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Antoine Domino Jr (26/2/1928, New Orleans, LA – 24/10/2017, Harvey, LA), noto come Fats Domino, celebre pianista e cantante esponente del miglior rhythm and blues di New Orleans, iniziatore e una delle prime stelle del rock ‘n’ roll. Il suo successo negli anni 1950 esercitò una delle massime influenze sulla musica popolare, e sulla nascita di stili regionali come lo swamp pop. Le sue caratteristiche una voce velata con accento creolo, brani orecchiabili a base di piano boogie martellante energiche terzine, riff o assolo di sassofoni sopra un corposo backbeat ritmico. Proveniva da una famiglia di discendenza franco-creola e il francese della Louisiana fu la sua prima lingua. Cominciò da bambino a cantare e a suonare il piano, e tra le sue influenze citò Albert Ammons, Little Willie Littlefield e Fats Waller.
Ha 21 anni quando Dave Bartholomew, Al Young (proprietario di un negozio di dischi, talent scout e autore) e Lew Chudd, titolare di Imperial, vanno a sentirlo allo sperduto Hideaway Club a New Orleans, 2800 Desire Street, dove sta suonando con Little Sonny Jones (voce), il cognato Harrison Verrett (chit), il cugino Freddy Domino (tr) e Dave Oxley (batt). È il 1949 e il timido pianista s’è appena separato dal combo di Billy Diamond, che due anni prima lo ha ingaggiato nei suoi Solid Senders e gli ha dato il soprannome di ‘Fats’ ricordandogli i pianisti Fats Waller e Fats Pichon, e per la sua corporatura.
Chudd firma subito un contratto con Domino e incarica Bartholomew di registrarlo, il quale invita il pianista e il sassofonista Robert ‘Buddy’ Hagans a lavorare alle canzoni a casa sua, in Lafreniere Street. Bartholomew lo ha sentito cantare Junker Blues, e decide di sostituire le parole del brano sulla droga con liriche innocenti e spensierate, mentre il titolo e il protagonista prendono il nome di The Fat Man non solo perché s’adatta al suo nickname Fats, ma anche essendo il titolo di un programma radiofonico popolare ai tempi (ispirato per contrasto da The Thin Man, giallo di Dashiell Hammett).
Domino entra per la prima volta nel neonato J&M Recording Studio di Cosimo Matassa il 10 dic. 1949 e trova la band di Bartholomew, con il bassista Frank Fields, il chitarrista Ernest McLean, il batterista Earl Palmer e i sassofonisti Joe Harris, Herbert Hardesty, Clarence Hall e Alvin ‘Red’ Tyler. Quattro brani sono registrati, tra cui Detroit City Blues e The Fat Man, usciti su 78 giri Imperial; The Fat Man entra nella classifica R&B in febbraio e raggiunge infine il n° 2: è il primo dei suoi successi. Bartholomew lo riporta in studio nel genn. 1950 per un’altra sessione da quattro titoli, e Chudd dalle due sedute pubblica altri tre dischi tra cui il vivace rifacimento di un brano tradizionale jazz che il suo chitarrista Harrison Verrett suona regolarmente con Papa Celestin, Hey! La Bas Boogie, con accompagnamento travolgente da parte della band, veloci corse di Fats sulla tastiera e assolo di sax di colui che suonerà con Domino per mezzo secolo, Herbert Hardesty. Nella terza sessione del sett. 1950 Every Night about This Time, altro successo da classifica, mostra un uso estensivo delle terzine martellate che saranno il suo marchio di fabbrica.
Nel frattempo Bartholomew interrompe i rapporti con Imperial e con Domino, e la sessione del genn. 1951, sempre allo studio J&M, vede la partecipazione dei musicisti della band del pianista con Walter ‘Papoose’ Nelson (chit), Billy Diamond (b), Cornelius Coleman (batt), Wendell Duconge (Emmett Fortner) e ‘Buddy’ Hagans (sax). Di quest’altro quartetto di brani, Chudd pubblica Tired of Crying / What’s the Matter Baby in cui la mancanza dell’arrangiamento di Bartholomew si sente: hanno uno stile R&B più tradizionale, più blues.
Da un’altra sessione d’inizio anno Imperial pubblica mesi dopo Rockin’ Chair; anche se è l’unica di questo periodo che va in classifica (R&B) sembra affermare che Domino può farcela anche senza Bartholomew. Gli altri titoli di questa e della sessione seguente sono più somiglianti al Domino di successo, e tra queste esce You Know I Miss You che con il suo lamento ‘Lawdy! Lawdy! Lawdy!‘ ispira due dischi prodotti da Bartholomew, Lawdy Lawdy Lord di Tommy Ridgley e Lawdy Miss Clawdy di Lloyd Price (v.sotto).
Nel 1952 tre brani vanno in classifica, Goin’ Home, che arriva fino al primo posto (e anche in quella pop al n° 30), Poor Poor Me e How Long. Intanto Lew Chudd ha riassunto Bartholomew che dopo due anni, nell’aprile 1952, torna in studio con Domino. Gli accompagnatori sono più o meno sempre quelli della band (tranne Harrison Verrett), con il ritorno di Walter Nelson che lo seguirà per tutti gli anni 1950 (negli anni 1960 il suo chitarrista sarà Roy Montrell) e due tra i musicisti di Bartholomew, i già citati Frank Fields e Herb Hardesty, oltre che l’onnipresente Earl Palmer.
Domino è ancora nei top ten R&B nel 1953 e nel 1954, ma nel 1955 spopola con sei brani tra cui Ain’t That a Shame, n° 1 (R&B) che lo fa esplodere sulla scena rock ‘n’ roll e per la prima volta nella classifica nazionale (al 10º posto) grazie alla ripresa di Pat Boone, acquisendo una popolarità rinforzata nel 1956 con ben nove titoli nella top-ten R&B tra cui tre “numeri uno”, I’m in Love Again (#3 US), Blueberry Hill (#2 US) e Blue Monday (#5 US), e diverse posizioni in quella nazionale, nel 1957 con dodici brani nelle classifiche (I’m Walkin’ la più nota), nel 1958 (tra cui Whole Lotta Loving), nel 1959 (I Want to Walk You Home e Be My Guest ai posti più alti) e nel 1960 il suo ultimo brano tra i top ten, Walking to New Orleans. Ha altri hit minori fino al 1964, ma intanto da un anno è terminato il rapporto con Imperial causa vendita dell’etichetta.
Nel 1963 firma con ABC-Paramount e lascia a Nashville una serie di sessioni fino al 1965 con il direttore artistico e arrangiatore Bill Justis e il produttore Felton Jarvis nello storico studio B della RCA; l’unico album pubblicato per ABC-Paramount è Fats on Fire. Tra i brani, una nuova versione (non necessaria) di The Fat Man, con Charlie Mc Coy a sostituire all’armonica gli originali vocalizzi “wah wah” di Domino. Purtroppo l’enclave di Nashville applicherà in maniera professionale e asettica ciò che pare voler imitare alla lontana lo spirito di New Orleans, con sezione fiati, violini, cori votati ad arrangiamenti sofisticati e anonimi, nonostante il valore dei musicisti da studio (tra cui ‘Boots’ Randolph) e il fatto che nella Music City lo raggiungano alcuni fidati e illustri concittadini, come Roy Montrell, Herbert Hardesty e addirittura James Booker.

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