Articoli in riferimento a: Junior Wells

Amos Wells Blakemore Jr (1934-1998), ossia Junior Wells, cantante e armonicista del blues di Chicago, nato a Memphis. Per un po’ i suoi genitori lavorarono i campi vicino a Marion, Arkansas, nei pressi di West Memphis, e presto Amos poté vedere all’opera alcuni musicisti dell’area, come Big Walter Horton, Howlin’ Wolf, B.B. King, Little Buddy Doyle, Little Junior Parker.
Quest’ultimo, amico e vicino di casa a West Memphis, gli diede iniziali lezioni di armonica (uno dei primi brani che Wells riprese fu Love My Baby [come Ways like an Angel], che Parker aveva registrato per Sun Records; idem per Mistery Train, più tardi anch’esso ripreso da Wells), prima che il dodicenne Amos si trasferisse a Chicago con la madre, dove conobbe Big Bill Broonzy, Muddy Waters, Sunnyland Slim, e riuscì a intrufolarsi al C&T Lounge ottenendo di suonare, adolescente, con Tampa Red, Big Maceo Merriweather, Little Johnny Jones.
Da diverse testimonianze di Dave Myers il primo incontro di Junior Wells con lui e il fratello Louis Myers avvenne in un house party nel 1950. Il posto si trovava vicino alla 22ª e Prairie, dov’era il C&T Lounge, e il suono amplificato dell’armonica e delle chitarre presto attirò molti clienti del locale, tanto che il proprietario mandò qualcuno a ingaggiarli. Fu il loro primo impiego in un club come gruppo e si fecero chiamare The Deuces. Suonarono lì per qualche mese poi ebbero altri ingaggi e, eventualmente con un batterista (poco dopo trovato in Fred Below), divennero The Four Aces, e infine solo The Aces. Più giovani di Re Muddy, suonavano un blues agile, compatto e veloce, uptempo, carico di swing, Wells influenzato da Little Walter, che nel 1952 trovò successo solista con Juke.
Erano impiegati sette notti su sette all’Hollywood Rendezvous quando una sera, sempre dalle ricostruzioni di Dave, Junior non si presentò; Below era alla batteria, Louis arrivò e poi apparve Little Walter. Walter era partito da Chicago pochi giorni prima in tour con Muddy Waters, ma avevano rotto e Muddy aveva preso il diciottenne Wells al suo posto, dove rimase fino ai tardi anni 1950; la storia insegna che Walter fece degli Aces la sua band, rinominandoli The Jukes.
Wells entrò così in studio (Chess) la prima volta nel 1952 come sideman di Muddy (Who’s Gonna Be Your Sweet Man, Iodine in My Coffee, Standing around Crying, Gone to Main St.), nello stesso giorno accompagnando anche Floyd Jones (in entrambi i casi con Jimmy Rogers ed Elga Edmonds), e come solista nel giugno 1953 con Dave Myers, Johnny Jones, Odie Payne ed Elmore James, per States (States e United erano dell’ex poliziotto Leonard Allen), producente il suo primo disco (Eagle Rock / Cut That Out) di cui pare evidente che andò bene perché l’etichetta fece uscire nel 1954 un altro disco a nome di “Junior Wells and his Eagle Rockers” con due ulteriori brani dalla stessa sessione, Junior’s Wail e Hodo Man (sic), quest’ultimo la prima versione di Hoodoo Man Blues, che diventerà il suo signature tune (anzi, il “signature album”).
Era disertore dell’Esercito quando nell’aprile 1954 fece la seconda sessione States accompagnato da Otis Spann, Willie Dixon, Muddy Waters e 2/3 degli Aces, Louis Myers e Fred Below, che produsse i dischi ‘Bout the Break of Day / Lawdy! Lawdy! (il primo il remake di Early in the Morning, il secondo poi intitolato Lord, Lord) e Tomorrow Night / So All Alone (il primo appartenente alla sessione prec.), e il brano Blues Hit Big Town, inedito fino alla pubblicazione sull’omonimo LP Delmark 640 (1977, in CD nel 1998), contenente le registrazioni United/States. Partecipò a un’altra sessione Chess di Muddy nel maggio 1955, quella di Manish Boy (Mannish Boy), e nello stesso periodo a una Atlantic di T-Bone Walker (Play on Little Girl e T-Bone Blues Special); in quell’anno concluse il servizio militare, ma non registrò più fino alle sessioni Chief e Profile, firme del produttore e prolifico autore Mel London, con cui pubblicò alcuni dei suoi brani più noti: Little by Little, Come on in This House e Messin’ with the Kid (tutti di London).
