Lazy Lester – Blues Stop Knockin’
My retirement it’s a long story, and I usually like to leave it that way.
Riprendo la vicenda di Leslie Carswell Johnson, in arte Lazy Lester, con queste sue parole retrospettive riferentesi al 1966 quando stanco dello show business lasciò il mondo della musica, a parte qualche occasionale apparizione con Lightnin’ Slim che in quel periodo, tra i vari bandmate locali, si serviva anche di ‘Kingfish’, il fratello di Lester.
Intorno al 1969 si trasferì a Chicago, dove il bluesman di Detroit Johnny ‘Yard Dog’ Jones ha ricordato d’averlo visto suonare nel parcheggio di un negozio di liquori nel South Side: di certo non un luogo degno; si manteneva facendo il camionista per North American Van Lines, una compagnia di trasporti. Tuttavia Leslie non sopportò a lungo il freddo intenso di Chicago, così tornò in Louisiana al suo vecchio impiego di taglialegna: «Usare la motosega, quello era il mio lavoro! La motosega in una mano e la canna da pesca nell’altra».
All’inizio dell’articolo I Hear You Knockin’! c’è il racconto di quando Fred Reif andò con Lightnin’ Slim alla stazione dei bus di Pontiac, Michigan (dove allora viveva Slim, non lontano da Detroit), a prelevare Lester: Reif aveva riscoperto Lightnin’ Slim un anno prima, e l’aveva ingaggiato per l’University of Chicago Folk Festival del 1971. Fu Lightnin’ a reclamare la presenza di Lazy Lester e, dato che Slim sapeva come mettersi in contatto con il vecchio amico, Reif gli mandò il biglietto per la corriera. I due fecero il festival e uno spettacolo al Chessmate a Detroit, e Lester rimase a Pontiac fino al 15 marzo di quell’anno prima di tornare a casa, Baton Rouge.
Nel 1972 Reif ricevette un telegramma da Jim Simpson, promoter inglese di Birmingham interessato a ingaggiare la coppia per un tour in Inghilterra ed Europa, ma non riuscendo a trovare Lester al suo posto andò l’armonicista Moses ‘Whispering’ Smith. Lo stesso capitò a Terry Pattison un paio d’anni prima quando lo cercò per farlo suonare in questo disco. L’unica differenza probabilmente fu che quando lo cercarono a nord lui si trovava a sud, e quando lo cercarono a sud, era a nord.
Nel 1975 Lazy Lester tornò a vivere a Pontiac su richiesta di Tillie (Matilda) Murray, sorella di Slim Harpo rimasta vedova e con alloggi da affittare. Non aveva intenzione di riapparire sulla scena, e quando s’ammalò il suo ritorno apparve ancora più improbabile.
Fino al 1987 rimase ai margini, fatta eccezione per la partecipazione al Blues Estafette di Utrecht nel 1979 insieme a qualche musicista di Detroit, dopo il quale occasionalmente suonò con Eddie Burns, Willie D. Warren (chitarrista/bassista che insegnò a Guitar Slim), con il cantante Chicago Pete e Bobo Jenkins, tutti residenti nella città del Michigan.
In quell’anno (1987) Reif convinse Lester a riprendere a suonare per conto suo e lo imbarcò in un tour in Inghilterra, dove fu anche registrato il suo comeback album: Lazy Lester Rides Again, per l’inglese Blue Horizon di Mike Vernon con note di John Broven, pubblicato anche in USA da King Snake Records. Al ritorno in patria Lester s’accorse d’esser improvvisamente richiesto come all’estero, grazie anche all’interesse di gente come Kim Wilson, Jimmie Vaughan, Marcia Ball, Anson Funderburgh.
Vinse il W.C. Handy per il miglior album di blues contemporaneo edizione straniera, però non mette a fuoco la personalità di Lester, accompagnato da bravi ma non brillanti musicisti inglesi lontani dagli umori della Louisiana, i quali non aggiungono niente se non uno sfondo piuttosto anonimo. L’atmosfera è fin troppo rilassata, immersa nella quieta campagna dell’Essex (Cook House Studio), ed emergono poche emozioni. Il disco è comunque un ascolto piacevole, soprattutto per chi non conosce il meglio di Lazy Lester, ma pecca nelle riproposizioni di alcuni classici Excello, non comparabili con altre versioni (naturalmente, neanche con gli originali), mentre va meglio nelle novità, come una bella versione di St Louis Blues con tutta la pigrizia e l’ironia di cui il nostro è capace su un adeguato accompagnamento, e Blowin’ a Rhumba, strumentale dal carattere sudista.
