLAC a Nashville, v. articoli sulla serie The !!!! Beat) cerca di rilanciarlo nel 1964 supervisionando un 45 giri per Dot, e alla fine del 1965 Toussaint produce l’ultimo disco del cantante, per Loma di Warner Bros.
Smiley però non se la passa bene e, dopo un’operazione al Charity Hospital, quella che sembra un’ulcera si rivela tumore allo stomaco. Si sposa nel giugno del 1966 con Dorothy Ester, e muore il 7 ottobre dello stesso anno.
(Fonti: note di Bill Dahl a Smiley Lewis Rocks, Bear Family; note di Rick Coleman e Jeff Hannusch a Smiley Lewis, Shame Shame Shame, Bear Family; Wouter Keesing & Richard Weize, Smiley Lewis, the Discography).
- Il certificato di morte riporta 1920 come anno di nascita.[↩]
- Udibile in “Smiley Lewis, Shame, Shame, Shame”, 4 CD box-set, Bear Family, e “The Best of Smiley Lewis, I Hear You Knocking”, Collectables CD.[↩]
- L’altra si chiama “My Baby” ed è nella raccolta inglese “The Smiley Lewis Story, Vol. 1, The Bells Are Ringing”.[↩]
- Nel volume South to Louisiana di John Broven è riportata un’affermazione di Doxie Manuel, vecchio violinista cajun che, intervistato nel 1955, disse di ricordare Grand Mamou dal 1895.[↩]
- Entrerà nel repertorio di Slim Harpo dal vivo, particolarmente amato dalle confraternite studentesche, come molte canzoni con ritornello da intonare in coro.[↩]
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