Articoli in riferimento a: King Records

King Records fu fondata nel 1943 dal negoziante di dischi Syd Nathan a Cincinnati, Ohio. Nacque come etichetta di country & western (pubblicò gli Stanley Brothers, i Delmore Brothers, i Carlisle Brothers, Grandpa Jones, Bob McCarthy, Cowboy Copas, Moon Mullican, e altri) dato che i clienti di Nathan erano perlopiù migranti provenienti dagli Appalachi al di là dell’Ohio River venuti a lavorare nel Midwest. Deluso dalla pessima qualità di stampa dei primi dischi, Nathan costruì un suo impianto e continuò nella convinzione che la sua etichetta avrebbe dovuto provvedere in modo autonomo a tutte le fasi della produzione discografica, dalla registrazione (anche se spesso agli inizi comprò master da altri produttori indie, come Mayo Williams) alla distribuzione, con tutto ciò che sta in mezzo a queste due fasi, compresa la realizzazione delle copertine e del confezionamento. Questo fatto di poter registrare, stampare e distribuire un disco nel giro di una settimana la rese estremamente competitiva rispetto alla maggior parte delle altre etichette, e se poi i destinatari erano le stazioni radio, qualche decina di copie del disco da sottoporre all’attenzione dei dj poteva esser disponibile già il giorno dopo la registrazione.
Nathan capì che avrebbe dovuto dedicarsi anche al mercato della musica nera, settore ancora chiamato race records, e nell’immediato secondo dopoguerra lo fece dapprima con l’etichetta metora Queen (1945-1947), mettendo sotto contratto musicisti con esperienza di R&B urbano e di big band, come il sassofonista Bull Moose Jackson (e poco prima della chiusura di Queen, anche Earl Bostic), il Chubby Jackson Sextet, Slim Gaillard, Walter Brown, Tab Smith, e un musicista dalla natura più “downhome” come Johnny Temple, ma qui in versione blues orchestrale (com’era peraltro già stato noto a Chicago negli anni 1930), oltre che diversi artisti gospel, vedi gli Swan Silvertone Singers.
Alla chiusura di Queen acquistò una buona fetta dell’etichetta del New Jersey De Luxe (o DeLuxe), già vista in queste pagine per esser stata una delle prime, alla fine degli anni 1940, a calare a New Orleans dando inizio al boom dell’R&B cittadino, in particolare con l’hit di Roy Brown Good Rockin’ Tonight. Nathan mise sotto contratto Wynonie Harris sulla nuova etichetta King, e la sua versione del brano di Brown ebbe così successo da invogliarlo a continuare a inoltrarsi nel rhythm and blues, nel gospel e nel suo derivato mondano, il doo-wop. Altri artisti in scuderia furono quindi Ivory Joe Hunter, Lonnie Johnson, Cecil Gant, Memphis Slim, Eddie ‘Cleanhead’ Vinson, Mary Lou Williams, l’orchestra di Lucky Millinder e quella di Tiny Bradshaw, Mabel Scott, Percy Mayfield, Dave Bartholomew.
Nel 1950 Nathan aprì Federal Records come sussidiaria per il rhythm and blues e la mise nelle mani del produttore/talent scout bianco Ralph Bass, fuoriuscito da Savoy, mentre aveva già affidato con altrettanta libertà d’azione al produttore, arrangiatore, autore, A&R man e trombettista nero Henry Glover il settore della musica bianca, cioè il country e il rock (ma non solo, fu Glover infatti a scritturare per King Millinder, Bradshaw e a produrre Wynonie Harris, Bill Doggett, Little Willie John e altri). Tra i primi messi sotto contratto Federal furono The Dominoes, gruppo doo-wop che con il giovane tenore Clyde McPhatter piazzò Have Mercy Baby al primo posto della classifica R&B, ma soprattutto, come Billy Ward and the Dominoes, nel 1951 entrarono in quella pop con il fantastico risqué Sixty Minute Man, come descritto nella pagina che ho dedicato a Federal.