Alligator rilanciò l’anno dopo producendo Harp and Soul, registrato negli studi King Snake a Sanford, Florida. Il risultato è simile al precedente: buoni propositi ma risultati non eccellenti.
Si sente però che qui Lester è più a suo agio, e contribuisce spessore la presenza di notabili quali Kenny Neal alla chitarra (pur non piacendomi particolarmente affonda pur sempre le sue radici nello swamp) e Lucky Peterson al piano, ma purtroppo la produzione della casa chicagoana, spesso sopra le righe, ammorba mediante velleità sonore fuori luogo. Non male le versioni di due note ballate, Dark End of the Street, dagli autori di Muscle Shoals Dan Penn e Chips Moman, e Raining in My Heart, da Slim Harpo, mentre Bloodstains on the Wall perde la sua incisività. La sua armonica però è in gran forma e la sua voce ha acquisito maturità e un timbro ghiaioso.
Lester arriva a suonare in ogni stato americano a parte le Hawaii, (1) in Europa e in Australia, e perfino ai Caraibi, a Guadalupa. Ma il viaggio più importante è uno dei più vicini, quello verso Antone’s nell’aprile 1987, quando Reif lo porta per la prima volta nel noto club di Austin, Texas. Là lo attendono Kim Wilson e Jimmie Vaughan, e quest’ultimo lo accompagna sul palco insieme a George Rains, Derek O’Brien e Sarah Brown, pregiata house band del locale.
Alla fine di quel weekend Clifford Antone dice di lui: “He ain’t lazy, he’s just crazy”. Molti fan gli chiedono l’autografo portando i suoi vecchi album e 45 giri, e Lazy fa notizia perfino per l’Associated Press quando l’attore Bruce Willis (che negli anni 1980/1990 si esibiva anche come cantante e armonicista con un suo gruppo), in quel periodo molto famoso in USA grazie alla serie televisiva Moonlighting, arriva da Los Angeles per incontrare i suoi idoli blues. Un paio di aneddoti circolano sul fatto che Lester non sapeva chi fosse quando un giornalista gli domandò che ne pensava del Willis armonicista, e/o che quando glielo presentarono lui gli chiese con chi suonasse, pensando che fosse un musicista del posto.
È invitato da Antone’s di nuovo in luglio quello stesso anno per la celebrazione del dodicesimo anniversario e poi è chiamato ogni anno, con Jimmie Vaughan ad accompagnarlo. Nel 1990 va in tour nei paesi scandinavi e non manca un’illuminante visita al vecchio pianista Eddie Boyd nella sua casa a Helsinki; per la gran parte di quel decennio non incide niente, ma si esibisce dal vivo con The Shadows, gruppo di Atlanta, Georgia, e fa ciò che più gli piace: andare a pescare in barca.
La speranza espressa da Reif in quegli anni sul suo ritorno «presto in studio a registrare un po’ di quel suo swamp blues che ha contribuito a creare tanto tempo fa a Crowley, Louisiana», si realizza finalmente con l’uscita nel 1998 di All Over You, ottimo dischetto sull’etichetta di Clifford Antone prodotto da Derek O’Brien e registrato ad Austin nell’accogliente bottega di Willie Nelson, Arlyn Studios. Ora in studio ha accompagnatori pronti a supportarlo calati nel suo umore: oltre a O’Brien, Sue Foley, Sarah Brown e gli ex T-Birds Mike Buck e Gene Taylor. Le nuove versioni di alcuni suoi Excello riacquistano vivacità e modernità per i fan degli anni Duemila senza snaturarsi, insieme con la ripresa di un brano di Slim Harpo e uno di Jimmy Reed.
Un’altra perla ben recuperata, sempre uscita dallo studio di Jay D. Miller, è la bella ballata Irene, scritta e registrata alla fine degli anni 1950 da King Karl (Bernard Jolivette), autore e cantante di Guitar Gable (Gabriel Perrodin) per il formidabile combo creolo dello studio di Crowley formato con il batterista Clarence ‘Jockey’ Etienne, e uno dei primi successi swamp pop (Rockin’ Dave Allen ne fece una versione nel 1964).
