The !!!! Beat – Vol. 2

Legendary R&B and Soul shows from 1966
The Beat Vol. 2 DVD cover (Bear Family)

Avendo già riassunto la storia della serie televisiva “The !!!! Beat” e del suo ideatore e conduttore, William ‘Hoss’ Allen, nella recensione del primo volume, passo subito a descrivere il contenuto di questo secondo, registrato il 15 e il 16 febbraio 1966 negli stessi studi WFAA a Dallas, TX, e comprendente quattro puntate di mezzora ciascuna, dalla sesta alla nona.
La house band ‘Gatemouth’ Brown & The Beat Boys (descritta nel precedente articolo) è il punto fermo del programma (poi ‘Gatemouth’ lascerà il posto a seconda stagione inoltrata), prodotto solo per due stagioni dato il disinteresse generale e la scarsa distribuzione.
Disinteresse abbastanza prevedibile negli stati del sud dell’epoca dato che, a parte Hoss, peraltro non di bell’aspetto e a volte neppure tanto lucido, sono tutte nere le facce che si susseguono davanti alla telecamera, tra un alternarsi di nomi importanti e altri mediamente o totalmente sconosciuti. Come già detto, mentre da parte degli artisti che promuovevano dischi quasi tutte le esibizioni sono in sincronismo labiale, quelle della band sono dal vivo presentando soprattutto brevi stacchetti strumentali ideati per la trasmissione o rivisti all’occasione, non rintracciabili altrove.

Gatemouth Brown and the Beat Boys
‘Gatemouth’ Brown & The Beat Boys

Dunque anche in questo volume, oltre al The Beat Theme e agli accompagnamenti ai vari artisti nei casi in cui non è usato il disco, si possono sentire chicche come Summertime, estemporaneo estratto della fantastica versione latin-tinged di Gatemouth sul disco per Cue Records, purtroppo molto breve.
Irresistibili anche Jamaica Farewell – come dei musicisti nativamente R&B interpretano il raggae e il calypso – e When My Blue Moon Turns to Gold Again, strumentale country bluegrass che Gate esegue al violino come, verso il finale, un altro stacco strumentale velocissimo improvvisato, seguito solo dalla ritmica e con bellissimo suono che rimanda al fischio del treno nelle lande sconfinate del West, portando in tempi moderni la tradizione di “nero con violino” appartenente al periodo schiavista.
Nella puntata nº 8 marciano ancora alla grande offrendo un veloce stacchetto bebop swing con Billie’s Bounce di Charlie Parker e, andando più indietro nel tempo, uno dei primi ragtime pubblicati, il favoloso 12th Street Rag, anche questo della durata di circa un minuto (il pianista è Skippy Brooks).
Nello show nº 9 è la seconda chitarra Johnny Jones a mettersi in evidenza (e il batterista Freeman Brown), attaccando alla Chuck Berry con Pickin’ Berries, seguito da un altro strumentale veloce e swing portato da Gatemouth, “a brand new tune” dice Hoss, Polk Salad and Hokie.

Jimmy Church
Jimmy Church

Vero che le go go girl sui cubi non erano “sofisticate”, ma si muovevano secondo la moda dell’epoca e coloravano la scena contribuendo a un formato che, per quanto oggi possa far sorridere, ai tempi era innovativo, presentando inoltre “un forte elemento di orgoglio razziale” (sono parole di Fred James), elemento che ha contribuito alla sparizione del programma dagli schermi.
Già visto nel primo DVD e annoverato tra gli artisti di media fama perché limitata all’ambito regionale, torna Jimmy Church, cantante che aveva esordito qualche anno prima a Nashville con il gruppo vocale The Seniors in cui militava il chitarrista Bobby Hebb, il quale proprio nell’estate 1966 riscosse successo epocale con Sunny, uno dei pochissimi brani apparsi sia nella classifica “razziale”, cioè R&B, che in quelle country & western e pop ai primi posti.
Parte dal successo Stax I Can’t Turn You Loose di Redding/Cropper, trattando il materiale dal vivo con efficacia e sostanza davanti a una scenografia notevole che vede tutti i membri della band muoversi a tempo, maggiorati da Frank Howard & The Commanders e dalle ballerine, mentre lui impersona lo spirito veemente del suo cognome, cantando a occhi chiusi e dando prova della sua agilità con spaccata finale.
Riappare nella stessa puntata con Uptight out of Sight, soul/R&B dal beat sostenuto, e poi nel finale dal vivo in cui come d’abitudine Hoss chiama tutti gli intervenuti, con Don’t You Want a Man like Me, lasciando una strofa a testa a Gerri Taylor e a Frank Howard, che improvvisano, mentre Freddie King provvede innervando con suono robusto e denso. Nell’ultima puntata porta Tennessee Waltz, classico torch song country che Hoss dichiara essere una canzone dello Stato, qui trasformato in veloce R&B.

