The Big Easy Social and Pleasure Club, Houston, TX

Un nome altisonante per un locale spartano, un chiaro richiamo a New Orleans con un programma imperniato sul blues texano: già solo per queste apparenti contraddizioni val la pena varcare la soglia al 5731 Kirby Drive, un indirizzo che non ho dimenticato.
La curiosità non sarà delusa perché è un juke joint con tutte le carte in regola per riuscire nei propositi del titolo, sempre che non si sia contrari all’atmosfera rilassata e alla buona musica.
È mercoledì (18 ag. 2010), serata di blues jam: cosa che potrebbe preoccupare, ma non là. Qui non suonano i primi che passano, ma gente con serate fisse, e la house band è fatta da elementi che suonano in altre formazioni e a supporto di storici nomi della scena texana. Perciò c’è qualità anche nelle serate aperte e non a pagamento, e quando ci sono ospiti il coperto è comunque basso, 5 $.

Quando entriamo c’è ancora poca gente, quasi tutti (uomini) al bar, e non hanno ancora iniziato a sistemare gli strumenti. È un classico blues bar come lo si può immaginare o si vede nei film. Un piccolo palco, un piccolo dance floor, molta roba affissa, un bar, banconi, qualche tavolino e una saletta da biliardo. Qui c’è un quadro (nella foto a fianco, clicca per ingrandirla) in cui c’è scritto “Save New Orleans” con dei tappi di bottiglie di birra.
Non è molto grande, l’atmosfera è raccolta e tutti paiono conoscersi, per questi motivi il mio primo istinto è quello di sedermi subito, nascondere la borsa della macchina fotografica sotto il tavolino e passare inosservata, o almeno non così straniera. Il tavolo c’è, ma tutto il resto non lo posso nascondere più di tanto.
Cerco allora il proprietario per il mio cruccio: avere il permesso di fotografare è più forte del timore di trovarmi di fronte un tipo scorbutico. Invece Tom, il padrone, non è per niente scorbutico, anzi è uno dei tipi più cool e rilassati tra quelli incontrati in questo viaggio.

Indossa occhiali scuri e calzini bianchi: per portare queste cose in un night club è necessaria molta disinvoltura. Quando gli dico che non userò il flash mi risponde schiudendo appena le labbra e con parole strascicate che non importa, oh, puoi fare quello che vuoi, flash o non flash.
Accreditata da Tom, comincio a sistemare la macchina con gran interesse del vicino di posto, il quale mi dice che ne ha una uguale; gli chiedo allora qualche consiglio sulle impostazioni. Ci spostiamo in piena luce sotto la lampada del biliardo, la maneggia un po’ con mia preoccupazione e per provarla fa un paio di foto agli avventori, con flash e senza flash: ecco qua, il desiderio di non farsi troppo notare è andato a farsi benedire.
Intanto hanno già finito con gli strumenti, non hanno bisogno di soundcheck e attaccano subito. Vero è che avranno già suonato qui tante volte, ma assistere all’estemporaneità di tutto ciò e poi sentire com’è buono il suono è comunque fantastico.

Arrivano, montano, suonano, smontano e se ne vanno, magari a suonare da qualche altra parte, tutto con flemma decisiva. Molti di loro sono sconosciuti al di fuori della felice triade Dallas/Austin/Houston, ma quasi tutti i giorni dilettano i concittadini tenendo viva la tradizione.
Ad esempio la house band, a cominciare dal batterista. Dapprima, mentre sistema lo strumento, cattura la mia attenzione dato che è l’unico afroamericano e fisicamente, da lontano, sembra il fantasma di Clarence ‘Gatemouth’ Brown (alto e smilzo, con stivali e cappello da cowboy), in seguito lo conoscerò perché è amico dei miei vicini e siederà con loro.
Si chiama Jackie Gray, (1) è un eccellente batterista blues e scopro che è nella band di Earl Gilliam, il pianista e organista ottantenne leggenda a Houston, uno che ha suonato con tutti quelli che non ci sono più (compreso Lightnin’ Hopkins), e che mi sarebbe piaciuto trovare da qualche parte. Non solo Gilliam è ancora in forma, ma s’esibisce al Big Easy una volta al mese. Jackie a volte è anche con i Mojofromopolis, blues band il cui chitarrista, bassista e cantante, Larry Evans, anche nella band di Texas Johnny Brown, stasera è qui come bassista (anche lui con i calzini bianchi). C’è poi il chitarrista e cantante Jonn Richardson, nei Blue Mercy di Diunna Greenleaf e solista acclamato non solo localmente, e anche nella band di Gilliam, infine Tom McLendon, il proprietario, all’armonica. Blues, blues, blues! Potrei anche concentrare tutto in questo termine il succo del loro piacevole set.