Nuova vita pure per il minimale Nothing but the Devil e lo spumeggiante Hello Mary Lee, originariamente tra i brani di Lightnin’ Slim accompagnati da Lester, e il blues My Home Is a Prison, registrato nel 1957 da Lonesome Sundown e nel 1960 da Slim Harpo, tutti partoriti presso Miller con destinazione Excello, Nashville. In definitiva, un compendio ben riuscito della crema degli autori e dei musicisti swamp blues colti tanti anni dopo da giovani bianchi della scena di Austin affascinati da quei suoni e quei personaggi.
Vista l’esperienza positiva il chitarrista Derek O’Brien è pronto a ripeterla pochi anni dopo, producendo questo Blues Stop Knockin’, uscito nel 2001 e registrato negli stessi studi per la stessa etichetta, nel frattempo acquisita da Texas Music Group. Squadra che vince non si cambia, e altri si aggiungono a caratterizzare e variare queste registrazioni, le sue migliori dell’epoca moderna, come il bassista Speedy Sparks, già nei Texas Tornados, il pianista Riley Osbourn, anch’egli nome ricorrente sulla scena texana, e soprattutto Jimmie Vaughan che con i suoi calzanti e gustosi riff delinea la robusta ma malleabile spina dorsale del disco.
Ad aprirlo è l’ottimismo di Blues Stop Knockin’, in cui il nostro già travolge, grazie anche alle sonorità pressanti e attillate degli accompagnatori, con canto convincente e un solo d’armonica più country che blues, plus un gustoso intervento di Vaughan. L’originale risale alla metà degli anni 1950 e appartiene al cantante country Al Ferrier da Montgomery, Louisiana, molto influenzato da Carl Perkins. Ferrier registrò per Goldband di Eddie Shuler nel 1955, e quando passò al rockabilly ebbe notorietà nella regione con il suo gruppo The Boppin’ Billies. Gran parte del successo della band era dovuto al suo chitarrista, il fratello Brian Ferrier, che suonò con Elvis nel Louisiana Hayride, l’equivalente regionale del Grand Ole Opry di Nashville. Ferrier incise rockabilly per Jay Miller, poi tornò alla country music negli anni 1970 continuando a registrare per Shuler e Miller. Una bella versione di Blues Stop Knockin’ (At My Door) di Al e Brian Ferrier è nel vol. 6 della serie Flyright, Boppin’ Tonight.
Un altro sostanzioso mid-tempo è I Love You Baby, portato brillantemente dall’armonica calda e dal canto sincero di Lester, entrambe voci indolenti enfatizzanti il tono paludoso, da parte di un superstite del suono originale e adagiate su uno shuffle plastico e complice. Il brano proviene dalla coppia Jimmy Reed-Ewart Abner; quest’ultimo non era un musicista del sud, ma un chicagoano laureato in contabilità. Segnò l’epoca dell’errebì e del soul anni 1950/1960 come un autore e imprenditore che con coraggio fece concorrenza alla predominante industria discografica bianca, da presidente di due etichette afroamericane di successo, prima Vee-Jay e poi Motown.
Breeeadmaker Baby! annuncia ad alta voce Lester nell’incipit di I’m Your Breadmaker, Baby, allettante R&B con la tipica sfacciataggine e la scansione ritmica degli storici Excello di Slim Harpo (nell’originale forse Lester era alle percussioni). Gustoso solismo di chitarra e poi d’armonica, accompagnante fino alla chiusura, canto malizioso e divertito, e tra Vaughan e Lester una complicità che si dichiara apertamente in uno scambio di riff chitarristici e chops d’armonica. Nello sfondo per tutto il tempo Lester agita le maracas e altre percussioni sintonizzato sugli esotici ritmi di quei dischi là, e anche Sparks dà il suo contributo fondamentale.
Go Ahead è la prima ripresa dal suo repertorio solista con Miller e ancora si è investiti dal clima magico e rarefatto, su un tempo medio-lento fangoso interpretato con naturalezza e partecipazione emotiva. Se una volta era il più maturo Lightnin’ Slim che gli diceva Blow your harmonica son!, ora è il vecchio Lazy Lester che dice al più giovane Vaughan Allright Jimmie! o Yees! quando è il momento del solo di chitarra.