Negli anni 1950 pubblicarono su Federal anche la giovane Esther Phillips (Little Esther), Pete ‘Guitar’ Lewis, Professor Longhair (con il nome di Roy ‘Bald Head’ Byrd), Big Jay NcNeely, Johnny ‘Guitar’ Watson, Jimmy Witherspoon (per questi ultimi due, v. qui sotto), Jimmy Nolen, The Royals, i Platters, Ike Turner, Willie Mabon, Cal Green, e molti altri. Little Willie Littlefield ebbe successo nel 1952 con K.C. Loving, brano poi noto come Kansas City e tra i più ripresi trasversalmente, e Hank Ballard and the Midnighters (ex Royals) con Work with Me, Annie (1954), un altro dei molti risqué dell’etichetta (il gruppo continuò la saga di Annie con altri brani, vari titoli), ispirante il debutto di Etta James per Modern Records.
Un altro gruppo vocale di casa King/Federal fu The “5” Royales, anche loro portati da Ralph Bass (da non confondere con i suddetti Royals/Midnighters), che non ebbe un successo commerciale eclatante ma fu altamente influente su molti musicisti a venire, in particolare il chitarrista e autore Lowman ‘Pete’ Pauling su Steve Cropper e sul compagno di etichetta James Brown, che nel 1956 debuttò e sfondò su Federal con Please, Please, Please, continuando oltre il successo del Live at the Apollo (in entrambi i casi con la resistenza, bisogna dire, di Syd Nathan), l’album King più venduto e finanziato dallo stesso Brown, a tenere in piedi la compagnia nel suo periodo finale.
Negli anni 1960 pubblicarono, tra gli altri, Syl Johnson, Champion Jack Dupree, Herb Hardesty, e Freddie King ebbe successo con la sua serie di strumentali. Diversi dischi King divennero specchio per altri artisti, da My Ding-A-Ling di Bartholomew (altro double entendre umoristico), hit per Chuck Berry, a Dedicated to the One I Love dei “5” Royales per le Shirelles e i Mamas & Papas. Dalla Fever di Little Willie John (1956), diventata di Peggy Lee, agli strumentali di Freddie King, banco di prova per Eric Clapton e non solo. La I’ll Drown In My Tears a nome di Sonny Thompson (di Henry Glover) divenne Drown In My Own Tears di Ray Charles, mentre Good Rockin’ Tonight di Roy Brown e di Wynonie Harris divenne di Elvis presso Sun.
Questo per dire che nonostante la sua influenza, simile a quella di etichette leggendarie come Sun, Chess, Atlantic, con centinaia di successi, a differenza delle suddette in un ampio spettro di generi (almeno finché Atlantic fu indie), e l’importanza che assunse sul mercato, King non è mai stata celebrata allo stesso modo di quelle icone discografiche (di motivi se ne possono trovare, ma non è il caso farlo qui). Dave Alvin, comunque, nella prefazione a un libro dedicato alla firma (King of the Queen City: The Story of King Records), afferma, dopo aver ricordato l’impatto di quei dischi su di lui e il fratello Phil, e l’evoluzione musicale prontamente documentata da King, che «a case could be made that if your record collection consisted only of King Records, you’d have a damn good overview of post-World War II American roots music».
Alla fine degli anni 1960 anche King s’avviò verso la fine del periodo glorioso, affrettato certamente dallo scandalo payola (1959) in cui Syd Nathan fu del tutto coinvolto; Nathan morì nel 1968 e l’ultimo materiale originale fu pubblicato a metà anni 1970.
Starday Records comprò la compagnia e in seguito passò a Tennessee Recording and Publishing (tra i cui proprietari, la celebre coppia d’autori Leiber & Stoller) fino al 1975, quando fu venduta alla GML Inc. di Nashville, proprietaria di Gusto Records, che ha mantenuto in stampa molto del vecchio catalogo. Anche l’etichetta inglese Ace ha stampato diverso materiale King, e dal 2001 è Collectables Records a ripubblicarne il catalogo.

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