La prima sessione Chief nell’autunno 1957, con Syl Johnson e Dave Myers, Willie Dixon e il batterista Eugene Lounge (Eugene Lyons), produsse due 78 giri e la prendo come esempio della volontà di London di diversificare con quattro brani potenzialmente indirizzati a differenti nicchie di mercato, o più in generale rivolti ai giovani mediante ritmi aggiornati e ballabili, e con riferimenti più o meno velati a brani di successo, come uno ricalcante Got My Mojo Working (Two Head Woman), un jump blues firmato London con il titolo strizzante l’occhio all’hit dei Clovers (Lovey Dovey Lovey One, ai nostri tempi ripreso da Imelda May, Mark Hummel, Bob Corritore), e uno strumentale showcase per l’armonica di Junior a ritmica latina (Cha-Cha-Cha in Blue, forse affinché Wells avesse un suo strumentale di successo come Little Walter e Walter Horton? – del resto Junior c’era già quasi riuscito con Eagle Rock [v. sopra], più simile a Juke). C’è un solo voluttuoso slow blues più tradizionale (I Could Cry), che forse alla fine è il più originale (anche se certamente non rilevante per il pubblico teenager) perché sorprende un poco quando Junior, su un breve stop-time, cavalca per pochi secondi una subitanea accelerazione di tempo con un singulto di quel suo stile canoro e fisico apparentato a James Brown e con cui comincia a distinguersi; un espediente dall’effetto drammatico (non presente nella versione del 1961). È lo stesso “nervo” e urgenza del giovane Buddy Guy, che non a caso sarà suo partner; quell’essenza e quel vigore vibranti (che in Guy negli anni si trasformerà purtroppo in qualcosa più simile al parossismo) anche visibili nei movimenti dei loro corpi asciutti e agili, e quell’anima soul come in alcuni protagonisti del genere a venire, innervata da potere in pieno controllo, una corda mobile ma in tensione con i capi ben saldi (la differenza è che, nell’artista soul puro e tipico, quella vibrazione è più di pianto, invocazione o giubilo, emotiva, e quindi gospel, mentre in Wells e Guy è più di genere ribelle, nervoso appunto, e quindi “rock” in senso caratteriale e funk in senso musicale). I brani mettono inoltre in rilievo la pungente ed efficace chitarra di Syl Johnson.
Registrò ancora per London solo due anni dopo (nel 1958 invece partecipò a una sessione di J.B Lenoir per Shad, che comprese anche due brani a suo nome) e fu pubblicato su Profile, avendo il suo primo e unico hit con Little by Little (#23, R&B, 1960), cantata insieme a Willie Dixon e a Mel London; Come on in This House, con gran effetto eco, era sul lato B.
A questo punto ho sforato il limite accettabile di parole per essere questa una semplice “pagina tag”, meglio quindi abbreviare più che posso sul resto. Le registrazioni Chief / Profile / USA sono rintracciabili in “Junior Wells, Calling All Blues, 1957-1963” (CD Fuel 2000) e Junior è, in tutte le Chief/Profile a partire da Little by Little, sempre accompagnato da Earl Hooker, con il quale in alcuni casi condivide anche l’intestazione (Universal Rock invece era proprio una registrazione della band di Hooker, Wells accompagna all’armonica solo il ritmo). Sono generalmente buone anche se ci sono esempi di non originalità, come So Tired (sul tema di It Hurts Me Too, poi ripresa del tutto), You Sure Look Good to Me, brano corale già di The Big Three per Bullet e Columbia (a sua volta ripreso da Big Joe Turner con Wee Baby Blues), Calling All Blues, evocante Blue Midnight di Little Walter, e Love Me (seguito di Messin’ with the Kid). Meno valido il materiale USA, etichetta di Paul Glass con cui Junior firmò all’inizio del 1963 (su quattro titoli due sono pop, uno è ancora sull’onda di Messin’ with the Kid e l’altro è una riscrittura di My Baby’s a Good’Un di Otis Rush).
Non posso inoltre non segnalare il già accennato album Hoodoo Man Blues supportato dalla band di Buddy Guy (Buddy Guy, Jack Myers, Billy Warren), registrato e pubblicato nel 1965 da Delmark nel periodo in cui Junior era una figura fissa al Theresa’s Lounge. È un fondamentale non solo per la sua bellezza, ma anche perché fu tra i primi se non il primo LP del Chicago blues a non esser semplicemente una raccolta di singoli: è un vero album registrato come un corpo unico nello stesso lasso di tempo, un documento esteso dello stato dell’arte di una band catturata in un determinato momento storico, un “lungometraggio” realistico di come suonava il loro blues urbano senza sovrastrutture, come durante un concerto in un club del West Side, e in cui si realizza al meglio quel “nervo” di cui sopra.

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