Il blues shuffle Gonna Stick to You Baby è un omaggio a Lonesome Sundown nel cui originale Lester suonò l’armonica, e conferma la coesione dei presenti oltre che lo stato di grazia di Lester e la classe di Jimmie Vaughan, mentre la prodigiosa I’m Gonna Miss You (Like the Devil) è presa ancora dalla saccoccia di Slim Harpo. È un altro picco dolcemente striato e innervato dal particolare, riconoscibile suono di Lester, caldo e tenero, dal canto afflitto, e dal tremolo di Vaughan. Da sottolineare il drumming di Mike Buck.
Sittin’ in la-la, waitin’ for my ya-ya: Ya Ya, filastrocca neorleansiana già di Lee Dorsey, è perfetta per Lester, con energia vitale (non necessariamente una dote di chi corre) e ironia in una trama leggera che, volendo, può evocare tematiche importanti. Una giornata qualsiasi, in qualche posto nell’umida New Orleans ad aspettare la propria bella o qualcosa di più astratto, che non si può vedere; ognuno è libero di decidere cosa o chi siano “la-la” e “ya-ya”. C’è lo spirito della vecchia New Orleans, un sapore che ricorda, forse da un’altra vita, i mai sentiti canti profani in patois e le danze creole in Congo Square, con figure reali o immaginarie quali la belle Layotte.
Il suo biglietto da visita They Call Me Lazy, confezionatogli da Miller, è un maestoso ma minimalista blues lento, con la tensione delle corde di Derek O’Brien sotto la narrazione della voce vissuta e dell’armonica vibrante, ancora del tutto convincente.
Quello che su Excello era il potente strumentale per organo e armonica chiamato Pondarosa Stomp qui diventa l’altrettanto carico Ponderosa Shuffle, con Lester e Vaughan in primo piano in impeccabile armonia.
No Special Rider, attribuita erroneamente al pianista Little Brother Montgomery (il cui No Special Rider del 1930 ne divenne il cavallo di battaglia), e invece probabilmente ispirata dallo Special Rider Blues di Skip James, è un episodio solitario in cui Lester accompagna il canto con la chitarra e le percussioni evidenziando la sua natura downhome.
Il disco originale chiude con due dal suo vecchio repertorio, il medio-lento I Told My Little Woman, e la bellissima Sad City Blues, che raggiunge la sua definizione. Aiutato dalle chitarre di Sue Foley e di Derek O’Brien, il basso di Sarah Brown e il piano di Gene Taylor, Lazy Lester ci lascia in modo memorabile con un’ultima, grande emozione, che può commuovere al punto da far sgorgare qualche lacrima.
Il CD è stato ripubblicato nel 2009 su un’etichetta londinese (Retroworld) con sette bonus tratti da All Over You, riconoscibile dalla copertina perché vi è aggiunta la dicitura “with Jimmie Vaughan” ed è sparito il marchio Antone’s.
Oggi Lester ha 78 primavere, s’esibisce ancora e vive a Paradise (vicino a Sacramento) in California con la sua compagna finlandese Pike Kakonsen. Come riporta Reif nelle note del disco (Ace) I’m a Lover Not a Fighter, Lester ama la gente e starebbe sempre in compagnia dei suoi fan: «Hell, I’m not goin’ stay in the band room, I wanna be out there with the people».
Aggiornamento (2018): Lazy Lester se n’è andato in pace il 22 agosto 2018 a casa sua, Paradise, California, con la stessa tranquillità con cui è vissuto.
(Fonti: Note di Fred Reif a All Over You, CD ANT10042, 1998, e a I’m a Lover Not a Fighter, CD Ace Records CHD 518, 2009; note di Bruce Bastin a Al Ferrier & Warren Storm: Boppin’ Tonight, The Legendary Jay Miller Sessions Vol. 6, LP FLY 525, 1977).
- Fred Reif ha raccontato che durante i loro viaggi sulla strada nei tardi anni 1980 e primi 1990, Lazy Lester parlava costantemente dei suoi giorni da camionista, e salutava sempre con la mano i camionisti di passaggio.[↩]
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