Articoli in riferimento a: Isaac Hayes

Isaac Lee Hayes Jr (1942-2008, Tennessee), ovvero Isaac Hayes, celebre cantante, autore, compositore, produttore, sessionman, attore, tra le colonne portanti e innovative di Stax Records a Memphis e del southern soul degli anni 1960 e 1970.
Cantava in chiesa già a cinque anni, imparò da autodidatta piano, organo Hammond, flauto, sax, e ai tempi delle superiori suonò con varie jazz band, tra cui quella di Ben Branch. Iniziò a registrare presso Stax nei primi anni 1960 come pianista, tastierista e organista nelle sessioni in studio, nella prima di queste accompagnando il sassofonista Floyd Newman e finendo per partecipare forse a più sessioni Stax di qualsiasi altro musicista, a parte Booker T. & the MG’s (e sostituì Booker T. Jones mentre questi era al college), soprattutto per Otis Redding, ma anche per Wilson Pickett, Mar-Keys, Bar-Kays, Albert King, Eddie Floyd, Rufus Thomas, William Bell, Carla Thomas, Sam & Dave. Divenne parte del gruppo creativo e produttivo di Stax, e in coppia con David Porter instaurò uno dei team autoriali più prolifici scrivendo per Sam & Dave (tra cui Soul Man, Hold On! I’m Coming, When Something Is Wrong with My Baby, I Thank You), Carla Thomas (B-A-B-Y), Johnnie Taylor (I Got to Love Somebody’s Baby, I Had a Dream), e molti altri.
Nei tardi anni 1960 Isaac Hayes iniziò la carriera solista arrivando al successo con il geniale, milionario album-manifesto Hot Buttered Soul del 1969, iconico fin dalla copertina, con soli quattro lunghi, sensuali brani arrangiati tra arie orchestrali, fuzz tone e psichedelia, in piena e felice libertà creativa. Fu una grande affermazione personale e per Stax, in un momento in cui l’etichetta era in grave crisi, morale e finanziaria, dopo la scomparsa di Otis Redding, la perdita del proprio catalogo a favore di Atlantic Records, e non da meno l’uccisione di Martin Luther King (vedi qui), che pesò ulteriormente perché avvenuta proprio a Memphis e in un luogo familiare agli artisti Stax, senza contare le implicazioni sociali e politiche dell’avvenimento in un contesto unico e ristretto (quello di Stax e del suo quartiere) di fino allora rispettosa e produttiva convivenza tra bianchi e neri. L’album uscì come parte della Soul Explosion, programmata inondazione del mercato con la pubblicazione contemporanea di ventisette nuovi album per risollevare le sorti dell’etichetta.
Il trionfo fu subito confermato da Hayes con altrettanta generosità sonora da To Be Continued nel 1970 e da Black Moses nel 1971, e soprattutto dalla colonna sonora (più funky) del film Shaft, in particolare il tema portante (Theme from Shaft), che raggiunse popolarità internazionale e fu il suo più grande successo personale, quello che stabilì la sua reputazione di musicista soul con un approccio più concettuale e introspettivo, paradossalmente tanto cerebrale quanto carnale, o sensuale, dalla carismatica voce soft e profonda di basso in contrasto con quella alta e potente dei “soul shouter” più noti degli anni 1960.
Epici e opulenti, ma a tratti brillanti, i suoi arrangiamenti orchestrali pop, magari inframmezzati da interventi di chitarra ritmica funky con effetti fuzz o wah wah, con una predilezione per i cover, come By The Time I Get to Phoenix di Jimmy Webb, e in particolare di Burt Bacharach (The Look of Love, Walk on By, I Just Don’t Know What to Do with Myself).

I love Soulsville, McLemore Ave, Memphis

Memphis, Tennessee – pt 3

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