Jimmie Lee Robinson (1931-2002, Chicago, Illinois), chitarrista e bassista del blues di Chicago negli anni 1950/1960, soprattutto come sideman e sessionman, ma anche cantante e artista solista. Nacque e crebbe nel West Side non lontano dal mercato di Maxwell Street, ai tempi fucina e risorsa del blues cittadino (verosimilmente il luogo di nascita del Chicago blues), dove cominciò a suonare per le mance nel 1942. La sua prima istruzione musicale fu sia informale, grazie a un vicino chitarrista gospel e blues, Blind Percy, che formale, alla Chicago School of Music; il resto lo acquisì nella scuola delle strade, dei club e degli house party nel South e nel West Side.
Verso la fine degli anni 1940 incontrò Eddie Taylor, con cui suonò qualche anno prima di formare una sua band con Frank ‘Little Sonny’ Scott e il giovane Freddie King, che riconoscerà l’influenza esercitata da Robinson su di lui. Molto richiesto come sideman, suonò con Elmore James e dal 1955 fu nella band di Little Walter fino al 1959 (Luther Tucker alla lead, Robinson alternativamente alla chitarra e al basso, Odie Payne alla batteria), apparendo anche in studio alla chitarra in due sessioni di Walter per Chess (Checker), il 20 giugno 1957, insieme a Robert Jr Lockwood, e nel gennaio 1958, con Luther Tucker. In seguito suonò brevemente con Magic Sam e con Jimmy Reed, poi entrò nel gruppo di Willie Mabon come bassista (Willie Hudson, chit., Clifton James, batt.). Da solista pubblicò, nel 1959-1960, solo tre bei singoli Bandera, piccola etichetta chicagoana c&w che dovette più o meno accidentalmente incappare nel blues urbano e nel rhythm and blues per occorrenza territoriale.
Sarebbe interessante saper di più di queste sessioni, dato il mistero che va al di là degli ottimi musicisti che lo accompagnano (le tracce sono oggi rintracciabili nel CD Ace Bandera Blues and Gospel from the Bandera, Laredo and Jerico Road Labels, che potrebbe rivelare qualcosa nelle note di copertina). In questi sei primi brani solisti Robinson si cimenta in vari stili vocali e chitarristici, a partire da Lonely Travelin’, due minuti e mezzo rimbalzanti coolness e felice disimpegno R&B/rock ‘n’ roll che sembrano sbucare dal nulla, non qualcosa che ci aspetterebbe da un bluesman radicato a Chicago, ma un’originale malleabilità di materia che lascia spazio a interpretazioni a cavallo dei generi, tanto che circa trent’anni dopo una molto somigliante sequenza ritmico-accordale è rintracciabile, ad esempio, in Stray Cat Strut, ed è forse per questo che il brano mi dà sempre la sensazione di qualcosa di nuovo e di già sentito allo stesso tempo. Volendo scavare poco più a fondo (in termini temporali rispetto a Robinson) questo “nulla” da cui sembra sbucare è un “tutto” e credo abbia un nome: Ray Charles e in particolare What I’D Say, qualcosa capace d’influenzare il mezzo secolo e oltre venuto dopo. Comunque ho notato che ne sono coautori (e quindi direi gli autori originali, vista la loro apparente estraneità con J.L. Robinson) O’Brien Fisher e Bernie Harville Jr, di cui non so nulla ma che, vista la loro ricorrenza in Bandera, è possibile fossero autori e/o produttori legati all’etichetta, songwriter della casa di cui questo brano poteva essere in origine destinato a qualche artista della scuderia country.
Abbiamo quindi il rockabilly di Cry Over Me, il West Coast style (o simil-‘Gatemouth’ Brown) di Chicago Jump, l’andamento ipnotico e ripetitivo di Slim Harpo in Twist It Baby, e lo swing di Times Is Hard (con armonie doo-wop!), che richiama fortemente Times Are Getting Tougher Than Tough (di Jessie Mae Robinson) versione Jimmy Witherspoon.
La più rimarchevole, oltre a Lonely Travelin’ ma in altro senso, è All My Life, che infatti diventerà il suo signature tune, con bell’effetto eco d’epoca e un canto e una voce distintivi e originali; per passione e impervietà ricorda Otis Rush e per assonanza e inafferrabilità il Magic Sam di All Your Love, ma il canto di Jimmie Lee qui è gemente e delicato (tono e atmosfera ripresi tali e quali da John Mayall con i Bluesbreaker), perfino lirico ed etereo (la sua voce poi in tarda età virerà su toni decisamente baritonali).
Nel 1960 Jimmie Lee Robinson supportò in studio a New York Shakey Jake e ‘St Louis Jimmy’ Oden per Bluesville; nel 1964/1965 fu con Sunnyland Slim ed ebbe l’opportunità di entrare nell’AFBF per il tour del 1965 (v. sotto). Al ritorno suonò con Howlin’ Wolf per un periodo, venne ancora in Europa con l’American Blues Legends nel 1975 e in un altro grande tour europeo (Rhythm and Blues: Roots of Rock Show) con diversi artisti (tra cui James Booker). Nel 1979 comparve in studio per un album di Little Willie Anderson e un’antologia (Blues from Chicago) con Anderson, Detroit Jr, Eddie Taylor e Odie Payne; complessivamente però negli anni 1970 la sua attività musicale diradò, anche per il periodo di crisi di popolarità del blues, e Robinson si ritirò del tutto durante gli anni 1980.
Ricomparve in scena dal vivo nel 1991 al Chicago Blues Festival e su quella discografica nel 1994, in entrambi i casi grazie alla persuasione della band The Ice Cream Men (Scott Dirks, Johnny Burgin, Steve Cushing), gli stessi che lo accompagnarono nel comeback album per Delmark (Lonely Traveller), seguito da due album auto-prodotti sulla sua etichetta Amina (nome della figlia), e da altri due su APO Records, fino al 2001. Nel 2004 è uscito postumo Chicago Jump (Random Chance Records), raccolta di inediti da sessioni in studio tra il 1995 e il 1996.
Jimmie Lee Robinson s’impegnò nel comitato contro la gentrificazione della storica Maxwell Street, e nel 2000 si attivò in prima persona facendo un digiuno di 81 giorni, suonando sul posto il suo Maxwell Street Teardown Blues per attrarre l’attenzione sul radicale piano di abbattimenti, ma sappiamo com’è andata a finire. Nel 2002 a 71 anni, malato di tumore maligno, s’è tolto la vita con un colpo di pistola alla testa.