Quattro ruote motrici a condurre un suono coinvolgente su un’affidabile strada di puro blues. Non sono qui a far filosofia o a proporre innovazioni, lo scopo è intrattenere, ma con sostanza.
E tornando al più cool di tutti, Jackie Gray, non posso non notare il suo strano porta bacchette, mi ricorda qualcosa ma non riesco a focalizzare (foto a fianco), poi scopro che si tratta di un ex-armadillo che senza volere Jackie ha investito con la macchina: affinché la morte del povero animaletto non fosse vana l’ha trasformato in borsa per le bacchette!
Attaccano con i T-Birds e Lowell Fulson, continuano con alcuni classici del Chicago blues, come Sittin’ on Top of the World, Commit a Crime, My Baby Caught the Train, con uno stile texano spoglio e radicale, e perciò direttamente assimilabile. Inutile dire che vorrei non finisse tanto presto, ma già un’altra band sta cominciando a sistemare gli strumenti.
Durante il cambio vado da Tom per prendere la maglia del locale; non so come faccia a pagare tutti con quello che prende di coperto. Mi dice che ha la versione femminile, s’infila nel suo ufficio pieno di scatoloni e roba varia, e anche con il prezzo della maglietta si dimostra onesto.
Avendo visto sul giornale che venerdì 20 ha Jon Cleary in programma sono molto indecisa perché anche Dr John mi interessa, la stessa sera alla HOB. Se fosse per il locale non avrei dubbi a scegliere questo, è di sicuro più genuino, divertente ed economico, inoltre anche Jon Cleary è un pianista New Orleans style (anche se di origine inglese).
Quando faccio riferimento al programma s’infila in un altro meandro, mi porge il foglio con i concerti di agosto (magari potessi star lì fino alla fine del mese) e quando gli dico che venerdì è in “competizione” con HOB mi risponde che non gli interessa (naturalmente), che là prendono troppo mentre lui non è spinto dal denaro ma dalla passione (di questo me n’ero già accorta), e ciò che vuole è solo suonare e passare delle serate tranquille con gli amici.

Infatti il “problema” non è suo, è mio. Se avessi avuto qualche dubbio sul fatto che la band seguente potesse essere altrettanto interessante, questi sono fugati appena Little Terry Rogers e i suoi attaccano il loro jump-swing tra Chicago e Texas style, miscela esplosiva di good time music.
Il set è un’alternanza di brani chicagoani lenti e succosi come Keep Your Hands out of My Pocket e travolgenti ballabili come Sell My Monkey, ma è divertente anche solo star seduti a godersi lo spettacolo, sorseggiando qualche intruglio della casa.
La notturna Closing Time, una chicca come Mr Jellyroll Baker, l’incalzante tempo medio di Too Young to Die a memoria di Sonny Boy Williamson II, ricordi di T Bone Walker con Alimony Blues e un prestito da Kim Wilson con la sua Don’t Bite the Hand that Feeds You, sono altri esempi della varietà di emozioni regalate, defluite come da un rubinetto. Alla fine avrò modo di conoscerli: alla chitarra solista Dave Haley, al basso Steve Childress, alla batteria Chicago Dave.
Dal biglietto di Little Terry scopro che è frontman in una band (Little Terry & The Blues Birds) in cui militano niente meno che ‘Spare Time’ Murray, bassista storico della scena di Houston che vanta trascorsi nella band di Joe Guitar Hughes, un’altra icona della città, e il chitarrista Milton Hopkins (cugino di Lightnin’ Hopkins), nome altrettanto datato che non conviene lasciarsi scappare se si nota nella line-up di qualche club.

Come si vede nella programmazione di ottobre (clicca per ingrandire) lo standard è ottimo. Degni di nota i venerdì, con l’ancora ottimo Texas Johnny Brown, (2) altra vecchia presenza che colora la scena di Houston, chitarrista di Amos Milburn per tanto tempo e autore della stupenda Two Steps from the Blues di Bobby Bland incisa per Don Robey (e, cosa questa di poco conto, frase a lungo candidata come sottotitolo di questo sito), e come già detto il vetusto ma arzillo pianista Earl Gilliam, in occasione del compleanno della moglie Carrie Jean. Inoltre, artisti “recenti” ma interessanti come Mark May e Tommy Dardar.
Di sabato i chitarristi Bobby Mack, Alan Haynes, e Jonn Richardson con il mandolinista blues Rich Del Grosso. Anche il gruppo fisso del giovedì, Luther and the Healers, ben tiene la scena, come Howard and Art al martedì, entrambi senza coperto, come sempre tranne il venerdì e il sabato. La domenica invece è dedicata agli artisti zydeco, Jabo credo sia la proposta migliore, o perlomeno più blues/zydeco.

A seguire s’esibiscono altri due gruppi, ma a confronto dei precedenti li trovo meno interessanti, e poi sono impegnata nel primo proposito citato nel nome del locale (socializzare) per seguirli attentamente. Inoltre si sta facendo tardi e mio figlio, valendosi del probabile ingresso vietato ai minori, è voluto rimanere al motel, cosa che non mi preoccupa ma neanche mi fa stare tranquilla del tutto, e infatti usciamo prima che la serata sia finita.
Fuori dal locale gli ultimi saluti con Jonn Richardson, Little Terry e gli altri, anche loro se ne stanno andando. Jackie Gray esce senza batteria e senza armadillo, sul palco per quelli dopo; gli ultimi fotogrammi di Kirby Drive stampati in mente sono proprio suoi.
Infatti, dopo i suoi gentili auguri di buone vacanze, vederlo alzare il cappello a mo’ di saluto e camminare morbidamente dinoccolato, prima di chinarsi per entrare nella sua sportiva, è una scena che non dimenticherò mai.


  1. Triste aggiornamento: Jackie Gray è venuto a mancare il 26.5.2013. Da tempo soffriva di un tumore ai polmoni.[]
  2. Altro triste aggiornamento. John Riley Brown è mancato il 1° luglio 2013.[]
Scritto da Sugarbluz // 18 Ottobre 2010
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3 risposte

  1. Mark Slim ha detto:

    Il migliore club in cui abbia mai suonato in Houston – TX assieme al juke joint Mr. Gino’s in Fifth Ward…

  2. Sugarbluz ha detto:

    Ehi, Mr Gino’s l’avevo in elenco, ma non ci sono stata purtroppo, il Dan Electro’s com’è?
    T’ho mancato per poco al Big Easy.

  3. Mark Slim ha detto:

    Il Dan Electro’s è un bel locale ma niente a che vedere con Mr. Gino’s (vero juke joint nel quartiere nero di Houston) ed il Big Easy con una programmazione eccellente di Blues e Zydeco con le migliori band che passano per il TX…

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