Freddie King and Billy Cox, The Beat volume 2
Freddie King e Billy Cox

L’unico nome di spicco è appunto Freddie King, che non necessita di presentazione e suona sempre dal vivo, come nell’implacabile strumentale Hide Away, gioia per le orecchie e per gli occhi, seguito dal lento I Love the Woman, blues torcibudella che ben rappresenta il grande texano, catalizzante la scena.
Immagino quale effetto beneficamente letale possa aver avuto sui futuri chitarristi di quegli anni che lo vedevano per la prima volta, perché Freddie è da vedere oltre che da sentire.
Si rivede all’inizio dell’ultima puntata con San Ho Zay suonata sopra un cubo, come se non fosse già abbastanza imponente, accompagnato benissimo dai Beat Boys, e poi con I’m Tore Down, sorridente e invasivo per pochi minuti che danno senso a tutta la serata.

Gerri Taylor
Gerri Taylor

I cantanti ballerini Frank Howard & The Commanders si sono già visti nelle prime puntate, ma qui sono sottotono stando statici e da solisti presentando solo la ballata romantica Try Me di James Brown.
Anche la meteora Gerri Taylor è un ritorno e ha solo un lato del suo singolo per Constellation, sussidiaria di Parrot, Empty Arms and Bitter Tears: non è molto convincente anche se dotata di una bella voce graffiante, ma almeno sembra cantare dal vivo.

Barbara Lynn and Gatemouth Brown, The Beat volume 2
Barbara Lynn e Gatemouth Brown

Una vera delizia Barbara Lynn da Beaumont, che canta e suona dal vivo What’d I Say con una Telecaster Esquire da mancina, accompagnata da Gatemouth. Semplice ed efficace, trapela gioia ed espressività; peccato non compaia di più. Ammiro questi due texani e vederli in coppia è una piacevole sorpresa.
Poco dopo, “she’s gotta a swinging thing to do for us” annuncia Hoss prima della bella ballata You’ll Lose a Good Thing, il suo signature song, scritto dal produttore Huey P. Meaux e inciso da Cosimo Matassa a New Orleans: Barbara s’è cambiata ed è ancora più cool in abito da sera lungo e chitarra elettrica, suonata con classe, economia e personalità.
Torna all’inizio della puntata seguente, dopo l’avvertimento di Hoss al pubblico di aspettarsi per la serata una swing extravaganza, con Money, stavolta solo in canto sincronizzato, e poi con il lento It’s Better to Have It eseguita dal vivo (si nota dal suono della chitarra, dalla voce e dall’orchestra), rimanendo in scena per il finale con tutti gli ospiti nella ripresa di What’d I Say chiesta da Hoss, eseguita diversamente e più veloce; peccato sia tutto subito sfumato.

The Kelly Brothers
The Kelly Brothers

Come detto nell’altro articolo, gli artisti provenivano quasi sempre dalle città in cui Hoss Allen aveva interessi, principalmente Nashville, Chicago e New Orleans, e dal Texas, essendo Dallas la sede di registrazione.
The Kelly Brothers non fanno eccezione nascendo a Clarksdale, MS, come gruppo vocale gospel, ma avendo avviato la discografia con Nashboro Records di Nashville nel 1956. Dopo aver firmato da Vee-Jay e successivamente King Records, nel 1963 adottano il nome The King Pins per registrare soul e R&B, non abbandonando però del tutto quello originale, come si nota qui.
Come King Pins tornano a Nashville e incidono per l’etichetta Sims, distribuita da Atlantic, che in seguito li passa a Excello, dove trovano un certo successo di vendite nel sud spinti dalla stazione radio WLAC. Per qualche anno viaggiano nel chitlin’ circuit, poi negli anni 1970, dopo lo sterminio della musica e degli artisti southern soul, tornano al gospel.
Qui partono in quattro con la ballata I’m Falling in Love Again, poi l’R&B/soul I’d Rather Have You dove spunta il quinto “fratello” alla chitarra (solo tre di loro erano veri fratelli; uno, Andrew, è il padre di Vance ‘Guitar’ Kelly), in entrambi i casi mimando i dischi. La voce solista è molto bella e non ha niente da invidiare ad altre più note, e poi spetta a loro il finale della puntata con il gospel Amen, a cui come al solito partecipano tutti i protagonisti, venendo però tagliato subito dopo, così come è tagliata la presentazione di Hoss nella puntata seguente, che fa solo in tempo a dire “we got some action for you tonight” prima che parta I’m Falling for You, bel lento church soul, anche questo mimato. Appaiono di nuovo in lip synch con la ritmata You’re That Great Big Feeling, loro versione della favolosa Hi Heel Sneakers, gran successo di qualche anno prima per Tommy Tucker, ma almeno ballano mettendo alla prova i ciuffettoni.

Freddie King and Johnny Jones, The Beat volume 2
Freddie King e Johnny Jones

La presenza di Little Gary Ferguson, bambino di sei anni meno dotato rispetto ad altri piccoli prodigi (basti pensare a Sugar Chile Robinson), è forse più attribuibile a motivi prettamente televisivi: i minori che si atteggiano da adulti fanno audience da sempre. Si muove nelle veci di un piccolo James Brown con I Got You, niente affatto intimorito e “sentendo” la musica, ma vocalmente la sua performance, comunque dal vivo, è disturbata da piccole urla fuori controllo – per naturali limiti di maturazione – e le sue grida sono comparabili a quelle di qualsiasi infante normodotato.
Torna nell’ultima puntata con High Heeled Sneakers, ancora il successo di Tucker, esibendosi in spaccate e scivolamenti sempre ispirandosi a JB, mostrando di nuovo d’essere più portato per il ballo che per il canto, alla fine fermando la musica con un cenno degno di un consumato performer, anche se un po’ prima del dovuto; l’effetto è buffo perché la band è così compatta che sembra sia schiacciato un interruttore. Chiude l’episodio con Got My Mojo Working insieme a tutti i partecipanti che ballano: più in là negli anni avrà potuto dire d’esser stato accompagnato da Freddie King.

Mighty Joe Young and Gatemouth Brown, The Beat volume 2
Mighty Joe Young e Gatemouth

Mighty Joe Young appare anche qui purtroppo solo con un brano, Tell Me Why You Want to Hurt Me So, che insieme a Gatemouth interpreta ottimamente ma ricordando Otis Rush, tanto per dire come non avesse una personalità contraddistinta dagli altri bluesman della sua epoca. Noto come esponente della corrente West Side di Chicago, non ebbe nessun hit e incise per piccolissime etichette, a parte Delmark.
Hoss lo presenta spiegando che nello spettacolo cercano di fare qualcosa di inusuale, chiamandolo “The Beat” perché vogliono “portare il beat nelle vostre case così da farvi muovere un po’”, ma specifica che in questo caso si tratta di “blues con beat in tandem”.
Torna anche la meteora Art Grayson, già sostituito da Johnny Jones nella house band, in veste di solista con I Got Soul. In completo oro e fare da rock star non m’impressiona, forse perché suona la chitarra dietro la schiena e con i denti mettendosi in ginocchio. Non credo sia dal vivo ed è evidente che cerca sensazione, ma trenta secondi di Freddy King valgono più di tutto questo. In seguito rimase sulla scena live attorno a Nashville e incise solo un altro disco per una piccola etichetta (sussidiaria di un’altra altrettanto oscura, Kapp Records), prima di tornare nella natia Montgomery, Alabama.

Joe Tex, The Beat volume 2
Joe Tex

Non delude invece il ritorno di Joe Tex, anche ottimo autore con la bella, tra le sue tante Dial Records del produttore Buddy Killen (che inaugurò l’etichetta proprio per Tex), The Love You Save (May Be Your Own), testo non comune (ma in linea alla media di Joe Tex) in pieno church soul con voce intensa di velluto, interpretando così bene che il fatto d’essere in sincronismo passa in secondo piano.
Trovò successo nel 1964, dopo anni di tentativi, la prima volta che registrò a Muscle Shoals grazie appunto a Killen, con Hold What You’ve Got (#2 R&B, #5 pop), sentito nel volume precedente, e tra i vari hit che seguirono ci fu anche quello presentato qui, partorito nella fabbrica di successi di Chips Moman, American Studio a Memphis. Subito dopo cambia messa in scena, ma è sempre lui a ballare e a mimare con maglioncino alla Rickie Cunningham il canto registrato della decisamente leggera If Sugar Was as Sweet as You: riesce a essere convincente anche così!

The Carnations
The Carnations

Il gruppo vocale femminile The Carnations esegue I’m so Glad to Be in Love senza microfono, eppure sembrano dal vivo dato che il volume vocale è compatibile alla situazione, ma probabilmente non è così dato che la fine è sfumata; tuttavia anche il suono della band sembra provenire dallo studio. Nel primo DVD le si vede fare background vocale (mimando) a diversi artisti, e la solista ha voce non potente ma incantevole.
Un altro carneade, Charles ‘Charlie’ Hodges (da non confondere con il tastierista della Hi Rhythm Section alla Hi Records di Memphis, uno dei tre fratelli Hodges), arrivava da New York e registrò per le etichette Alto, Calla e Sweet. Esegue in sincronismo labiale la ballata soul There Is Love e il tempo medio Can I Run to You.
In sostanza, considerati i pregi e i difetti, tutti i filmati della serie valgono ben la pena per il valore di testimonianza storica e data la scarsità di reperti musicali visivi relativi a quell’epoca.
Recensione del vol. 3.

(Fonti: Fred James, libretto a The !!!! Beat, Legendary R&B and Soul Shows From 1966, Vol. 2, Shows 6-9, BVD 20127 AT, Bear Family, 2005.)

Scritto da Sugarbluz // 10 Maggio 2013
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